Inammissibile la revisione non finalizzata al proscioglimento
Cass. pen., sez. V, sent. 14 gennaio 2022, n. 7798
“In tema di revisione, è inammissibile la richiesta fondata sulla prospettazione di elementi tali da dar luogo, se accertati, non al proscioglimento, ma alla dichiarazione di responsabilità per un diverso e meno grave reato”
La vicenda. Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Catanzaro, rigettava la richiesta di revisione del processo fondata su un contrasto di giudicati e volta ad ottenere una rideterminazione della pena in prospettiva pro reo. In particolare, il ricorrente, condannato per il delitto di associazione mafiosa ex articolo 416 bis , lamentava l’applicazione nei suo confronti dell’aggravante dell’essere la stessa armata – comma quarto art. 41 bis cod. pen. – diversamente da quanto accaduto ad alcuni sodali in altro processo dove i giudici avevano, invece, ritenuto di escluderla.
Avverso la pronuncia di inammissibilità la difesa del condannato ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo denunciando la non corretta interpretazione dell’art. 630 cod. proc. pen. non in linea, a suo avviso, con l’orientamento della Corte costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, 25, 27 e 111, assunto nella pronuncia n. 113 del 2011, in relazione alla possibilità di rivedere il giudicato quando vi sia stata violazione dei criteri sovranazionali del “giusto processo” dettati dall’art. 6 CEDU, nonché con l’art. 4, par. 2, Prot. Addizionale n. 7 CEDU, che prevede la possibilità di riapertura del processo in senso lato per rivedere anche il tenore della violazione ritenuta e connessa commisurazione sanzionatoria. In sostanza, è stato sostenuto che essendo il soggetto condannato ad una pena commisurata ad un’ipotesi di reato più grave di quella cui sono stati condannati altri sodali del medesimo gruppo mafioso, la sua libertà sarebbe stata compressa per un tempo ingiustamente maggiore rispetto a costoro, in proporzione alla pena da ciascuno riportata. In conseguenza di ciò l’istante ha chiesto la cassazione della sentenza in questione volta ad ottenere una rideterminazione della pena con l’esclusione della predetta aggravante.
Orientamento sui criteri di ammissibilità dell’istituto. Secondo un orientamento, ormai, costante della Suprema Corte di legittimità, la Consulta ha escluso la possibilità che, attraverso la revisione, sia possibile giungere all’affermazione di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo ovvero ad una condanna per un reato meno grave rispetto a quello ritenuto nella sentenza passata in giudicato. Sul punto, in tale direzione le Sezioni Unite hanno sottolineato che la ragione fondante della revisione, in deroga al principio cardine dell’intangibilità del giudicato, va ricercata nell’esigenza di accertare una verità che attesti l’innocenza del soggetto giudicato.[1] In tale contesto l’istituto della revisione risponde alla necessità di eliminare l’errore giudiziario, allorché, per ragioni di opportunità sociale, sia riscontrate situazioni sintomatiche della probabilità di ingiustizia della sentenza irrevocabile di condanna. Quanto detto, trova conferma nella giurisprudenza della Corte costituzionale la quale, chiamata a contemperare i diversi valori in gioco, da un lato, le finalità alle quali punta la revisione, per come individuate; dall’altro, la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche, assicurata grazie (anche) all’intangibilità delle sentenze di condanna passate in giudicato, nel contesto di un equilibrato bilanciamento degli interessi opposti, ha attribuito all’istituto della revisione carattere di impugnazione straordinaria la cui ammissibilità perimetra all’interno di limiti ben definiti dalla legge. [2] Non a caso, seppur ampliando i confini di applicazione dell’art. 630 cod. pro. pen. in chiave di lettura europea ha ribadito che la “la revisione risulta strutturata in funzione del solo proscioglimento della persona già condannata” chiarendo che l’accesso all’istituto è subordinato alla presenza di particolari elementi di “compromissioni di particolare pregnanza delle garanzie attinenti a diritti fondamentali della persona”.[3]
La decisione. La Corte di cassazione coerentemente con i suoi orientamenti giurisprudenziali ha rigettato il ricorso aderendo all’impostazione per cui è inammissibile “la domanda di revisione in funzione del riconoscimento di un trattamento sanzionatorio meno afflittivo, essendo ragionevole la previsione secondo cui il superamento del giudicato è consentito solo in presenza di elementi che conducano al proscioglimento e giustificato che sia il solo legislatore ad individuare i limiti di ammissibilità dell’impugnazione straordinaria”.[4] Tale ultimo inciso non lascia dubbi sul fatto che il giudicato può essere messo in discussione esclusivamente in presenza di elementi che dimostrino l’innocenza del condannato. La Corte ha inoltre specificato che spetta solo al legislatore individuare i limiti di ammissibilità che giustificano il ricorso all’impugnazione straordinaria.
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[1] Cass. Pen. Sezioni Unite, sentenza n. 624, 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220441;
[2] Corte Costituzionale, sentenza n. 28 del 1969 e n. 129 del 2008;
[3] Corte costituzionale, sentenza n. 113/2011 – caso di cd. revisione europea, ai sensi dell’art. 46, paragrafo 1, CEDU;
[4] Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 25591, 27/5/2020, Casale, Rv. 279608
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