Infondata la domanda di ripetizione in costanza di rapporto ed in difetto di pagamenti solutori
Il Tribunale di Civitavecchia con sentenza del 18 novembre 2020 (riportata in calce) esclude per la ripetizione dell’indebito in difetto di pagamenti solutori.
La vicenda. Il correntista agisce, in costanza di rapporto, per la ripetizione dell’indebito sulla base di denunciate illegittimità negoziali in materia di anatocismo, usura, commissione di massimo scoperto ed altre patologie afferenti la tenuta del conto corrente affidato.
La banca deposita comparsa di costituzione con cui propone domanda riconvenzionale e chiama in causa i fideiussori dell’attore.
Il Tribunale di Civitavecchia non accoglie l’istanza per la nomina di C.T.U. avanzata da parte attrice, rigetta la domanda e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condanna in solito attore e terzi chiamati al pagamento della somma richiesta.
La motivazione del Tribunale. Il Tribunale biasima l’attore per omesse allegazioni e prove circa l’esecuzione di pagamenti integranti rimesse solutorie sul conto.
Nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, il Giudice pone nella corretta considerazione il diritto del correntista di agire per l’accertamento di nullità contrattuali, anche in costanza di rapporto, ma nega la configurabilità di un’azione di ripetizione in difetto di pagamenti aventi natura solutoria.
A questo punto il Tribunale ritiene esplorativa la richiesta di C.T.U.– in conformità con l’orientamento consolidato della giurisprudenza – perché è uno strumento di ausilio al Giudice per la valutazione di fatti che devono essere provati secondo le disposizioni di cui all’art. 2969 c.c.
Viceversa, la domanda afferente la declaratoria di nullità contrattuali è ammissibile, ma infondata alla luce dell’esame dei contratti in atti. Proprio in conseguenza dell’assenza di clausole illegittime e della completezza della documentazione prodotta dalla Banca, il Tribunale accoglie la domanda riconvenzionale.
Breve riflessione sull’azione in costanza di rapporto. La sentenza in esame stimola riflessioni in ordine ai presupposti dell’azione di ripetizione dell’indebito.
Il tenore letterale dell’art. 2033 c.c. consente di cogliere nel pagamento un antecedente logico, e quindi un presupposto, per la possibilità di agire in ripetizione.
In ambito bancario, la questione appare più complicata. Invero, la Suprema Corte, in materia di prescrizione del diritto del correntista alla ripetizione di quanto indebitamente pagato, distingue, come ormai noto, tra versamenti aventi natura solutoria e versamenti ripristinatori. Tuttavia solo i primi sono qualificabili come pagamenti in senso stretto in quanto hanno il fine di adempiere ad un’obbligazione e rappresentano una fonte di guadagno per la Banca. Sono tali i pagamenti effettuati dal correntista quando il rapporto di conto corrente non è affidato ovvero quando il saldo negativo non è nei limiti dell’affidamento. Viceversa, laddove il conto sia in passivo, ma sempre nei limiti del fido concesso, i versamenti del correntista avranno natura ripristinatoria. Questi, però non sono qualificabili come pagamenti e, pertanto, non sono idonei a sostenere l’azione di ripetizione promossa dal correntista.
Proprio in tema di pagamenti, la dottrina ha abbandonato da tempo una visione negoziale di tale atto, qualificandolo piuttosto come mero atto giuridico in senso stretto. Anche la tesi dell’estensione del concetto di indebito a qualsiasi pagamento non dovuto – per quanto vaga – pone il sacrificio dell’agente in ripetizione come antecedente logico per il sorgere di un concreto interesse ad agire.
A questo punto, l’orientamento della citata pronuncia ha il merito di abbracciare una visione più completa dell’istituto in commento, specie se posto in confronto a quello più drastico che, nel recente passato, escludeva in via generale la possibilità di agire in ripetizione. Proprio la distinzione tra le tipologie di versamenti, coniuga il più rigido orientamento di merito con quello di legittimità, riscontrante pur sempre un interesse ad agire del correntista. Ma è su questo punto che la decisione in esame ha il merito di approfondire l’indagine ermeneutica, spiegando i limiti dell’azione di ripetizione. In tal senso la decisione non soggiace a critiche impugnatorie ed a contestazioni di ordine dottrinale.
Tutto al più, volendo assumere un approccio critico, anche in relazione a tecniche redazionali, la sentenza è in parte connotata da eccesso di sinteticità, particolarmente rigido. Viceversa, il Tribunale avrebbe potuto maggiormente soffermarsi sul principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo percorribili altri rimedi diversi dall’azione di ripetizione. Così da consentire alla parte, anche senza l’assistenza del difensore, di comprendere al meglio che l’ordinamento non conosce aree sprovviste di tutela in virtù del principio di completezza dell’ordinamento giuridico. È bene ricordare, in proposito, le istanze del costituzionalismo moderno tendenti a esaltare – e a volte ad enfatizzare e/o esasperare – il concetto, ed il ruolo, del diritto vivente. Ebbene, volendo recepire anche le più blande e moderate teorie sul punto, con ciò vi è anche una funzione (atecnicamente) di divulgazione da parte del potere giudiziario. Se così fosse, allora sarebbe irruento l’auspicio che i Tribunali illustrino le ragioni della condivisione di una tesi – piuttosto che un’altra – ed indichino (o anche solo richiamino) le possibili alternative in ordine agli strumenti giuridici più idonei da far valere le ragioni del contendere innanzi l’Autorità giudiziaria.
Il Giudice di merito avrebbe quindi potuto assumere una tecnica redazionale un po’ analoga a quella perpetuata dalle Sezioni Unite, laddove il Giudice della nomofilachia, nell’escludere la configurabilità e la rilevanza della c.d. usura sopravvenuta, rileva la possibilità per il correntista di adottare rimedi alternativi all’azione di nullità, pur sempre stigmatizzando la scelta processuale – errata – addotata dalla parte.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI CIVITAVECCHIA
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Giulia Sorrentino, ha pronunciato la seguente
sentenza
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2080/2014 promossa da:
ATTORE CORRENTISTA S.R.L. ((…)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Patrizio Leopardo in Civitavecchia, via G. Matteotti n. 19, con l’avv. Rossi Domenico ((…)), dal quale rappresentato e difeso giusta procura a margine dell’atto di citazione – ATTORE –
contro
BANCA CONVENUTA ((…)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Rodolfo Antonini in Civitavecchia, Lungoporto Gramsci n. 63, con l’avv. Carnevali Antonella ((…)), dal quale rappresentato e difeso giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta – CONVENUTO –
TERZO CHIAMATO 1 (C.F. (…)) e TERZO CHIAMATO 2 ((…)), con il patrocinio dell’avv. ROSSI DOMENICO ((…)), elettivamente domiciliati in VIALE GIACOMO MATTEOTTI N. 19 00053 CIVITAVECCHIA presso lo studio dell’avv. LEOPARDO PATRIZIO, giusta procura a margine della comparsa di costituzione – TERZI CHIAMATI –
OGGETTO: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario)
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La ATTORE CORRENTISTA S.R.L. ha convenuto in giudizio la BANCA CONVENUTA al fine di ottenere la restituzione delle somme indebitamente pagate in esecuzione dei contratti di conto corrente ordinario n. (…) e di conto corrente anticipi n. (…), entrambi aperti il 17.3.2008, previa declaratoria di nullità degli stessi per usura, anatocismo, mancanza di sottoscrizione, difetto di causa della commissione di massimo scoperto e indeterminatezza della stessa, applicazione del sistema di valute fittizie e variazioni unilaterali peggiorative, illegittima girocontazione delle competenze del conto anticipi sul conto corrente ordinario, il tutto oltre al risarcimento del danno derivato dai fatti illeciti integrati dalle ipotesi di nullità prospettate.
Si è costituita BANCA CONVENUTA, contestando puntualmente le avverse deduzioni ed eccezioni e chiedendo il rigetto della domanda nel merito; inoltre, la convenuta ha spiegato domanda riconvenzionale di pagamento del saldo negativo del conto corrente ordinario, pari ad Euro 429.087,17, anche nei confronti dei fideiussori TERZO CHIAMATO 2 e TERZO CHIAMATO 1, di cui ha chiesto la chiamata in causa.
Autorizzata la chiamata, si sono costituiti TERZO CHIAMATO 2 e TERZO CHIAMATO 1 eccependo l’improcedibilità della domanda per mancato espletamento d el tentativo di mediazione e chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale in ragione dell’inesistenza, nullità e inefficacia dei contratti in essere con il debitore originario, nonché della nullità delle fideiussioni.
È stato espletato il tentativo di mediazione con esito negativo e, successivamente, su istanza della convenuta, il Giudice ha emesso ordinanza di ingiunzione provvisoriamente esecutiva ex art. 186 ter c.p.c. nei confronti della società attrice e dei terzi chiamati.
La causa, di natura documentale, è stata trattenuta in decisione all’udienza di precisazione delle conclusioni del 16.7.2020.
2.La domanda attorea è infondata per i motivi che seguono.
Va anzitutto premesso che la domanda attorea è volta ad ottenere la restituzione dell’indebito asseritamente versato nel corso dei rapporti di conto corrente e finanziamento, per cui, in applicazione delle ordinarie regole di riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., spetta agli attori l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, ovvero: 1) la non debenza dei versamenti (nel caso di specie ricondotta alle questioni di nullità sollevate da parte attrice); 2) l’avvenuto pagamento delle somme di cui si chiede la restituzione ex art. 2033 c.c..
Sotto quest’ultimo profilo, deve ritenersi che parte attrice era quindi onerata dell’allegazione e della prova di aver eseguito il pagamento delle rimesse di natura solutoria eseguite sui conti correnti.
Invero, va ricordato che alla luce di un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, cristallizzato nella nota pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010, le rimesse effettuate dal correntista nel corso del rapporto non possono essere considerate quali pagamenti ai fini dell’azione di ripetizione di indebito, salvo che sabbiano natura strictu sensu solutoria perché effettuate oltre i limiti del fido concesso o in assenza di fido. Pertanto, in caso di rimesse meramente ripristinatorie della disponibilità di credito sul conto, l’azione di ripetizione potrà essere esercitata solo alla chiusura del conto stesso, quando la Banca avrà effettivamente riscosso il saldo finale, nel computo del quale risultino comprese le somme non dovute.
A tal fine, per chiarezza espositiva, è utile riportare uno stralcio della sentenza Cass. civ. n. 798 del 15/01/2013: “le Sezioni unite di questa Corte (sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418) – affrontando la questione dell’individuazione del dies a quo della prescrizione dell’azione di ripetizione del cliente verso la banca con riguardo ad interessi che si assumevano, come nella specie, indebitamente corrisposti in relazione ad un’apertura di credito in conto corrente bancario – hanno fatto riferimento alla nota distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca (cfr. Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; e Cass. 23 novembre 2005, n. 24588), al fine di stabilire se (e quando) sia o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens. In tale prospettiva è stato osservato che, se pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, è indubbio che non vi sia stato alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato; nel caso, invece, che, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti, ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto “scoperto” (cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento) e non, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. Invero l’annotazione in conto di una posta di interessi (o di c.m.s.) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria nei termini sopra indicati in favore della banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa (allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli), ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto”.
Nel caso di specie, in applicazione dei principi di diritto sin qui richiamati, trattandosi di rapporti ancora in essere, parte attrice era quindi onerata dell’allegazione e della prova di aver eseguito i versamenti volti a ripianare lo scoperto di conto corrente per superamento del limite di affidamento (solutori), distinguendoli dai versamenti eseguiti al solo fine di ripristinare la provvista (che come detto non sono ripetibili in costanza di rapporto).
La domanda restitutoria risulta tuttavia carente sotto tale profilo sia in punto di allegazione che di prova e merita per ciò solo di essere rigettata.
Invero, in mancanza di allegazione dei pagamenti eseguiti, non può neppure applicarsi il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., il quale comporta che la parte onerata sia esonerata dalla dimostrazione di quei fatti e circostanze che, sebbene allegati, non siano stati specificatamente contesta ti dalla parte costituita (cfr. Cass. civ. n. 31619 del 06/12/2018: “Il principio di non contestazione opera in relazione a fatti che siano stati chiaramente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l’opportunità”).
Tali lacune non possono neppure colmarsi a mezzo di CTU che, come è noto, non è un mezzo di prova nella disponibilità delle parti ma uno strumento di ausilio al Giudice per la valutazione di dati già acquisiti al processo.
Sul punto, va ricordato che la Suprema Corte, proprio in materia di controversie di diritto bancario come quella che ci occupa, ha di recente ribadito che ha natura esplorativa la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega, ma non la consulenza intesa a ricostruire l’andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza, ipotesi questa che ricorre “quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse” (Cass. civ. del 23/02/2016 n. 5091, che richiama in termini Cass. civ. del 14/02/2006, n. 3191).
Nel caso di specie, posto che il pagamento delle somme di cui si chiede la restituzione ai sensi dell’art. 2033 c.c. integra un fatto costitutivo della domanda, come sopra precisato, e rilevato che l’accertamento dello stesso non richiede particolari cognizioni tecniche, la richiesta CTU deve ritenersi esplorativa.
3.Ciò posto, va comunque esaminata la domanda di nullità parziale dei contratti secondo quanto dedotto da parte attrice, in quanto avente autonoma rilevanza sotto il profilo dell’interesse ad agire (nel senso che deve comunque ritenersi sussistente l’interesse di parte attrice alla declaratoria di nullità del contratto, indipendentemente dall’infondatezza della domanda di ripetizione dell’indebito che ne consegue), trattandosi di rapporti ancora in corso al momento dell’introduzione della domanda.
Va anzitutto rilevato che la Banca convenuta ha prodotto in giudizio il contratto di apertura di conto corrente n. (…) del 28.3.2008, recante la sottoscrizione della ATTORE CORRENTISTA S.R.L., con compiuta indicazione delle condizioni economiche applicate (doc. 1 fascicolo di parte convenuta) e in particolare:
– Tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate per gli sconfinamenti fino a 150.000 euro: 6,770% (effettivo 6,9438%)
– Tasso debitore annuo nominale sulle somme utilizzate per gli sconfinamenti oltre a 150.000 euro: 13,750% (effettivo 14,4754%)
Risulta altresì prodotto in atti, munito delle relative sottoscrizioni, il contratto di conto corrente anticipi stipulato in pari data (doc. 2 fascicolo di parte convenuta) recante l’indicazione delle condizioni economiche applicate.
Ne consegue l’infondatezza della questione di nullità invocata da parte attrice con riferimento all’art. 117 TUB.
4.Circa la questione dell’usura, va evidenziato che parte attrice ha ricostruito il tasso effettivo globale, da confrontare con il tasso soglia, ricomprendendovi anche la percentuale dovuta a titolo di commissione di massimo scoperto.
Sul punto, va osservato che l’art. 2-bis, comma 2, del D.L. n. 185 del 2008 (convertito dalla L. n. 2 del 2009), che attribuisce rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e degli artt. 2 e 3 della L. n. 108 del 1996, agl i interessi, alle commissioni e alle provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’uso dei fondi da parte del cliente, non ha carattere interpretativo ma innovativo, e non trova pertanto applicazione retroattiva con riferimento ai rapporti esauritisi in data anteriore all’entrata in vigore della legge di conversione, con la conseguenza che, in riferimento a tali rapporti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto. Tale conclusione, già espressa dalla giurisprudenza della Suprema Corte a sezioni semplici (il riferimento è a Cass. civ. n. 22270 del 03/11/2016) è stata avallata dalla sentenza n. 16303 del 20/06/2018 emessa a Sezioni Unite di cui è utile riportare la massima: “In tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui all’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” – ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108 del 1996 – e con la “CMS soglia” – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati”.
Le conclusioni di parte attrice, laddove muovono dal presupposto della ricostruzione del TEG comprendendovi anche la commissione di massimo scoperto per tutta la durata del rapporto e dunque anche per il periodo antecedente all’entrata in vigore della L. n. 2 del 2009, si pongono in contrasto con i predetti principi e vanno quindi disattese.
5. Quanto all’anatocismo, va rilevato che i contratti di conto corrente e conto anticipi per cui è causa risultano conclusi entrambi in data 28.3.2008 (cfr. documenti 1 e 2 del fascicolo di parte convenuta) e dunque sono soggetti alla disciplina introdotta dall’art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 (art. 120 TUB come novellato) e dall’art. 2 della Del.CICR del 9 febbraio 2000 (in vigore dal 22 aprile 2000) – che stabiliscono la validità dell’anatocismo purché l’addebito e l’accredito degli interessi avvenga a tassi e con periodicità contrattualmente s tabiliti e con la medesima periodicità per gli interessi creditori e debitori. In altre parole, la disciplina normativa applicabile ratione temporis al contratto per cui è causa legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, purché sia prevista la pari periodicità di capitalizzazione per gli interessi attivi.
Nel caso di specie, le condizioni contrattuali relative ad entrambi i conti contengono l’espressa previsione che “I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità”; in effetti, le condizioni economiche riportate nel documento di sintesi contengono l’espressa previsione della periodicità trimestrale della capitalizzazione, riferita sia agli interessi attivi che a quelli passivi.
I contratti risultano quindi conformi alla disciplina sopra richiamata sotto il profilo dell’anatocismo.
6. La commissione di massimo scoperto risulta espressamente prevista nel contratto di conto corrente, con indicazione del suo valore numerico espresso in percentuale, della somma su cui viene applicata e della periodicità di applicazione, il che consente di individuare e comprendere i tratti essenziali dell’onere imposto dalla Banca, in ossequio al disposto dell’art. 117 del D.Lgs. n. 385 del 1993 che prevede la forma scritta a pena di nullità dei contratti bancari e di ogni altro prezzo e condizione praticati e dunque anche della commissione di massimo scoperto, quale onere del correntista, nonché dell’art. 1346 c.c., che prevede il requisito della determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto, a pena di nullità ex art. 1418 comma 2 c.c..
Pertanto, non si ravvisa l’ipotesi di nullità invocata.
Inoltre, va osservato che la commissione di massimo scoperto ha per certo una sua causa legittima in quanto, come pure riconosciuto dalla corte di legittimità, costituisce la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma (cfr. Cass. n. 870/2006): la commissione in parola si risolve, quindi, nel corrispettivo che il finanziatore pretende e percepisce per la concessione della mera possibilità di utilizzo del denaro.
Il contratto di conto corrente prevede altresì l’espressa indicazione del potere della Banca di variare unilateralmente i tassi e delle condizioni contrattuali, nel rispetto dell’art. 118 TUB, con clausola specificamente approvata per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c..
Anche tale doglianza appare dunque infondata.
Parimenti, risulta espressamente disciplinata in contratto l’applicazione delle valute.
Deve poi ritenersi legittimo l’addebito sul conto corrente ordinario delle competenze relative al conto anticipi, il quale è espressamente denominato come conto di transito e, pertanto, viene regolato sul conto corrente ordinario sia per quanto riguarda gli addebiti che per quanto riguarda gli accrediti.
8. L’infondatezza della tesi attorea con riferimento ad usura e anatocismo determina altresì il rigetto della domanda risarcitoria, avanzata appunto sul presupposto (disatteso) della sussistenza delle ipotesi di nullità prospettate.
9. Passando all’esame della domanda riconvenzionale, la stessa deve ritenersi fondata, in quanto la Banca convenuta ha prodotto in giudizio i contratti di conto corrente e conto anticipi nonché le fideiussioni, che devono ritenersi validi ed efficaci tra le parti.
In particolare, per quanto riguarda la fideiussione rilasciata da TERZO CHIAMATO 2 e TERZO CHIAMATO 1, deve osservarsi che il documento prodotto dalla Banca risulta privo di irregolarità formali e di vizi sostanziali, genericamente allegati dai terzi chiamati.
Inoltre, risultano agli atti gli estratti conto dall’inizio del rapporto, i quali, secondo consolidata giurisprudenza, hanno piena efficacia probatoria nel giudizio di opposizione, con la conseguenza che le relative risultanze possono essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni specifiche dirette contro determinate annotazioni (cfr. ad es.: Cass. n. 5675/2001; Cass. n. 14849/2000; Cass. n. 12169/2000; Cass. n. 9579/2000); l’estratto conto, del resto, costituisce prova anche nel giudizio contenzioso nei confronti del fideiussore (ex multis: Cass. n. 13889/2010; Cass. n. 11749/2006).
Pertanto, la domanda riconvenzionale deve trovare accoglimento.
L’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. emessa dal Giudice in data 17.11.2016 merita comunque di essere revocata in quanto con la stessa sono liquidate le spese di lite. Si noti infatti che la liquidazione delle spese di lite è prevista solo in caso di emissione dell’ordinanza ai sensi dell’art. 186 quater c.p.c., la quale è suscettibile di acquistare l’efficacia della sentenza impugnabile, mentre non è prevista nel caso di ordinanza ex art. 186 ter c.p.c., che è invece soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto della durata del processo e della quantità e qualità dell’attività difensiva svolta, nonché degli altri criteri stabiliti dall’art. 4, comma 1 del citato decreto, in rapporto ai parametri di liquidazione propri dello scaglione di valore proprio della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così decide:
– in via preliminare, revoca l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. emessa in data 17.11.2016;
– rigetta la domanda attorea;
– accoglie la domanda riconvenzionale e, per l’effetto, condanna ATTORE CORRENTISTA S.R.L., in solido con TERZO CHIAMATO 2 e TERZO CHIAMATO 1, al pagamento in favore della parte convenuta della somma di Euro 429.087,17, oltre interessi al tasso contrattualmente previsto e comunque nei limiti del tasso soglia vigente dal 19.8.2014 fino al saldo;
– condanna ATTORE CORRENTISTA S.R.L., in solido con TERZO CHIAMATO 2 e TERZO CHIAMATO 1, al pagamento in favore della parte convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 12.686,00, di cui Euro 11.472,00 per compensi ed Euro 1.214,00 per spese, oltre spese generali, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Civitavecchia, il 16 novembre 2020.
Depositata in Cancelleria il 18 novembre 2020.
N.B. provvedimento modificato nella parte grafica e nell’indicazione delle parti per garantire il rispetto della normativa sulla privacy.
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