Indegnità a succedere ed esclusione dalla successione a confronto: il nuovo articolo 463 bis c.c.
L’art. 463 c.c. è rubricato “Casi d’indegnità”. Esso non dà una definizione di indegnità, ma esordisce sancendo l’esclusione dalla successione di colui che è risultato indegno, prospettando i sei casi tassativi che la comportano. La definizione di indegnità viene fornita dalla dottrina maggioritaria, che l’annovera in una “causa di esclusione dalla successione”. Detta definizione impone di distinguere l’indegnità dalle ipotesi di “incapacità a succedere”, nelle quali, invece, a titolo meramente esemplificativo si fanno rientrare le ipotesi di incapacità a succedere dell’amministratore di sostegno (artt. 411, commi 2 e 3, c.c.), del tutore e del protutore (art. 596 c.c.), dei testimoni e dell’interprete del testamento pubblico (art. 597 c.c.), di chi ha scritto o ricevuto il testamento segreto (art. 598 c.c.) o delle persone interposte (art. 599 c.c.). Mentre l’incapacità a succedere costituisce un impedimento alla delazione ereditaria, che non parte a favore del vocato, l’indegnità è un’ipotesi di rimozione della delazione. Brillantemente, infatti, i Romani affermavano che l’indegno “potest capere, sed non potest retinere“, il che significa che l’indegno può accettare la delazione ereditaria, ma non può trattenere l’eredità laddove un soggetto interessato agisca nei di lui confronti per far valere la causa di indegnità. Pertanto, nell’indegnità, la delazione si apre a favore del chiamato indegno e anzi, ancor di più, perché si possa parlare di indegnità è addirittura necessario che l’indegno accetti la delazione ereditaria e che consegua la qualità di erede, affinché chi ne abbia interesse possa agire nei suoi confronti per la declaratoria di indegnità.
Date queste brevi e di certo non esaustive indicazioni circa la natura giuridica della indegnità, occorre chiedersi se il nuovo art. 463 bis c.c. – introdotto dalla L. 11 gennaio 2018, nr. 4 – sintetizzi o meno un’ulteriore causa di indegnità e se, dunque, operi nell’ordinamento sì come una delle ipotesi tassative di cui al precedente art. 463 c.c.
Esso stabilisce che sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile, il figlio, il fratello o la sorella che risulti indagato per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile, del genitore, del fratello e della sorella fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. In tal caso, si fa luogo alla nomina di un curatore dell’eredità giacente ai sensi dell’articolo 528 c.c..
Dal tenore letterale della norma si evince che l’indagato per omicidio tentato o volontario di uno dei soggetti sovra indicati è momentaneamente “sospeso” dalla successione. Infatti, è compito del P.M. comunicare alla cancelleria civile del tribunale nel cui circondario si è aperta la successione, l’iscrizione del soggetto nel registro degli indagati, sì da determinarne la sospensione dalla successione. A seguito di una eventuale condanna o sentenza di patteggiamento, ai sensi dell’art. 444 c.p.p il sospeso è “escluso dalla successione”.
Di primo impatto, non può escludersi che la figura ibrida della sospensione dalla successione, di certo, non configuri un’ipotesi di indegnità, ma al più un’ipotesi temporanea di sospensione della delazione, non dissimile dai casi di istituzione di erede sottoposta a condizione sospensiva, aderendo alla tesi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. 28 febbraio 1969, n. 663 e 10 luglio 1975, n. 2737), secondo la quale in tal caso la delazione è immediata, sebbene sottoposta a condizione, e portando a fondamento di tale ragionamento il disposto dell’art. 139 disp. att. c.c., che sancisce – in caso di morte del chiamato sotto condizione – la trasmissione della delazione a favore dei suoi successori. Tuttavia, le due ipotesi – sebbene assimilabili – non sono identiche: infatti, mentre nel caso del chiamato sotto condizione sospensiva, l’art. 642 c.c. stabilisce che l’amministrazione dei beni ereditari spetti ai cosiddetti “chiamati in subordine”, ovverosia ai soggetti a cui favore è stata disposta la sostituzione o per cui ricorre il diritto di accrescimento, nella nuova norma il legislatore, invece, impone che in caso di sospensione della delazione per le ipotesi dell’art. 463 bis c.c. si apra l’eredità giacente, ai sensi dell’art. 528 c.c.; istituto che nasce per esigenze pubbliche volte ad evitare che i beni ereditari , prima di una eventuale accettazione ereditaria, restino privi di tutela giuridica: si può volgarmente dire che nell’eredità giacente la delazione c’è, è partita, ma non si sa se il chiamato – non nel possesso dei beni ereditari – voglia o possa accettare l’eredità, mentre nella sospensione dell’art. 463 bis c.c. sembra che la delazione sia sospesa, ossia che non parta, pur determinando comunque la conseguenza dell’apertura della curatela dell’eredità giacente.
Ulteriore e saliente problema è, inoltre, capire se l’esclusione che opera in caso di condanna o di sentenza di patteggiamento di cui all’art. 463 bis c.c. sia un’ipotesi di indegnità e di conseguenza una causa di esclusione dalla successione. In questa ottica fa propendere il collocamento della norma – inserita nel CAPO III del Libro II del Codice Civile, rubricato “Dell’indegnità” – e il tenore letterale della norma che testualmente al comma 1 dell’art. 463 c.c. stabilisce che il soggetto condannato, anche con sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., “è escluso” dalla successione. Tuttavia, non possono tacersi significative differenze che comporterebbero l’avvicinamento della figura in esame non ad una causa di esclusione dalla successione, ma ad una ipotesi di incapacità a succedere, operante sì come quelle innanzi citate. Innanzitutto, si deve escludere che l’indegnità in questione sia proclamata a seguito di una accettazione d’eredità, in quanto – come abbiamo visto – la delazione è sospesa: manca, quindi, il primo presupposto perché si possa parlare di una causa di esclusione della successione che presuppone l’accettazione dell’eredità da parte dell’indegno. Altra differenza sarebbe ravvisata nel fatto che l’indegnità di cui all’art. 463 bis c.c. sarebbe pronunciata dal giudice penale e non necessariamente dal giudice civile. Inoltre, la sentenza di condanna per tentato omicidio potrebbe essere pronunciata, addirittura, dal giudice penale prima della morte del de cuius, sì comportando che il soggetto sarebbe automaticamente escluso dalla delazione, ancor prima dell’apertura della successione. L’esclusione della delazione, inoltre, opererebbe automaticamente a seguito della sentenza e non su domanda giudiziale di parte. Ancora, particolarmente controversa sarebbe anche l’ammissibilità di una riabilitazione dell’indegno di cui all’art. 463 bis c.c., dato che la norma fonderebbe le sue ragioni in quelle di ordine pubblicistico, così non permettendo alcuna riabilitazione privata ai sensi dell’art. 466 c.c. Tuttavia, sul punto occorre precisare che autorevole dottrina napoletana riconduce la fattispecie dell’art. 463 bis c.c. ad una sanzione civile e pertanto, al fine di evitare disparità di trattamento con i casi di cui all’art. 463 c.c., ammette anche la riabilitazione sia totale che parziale di cui al primo e al secondo comma dell’art. 466 c.c.
In conclusione, sembrerebbero prevalenti gli argomenti che riconducono la fattispecie dell’art. 463 bis c.c. ad una causa di “incapacità a succedere”, ovverosia di un fatto che impedisce la delazione e non ad una causa, come l’indegnità, di esclusione della successione, la quale presuppone l’accettazione della stessa. Tuttavia, non è da escludersi che il legislatore nell’introduzione di questa figura non abbia voluto ricondurla ad alcuno degli schemi già esistenti, ma abbia voluto irrompere con la creazione di una figura ibrida e nuova che ponga in comunicazione il giudice delle successioni e il giudice penale.
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Antonia Iannello
E' notaio in esercizio in Gioia del Colle (BA), iscritta al Ruolo del Distretto Notarile di Bari.
Napoletana, si laurea con lode e con i complimenti scritti della commissione esaminatrice all'età di ventitré anni alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli.
Supera, all'età di ventisei anni, il primo concorso notarile cui ha partecipato con il massimo dei voti alla prova orale.
E' , ad oggi, il notaio in esercizio più giovane d'Italia.
E' idonea all'esercizio della professione di avvocato, superando l'esame innanzi alla commissione esaminatrice della Corte d'Appello di Salerno con la votazione complessiva di 410/450.