Infedeltà patrimoniale e vantaggi compensativi: la normativa dei gruppi societari
La riforma dei reati societari, avvenuta ad opera del D. Lgs. 62/2002, ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di infedeltà patrimoniale. Non inganni il nome della rubrica: la scelta del termine «infedeltà» deriva dalla traduzione dal tedesco della parola «Untreue» (appunto, infedeltà), utilizzato in Germania per «designare le condotte di abuso nella gestione di patrimoni altrui»1, perciò libero dai connotati extra-penalistici tipici dell’espressione.
Il legislatore del 2002 si proponeva di tipizzare la fattispecie per evitare le troppe forzature della giurisprudenza, in virtù della forte necessità di intervenire reprimendo la mala gestio del patrimonio sociale da parte degli amministratori. Fino ad allora, infatti, questo tipo di evento era punito attraverso una interpretazione estensiva del reato di appropriazione indebita di cui all’art. 646 c.p., lasciando rientrare anche il concetto «distrazione» al suo interno2; o della previgente ipotesi di false comunicazioni sociali, qualora l’amministratore avesse creato riserve extrabilancio (c.d. fondi neri), per poi distrarle in favore proprio o di terzi per fini illeciti o extrasociali3; o ancora con il ricorso al previgente art. 314 c.p. sul peculato bancario4.
La norma introdotta all’art. 2634 c.c., definita come la «novità più significativa» della riforma del 20025, si pone a tutela del patrimonio della società, nonché dei «beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi». Soggetti attivi del reato sono gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori: qualora tali soggetti «al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni».
La loro condotta deve presuppore «un interesse in conflitto con quello della società»: un obiettivo «antagonismo», riferibile alla singola operazione economica, tale che l’accoglimento della posizione collidente con la società pregiudicherebbe gli interessi di quest’ultima.
Quanto a tale presupposto, è necessario sottolineare come il conflitto in oggetto deve preesistere oggettivamente all’atto dispositivo6, deve essere effettivo e reale, presentando il carattere dell’attualità, non potendosi configurare un conflitto potenziale o futuro (deve porre in essere, pertanto, un pericolo tangibile ed immanente ad un’operazione determinata7, da valutare successivamente al momento dell’assunzione della delibera8), nonché quello quella oggettiva valutabilità (cioè estraneo da condizionamenti di valore «psicologici e soggettivi»9). Il conflitto deve, quindi, sfociare nell’atto di disposizione dei beni sociali (lato sensu10), purché l’agente partecipi in modo causalmente rilevante alla delibera, anche se attraverso l’astensione formale11. La condotta, pertanto, non può riguardare atti di carattere meramente organizzativo, privi di contenuto patrimoniale12. Per la sussistenza del reato, è necessario che venga cagionato intenzionalmente il danno alla società: la struttura è, pertanto, quella di un reato d’azione con evento di danno, verificandosi la consumazione con la realizzazione del danno patrimoniale conseguente all’atto dispositivo dei beni13. Può, quindi, anche configurarsi il tentativo, qualora l’autore abbia agito con tale finalità, ma senza riuscire a cagionare il danno.
Con riferimento all’elemento soggettivo del reato, il legislatore richiede una duplice forma di dolo: quello specifico, in quanto l’agente deve porre in essere la condotta al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio; nonché quello intenzionale, escludendo anche il dolo eventuale attraverso la necessaria intenzionalità dell’evento di danno patrimoniale14.
L’analisi della lettera del 2634 c.c. non può, però, limitarsi ai suoi primi due commi. Il terzo comma dell’articolo in questione rappresenta, invero, un elemento di innovazione nel nostro sistema, non solo nel tenore letterale della norma (è, infatti, la prima traccia lessicale al fenomeno al gruppo di società presente del codice civile), ma anche con riferimento alla scelta del legislatore di voler considerare che «l’aggregazione di una pluralità di imprese, attraverso l’assoggettamento ad una direzione unitaria, ha una ragione di essere in quanto consente la realizzazione di risultati ulteriori, rispetto a quelli conseguibili dalle singole imprese»15.
Attraverso il comma 3 dell’articolo in questione, si dispone che «non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo», sancendo l’accoglimento della c.d. «teoria dei vantaggi compensativi». Tale teoria esclude che l’interesse gruppo sia illegittimo qualora si manifesti il conflitto, poiché il pregiudizio della società controllata sarebbe compensato dal profitto atteso dal gruppo16. Si è fatto notare come, con questa formulazione, «quello che meno rischierebbe sotto il profilo penale sarebbe il gruppo programmaticamente inefficiente, ossia quello che, pur penalizzando l’interesse sociale particolare di taluna sua componente, non riveli lo scopo di perseguire – né si riveli capace di produrre – alcun profitto»17: sarebbe stato auspicabile, pertanto, che la compensazione riguardasse l’assenza del danno della controllata, e non già l’ingiustizia del profitto del gruppo18. La critica fa leva anche sulla previsione della norma civilistica all’articolo 2497, comma 1, c.c., la quale trova il punto di equilibrio fra il danno patito dalla controllata e il risultato effettivamente conseguito dal gruppo: vengono così esclusi i vantaggi «fondatamente prevedibili».
Proprio sull’accertamento di tali vantaggi, si pongono ulteriori dubbi: sarebbe difficile configurare una compensazione fra un danno verificatosi e un vantaggio soltanto prevedibile. La giurisprudenza, pertanto, ha definito alcuni parametri per l’accertamento di tali vantaggi: non sarebbe, infatti, «sufficiente la mera speranza, ma che i vantaggi corrispondenti, compensativi della ricchezza perduta, siano «conseguiti» o «prevedibili» fondatamente e, cioè, basati su elementi sicuri, pressoché certi e non meramente aleatori o costituenti una semplice aspettativa; deve trattarsi, quindi, di una previsione di sostanziale certezza»19. Tale «fondata prevedibilità» del vantaggio presuppone, dunque, un controllo prognostico concreto, di natura tecnico-economica, sulla base degli elementi noti al momento dell’operazione, che hanno portato all’esito di una quasi certezza sul futuro riequilibrio dei vantaggi tra le società collegate al gruppo, tenendo però conto del fisiologico rischio d’impresa20.
1 SEMINARA, S., Diritto penale commerciale, Volume II, I reati societari, Torino, Giappichelli, 2018, 107.
2 BELLACOSA, M., Obblighi di fedeltà dell’amministratore di società e sanzioni penali, Milano, Giuffré, 2006, 20.
3 MUSCO, E., I nuovi reati societari, III edizione, Milano, Giuffré, 2007, 201.
4 PALIERO, C., Le Sezioni Unite invertono la rotta: è “comune” la qualifica giuridico-penale degli operatori bancari, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1987, 69.
5 Così FOFFANI, L., Le infedeltà, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di ALESSANDRI, A., Milano, Ipsoa, 2002, 345; MACCARI, A.L., Commento all’art. 2634, in I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, a cura di GIUNTA, F., Torino, Giappichelli, 2002, 150.
6 SEMINARA, S., op. cit., 109.
7 BONELLI, F., La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffré, 1992, 83.
8 FOFFANI, L., Reati societari, in PPEDRAZZI, C., ALESSANDRI, A., FOFFANI, L., SEMINARA, S., SPAGNOLO, G.,
(a cura di), Manuale di diritto penale dell’impresa, Seconda edizione aggiornata, Bologna, Monduzzi, 2000, 366.
9 MUSCO, E., op. cit., 212.
10 MAZZACUVA, N., AMATI, E., Diritto penale dell’economia, ed. IV, Wolters Kluwer, Milano, 2019, 130.
11 SEMINARA, S., op. cit., 110.
12 MAZZACUVA, N., AMATI, E., op. cit., 129.
13 FOFFANI, L., Art. 2634, in Commentario breve alle Leggi penali complementari, a cura di PALIERO, F., PALAZZO, C., Padova, Cedam, 2007, 1875.
14 MAZZACUVA, N., AMATI, E., op. cit., 132.
15 MONTALENTI, P., Conflitto di interesse nei gruppi di società e la teoria dei vantaggi compensativi, in Giurisprudenza commerciale, vol. V, parte I, 1995, 731.
16 FOFFANI, L., Le infedeltà, cit., 358.
17 FOFFANI, L., op. ult. cit., 358.
18 SEMINARA, S., op. cit., 116.
19 Corte. Cass. pen., sent. n. 38110 del 7 ottobre 2003.
20 MACCARI, A.L., op. cit., 166.
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