Incidenza delle fonti sovranazionali sulla stabilità degli atti amministrativi e giurisdizionali nazionali
1. I rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamenti sovranazionali
I rapporti tra ordinamento nazionale e ordinamenti sovranazionali, nel corso degli ultimi anni, hanno avuto un’evoluzione in termini di consolidamento dell’integrazione e dell’interdipendenza.
Con riferimento ai rapporti intercorrenti tra Unione Europea ed ordinamento italiano, è appena il caso di ricordare che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da sempre sostenuto la tesi cosiddetta monista, in base alla quale si ritiene che -posto il primato del diritto europeo- i due ordinamenti siano caratterizzati dalla stretta integrazione reciproca.
Tuttavia, a siffatta conclusione, la giurisprudenza nazionale è giunta solo dopo un lungo percorso ermeneutico.
Infatti, la Corte Costituzionale ha aderito per lungo tempo alla tesi dualista, che considerava i due ordinamenti distinti, ancorché coordinati tra loro.
Solo a partire dalla celebre sentenza “Granital” il giudice delle leggi ha riconosciuto per un verso, la possibilità per il giudice nazionale di disapplicare la norma nazionale in contrasto con il diritto europeo avente efficacia diretta; per altro verso, il principio del primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto nazionale.
Come ha chiarito più volte il giudice delle leggi, la copertura costituzionale della partecipazione dell’Italia all’ordinamento europeo si rinviene nell’art.11 della Costituzione, a mente del quale <<… l’Italia… consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…>>.
Per il tramite dell’art. 11 della Costituzione, l’Italia ha preso parte all’ordinamento europeo e conseguentemente ha posto in essere le necessarie limitazioni di sovranità.
Si è affermato il principio di primazia del diritto dell’Unione Europea rispetto al diritto nazionale che, sul versante della potestà legislativa di Stato e Regioni, si è tradotto nell’esercizio della suddetta potestà nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (art. 117, comma 1, della Costituzione); sul versante della potestà giurisdizionale si è tradotto nell’obbligo di disapplicare la norma interna contrastante con la norma europea ad efficacia diretta.
2. I controlimiti
Al principio del primato del diritto dell’Unione Europea, la Corte Costituzionale ha imposto dei limiti: il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana e dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano (cosiddetta “teoria dei controlimiti”).
Ove dovessero essere violati i menzionati limiti, la normativa dell’Unione Europea non potrebbe trovare accoglienza nell’ordinamento italiano per violazione dei principi fondamentali che appartengono al nocciolo duro della Carta costituzionale, e come tali inderogabili ed inamovibili.
Con riferimento ai rapporti intercorrenti tra ordinamento nazionale ed ordinamento internazionale, vige la regola secondo la quale trattasi di due ordinamenti distinti e separati.
E’ appena il caso di evidenziare che l’art. 10, comma 1, della Costituzione, a mente del quale <<l’ordinamento giuridico si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute>>, sancisce la regola dell’adattamento automatico, mediante il rinvio mobile, dell’ordinamento italiano al diritto internazionale consuetudinario.
Diversamente, per il diritto internazionale pattizio vige la regola della ratifica dei trattati da parte del Presidente della Repubblica, previa autorizzazione con legge del Parlamento nelle ipotesi contemplate all’art. 80 della Costituzione.
D’altro canto, a mente dell’art. 117, comma 1, della Carta costituzionale, la potestà legislativa di Stato e Regioni deve essere svolta nel rispetto (anche) degli obblighi internazionali, intendendo per “obblighi” tutti i trattati internazionali ratificati e resi esecutivi in Italia.
Posizione peculiare, che si inquadra nell’ambito del diritto internazionale pattizio appena descritto, riveste la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), resa esecutiva nell’ordinamento nazionale con la Legge n. 848/1955.
Sebbene la CEDU e le sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo rivestano una particolare posizione negli ordinamenti nazionali, occorre evidenziare che la Convenzione è stata costituzionalizzata per il tramite dell’art. 117, comma 1, Cost., il quale, tuttavia, si colloca nel titolo quinto della Costituzione e non fra i principi fondamentali, come l’art. 11 Cost..
Emerge, dunque, la differenza circa il ruolo dei controlimiti in rapporto all’ordinamento europeo ed alla CEDU.
Come precedentemente esposto, i controlimiti sono stati elaborati dalle Corti Supreme nazionali a seguito della forte erosione della sovranità degli Stati, sempre più coinvolti nel processo di europeizzazione.
Con riferimento al diritto internazionale pattizio, nel cui genus si colloca la CEDU, i controlimiti nazionali sono rappresentati da tutte le norme della Carta costituzionale, non solo dal nocciolo duro della Costituzionale, proprio per la peculiare posizione dell’art. 117 Cost..
Diversamente, per ciò che concerne l’ordinamento europeo, i controlimiti si rinvengono esclusivamente nei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e nei diritti inviolabili della persona umana.
Dunque, vero è che il principio di primazia dell’Unione Europea impone al giudice nazionale la disapplicazione di una norma interna contrastante con il diritto europeo dotato di efficacia diretta; ma altrettanto vero è che deve sussistere in ogni caso il rispetto del nocciolo duro della Costituzione.
3. I controlimiti sono stati comunitarizzati?
In tema di controlimiti, a seguito delle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona, una parte della dottrina ha affermato che sembrerebbe che i controlimiti degli Stati membri siano stati comunitarizzati.
L’assunto troverebbe le basi negli articoli 4, 5 e 6 del Trattato dell’Unione Europea.
In particolare, l’art. 4, paragrafo 2, TUE sancisce il rispetto, da parte dell’Unione Europea, dell’identità nazionale degli Stati membri <<…insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale…>>.
L’art. 5 del TUE definisce il principio di attribuzione delle competenze dell’Unione Europea, in virtù del quale l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati.
Infine, l’art. 6, nel riconoscere i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta di Nizza, attribuisce a quest’ultima lo stesso valore giuridico dei trattati, collocandola nel diritto primario europeo.
A fronte di ciò, sembrerebbe che, ancor prima dei controlimiti interni a ciascuno Stato, vi sia già a livello comunitario l’imposizione del rispetto di precisi limiti.
Ne discende che la giurisdizione sul punto spetterebbe alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e non alle corti nazionali.
E’ appena il caso di evidenziare che la giurisprudenza europea sembra avvalorare tale tesi.
Tuttavia, non manca chi sostiene che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea avrebbe sì competenza, ma non assoluta, poiché vi sarebbe l’art. 6, paragrafo 2, TUE, a mente del quale <<l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei trattati>>.
A fronte di tutto ciò si può agevolmente comprendere come negli ultimi anni gli ordinamenti sovranazionali interagiscano in misura sempre più penetrante con gli ordinamenti nazionali.
Del resto, l’art. 1 del TUE sancisce il processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa ed il principio di leale cooperazione stabilisce il rispetto e l’assistenza reciproca tra ordinamenti nazionali e sovranazionali.
4. Stabilità degli atti amministrativi
Sulla base di tali premesse, recentemente è stato messo in luce con che intensità le fonti sovranazionali incidono, per un verso, sulla stabilità degli atti amministrativi; per altro verso, sulla stabilità degli atti giurisdizionali.
Con riferimento alla prima ipotesi, la giurisprudenza amministrativa ha sottolineato come spetti all’ordinamento nazionale assicurare la stabilità degli atti amministrativi in presenza di fonti sovranazionali, laddove l’Unione Europea non abbia previsto meccanismi di tutela processuale, purché siano rispettati i principi di effettività della tutela e di equivalenza, a mente della quale lo Stato adotta per la tutela di interessi europei le stesse misure di tutela nazionale.
Tali considerazioni sono state affermate dalla giurisprudenza europea, ad esempio, nel caso di ius superveniens di matrice comunitaria in contrasto con un atto amministrativo inoppugnabile.
Infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto che il termine decadenziale per impugnare provvedimenti amministrativi in contrasto con il diritto europeo non violasse né con il principio di effettività, né con il principio di equivalenza.
Circa il principio di effettività, la tutela è garantita dal fatto che l’atto amministrativo può essere impugnato per annullamento, equiparando la violazione del diritto dell’Unione Europea alla violazione di legge, censurabile ex art. 21-octies della L. n. 241/1990.
Quanto al principio di equivalenza, la tutela è garantita dal fatto che anche nell’ordinamento europeo -al pari dell’ordinamento italiano- sono previsti termini decadenziali pressoché omogenei per impugnare gli atti delle istituzioni dell’Unione Europea adottati in violazione delle forme sostanziali o dei trattati ex art. 263 TFUE.
Dal canto suo, la giurisprudenza amministrativa italiana ha anch’essa avvallato la tesi dell’annullabilità dell’atto amministrativo contrastante con il diritto europeo, con tutte le conseguenze circa l’intangibilità dell’atto una volta divenuto inoppugnabile.
5. Stabilità degli atti giurisdizionali nazionali
Il principio di intangibilità è stato affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea anche con riferimento agli atti giurisdizionali nazionali.
In altri termini, la Corte ha affermato che nessun obbligo di revoca o di revisione può essere imposto in presenza di un giudicato formale.
In disparte l’unica ipotesi, concernente un caso concreto del tutto peculiare, in cui la Corte ha statuito circa la cedevolezza del giudicato nazionale (è il noto caso “Lucchini”, in materia di aiuti di stato), la ragione di fondo si rinviene nell’esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici esauriti e nella regola che vede lo Stato responsabile per la violazione del diritto europeo.
La giurisprudenza nazionale ha tuttavia osservato che vero è che non vi sia alcun obbligo di revisione del giudicato; ma altrettanto vero è che sussiste l’obbligo del giudice nazionale di conformarsi al diritto europeo.
Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto possibile l’impugnazione dinanzi la Corte di Cassazione della sentenza del Consiglio di Stato in contrasto con il diritto europeo, nell’assunto che sussisterebbe la violazione del “limite esterno” di giurisdizione, tale da provocare una sentenza abnorme ed ingiustificata (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 14042, 8 luglio 2016).
Dal canto suo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, richiamando le argomentazioni suesposte, ha recentemente statuito circa il rapporto tra giudicato amministrativo e ius superveniens di matrice comunitaria in sede di giudizio d’ottemperanza (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 11/2016).
La giurisprudenza amministrativa ha osservato come, premessa l’operatività nel processo amministrativo del giudicato a formazione progressiva, il giudice dell’ottemperanza debba integrare, perfezionare e completare il giudicato in formazione in modo da non renderlo in contrasto con il diritto europeo.
Alle stesse conclusioni, con riferimento al giudicato amministrativo non ancora formatosi, è giunta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la nota sentenza “Puligienica”.
In particolare, la Corte ha stabilito che laddove la sezione semplice del Consiglio di Stato riscontri, nella fattispecie in esame, un contrasto tra diritto europeo e principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria, essa può disattendere la regola enunciata all’art. 99, comma 3, c.p.a. e porre in essere il rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.
Circa la stabilità del giudicato nazionale in relazione a sentenze pronunciate dalla Corte EDU, vige l’art. 46 della CEDU, che stabilisce l’obbligo di conformità degli Stati contraenti alle sentenze definitive della Corte.
La Corte Costituzionale ha recentemente affermato che il giudice nazionale deve uniformarsi alle sentenze definitive della Corte EDU a mente l’art. 46 della CEDU, specificando che deve trattarsi di giurisprudenza europea consolidata e non caratterizzata da evidenti margini di innovatività (per approfondimenti sul punto, cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 46/2015).
Si è poi posto il problema circa il rimedio più consono da utilizzare in caso di sentenza nazionale che contrasti con una sentenza definitiva della Corte EDU.
In disparte il fatto che nell’ambito del diritto penale è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 7 aprile 2011, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza quando ciò sia necessario sulla base dell’art. 46 CEDU, la giurisprudenza amministrativa ritiene che il rimedio più consono sia l’istituto della revocazione, disciplinata agli artt. 395 e ss. del c.p.c..
Sembrerebbe che tale rimedio meglio si presti alle esigenze di conformità allo ius superveniens europeo, essendo composto da una fase rescindente e da una fase rescissoria.
Sulla base delle argomentazioni che precedono, tenuta nella debita considerazione la posizione assunta dalla giurisprudenza europea e nazionale, sembrerebbe che i rapporti intercorrenti tra l’ordinamento nazionale e sovranazionale si stiano consolidando in termini di stretta integrazione.
L’interdipendenza si avvertirebbe soprattutto con riferimento all’ordinamento europeo.
Infatti, fermo il primato del diritto europeo sull’ordinamento nazionale, si assiste ad una forte commistione che si riscontra nell’ambito del diritto amministrativo, in cui, ad esempio, vi sono procedimenti amministrativi che prevedono il coinvolgimento sia dell’amministrazione nazionale, sia dell’amministrazione europea.
Lo si riscontra, inoltre, nella giurisprudenza: il principio di leale collaborazione porta al rispetto e all’aiuto reciproco, ferma restando la salvaguardia della sovranità nazionale sul fronte dei diritti inviolabili della persona e dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (come, da ultimo, ribadito dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza di rimessione alla CGUE sulla questione “Taricco”).
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Francesca Miniscalco
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