Informativa antimafia atipica: legittima la revoca del contratto a distanza di tempo
Sommario: 1. Caratteri e finalità dell’informativa prefettizia antimafia – 2. Limiti del potere discrezionale e sindacato del G.A. – 3. Informativa atipica e altre forme di comunicazioni e informazioni prefettizie antimafia – 4. Revoca del contratto a distanza di tempo dall’informativa – 5. Rapporti con soggetti affiliati, organici e contigui alle associazioni
L’informativa antimafia atipica non ha, di per sé, natura automaticamente “interdittiva” e spetta all’Amministrazione valutare autonomamente e nell’esercizio del proprio potere discrezionale la rilevanza delle informazioni ricevute dalla Prefettura e le conseguenze derivanti dalle stesse. La comunicazione può, pertanto, essere oggetto di una successiva valutazione da parte della Pubblica Amministrazione, anche a distanza di tempo, che può portare alla revoca del contratto, specie ove siano intervenuti fatti nuovi che portino ad una legittima rivalutazione dell’interesse pubblico. È questo quanto ha stabilito il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana in una recentissima pronuncia resa all’esito di un ricorso promosso da un Comune per la riforma di precedente sentenza del T.A.R. Sicilia, sezione staccata di Catania, (C.G.A., 11 novembre 2019, n. 956).
1. Caratteri e finalità dell’informativa prefettizia antimafia
L’informativa prefettizia antimafia è stata oggetto, in una pronuncia dello scorso settembre, di un’approfondita disamina del Consiglio di Stato (Cons. di St., sez. III, 05/09/2019, n.6105) che ne ha ricostruito la natura e la finalità, precisando i presupposti ed i limiti dell’esercizio dell’ampio potere discrezionale della pubblica amministrazione in questa materia ed identificando i confini del sindacato giurisdizionale, chiamato a farsi “custode” delle necessarie condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale.
La finalità dell’informativa prefettizia è quella di garantire il contestuale perseguimento del buon andamento della P.A., ex art. 97 Cost, dell’ordine pubblico economico e della libertà economica, attraverso il contrasto alle mafie, nella loro poliedrica e multiforme complessità.
Nella relazione della Commissione Antimafia approvata il 7 febbraio del 2018, è stato evidenziato come le mafie adottino modelli organizzativi sempre più flessibili, ricercando la mimetizzazione e l’inabissamento. Una mafia silente, che è sempre più innervata anche nei diversi settori produttivi dell’economia legale. In particolare, in ambito pubblico le mafie ricercano un “accesso privilegiato alle risorse pubbliche tramite pressioni e accordi con le pubbliche amministrazioni, facendo largamente ricorso alla corruzione per facilitare l’infiltrazione negli appalti e nei sub-appalti od offrendosi a un tempo come garanti delle transazioni che prendono forma nei circuiti di «corruzione sistemica».”[1] Per eludere il sistema dei controlli, ed ottenere l’aggiudicazione degli appalti non è infrequente il ricorso ad “un terzo soggetto formalmente estraneo, una nuova società partecipata e amministrata da prestanome riconducibili alle famiglie malavitose, ma da loro formalmente distinta. Ciò viene attuato attraverso la costituzione di: società di capitali, per lo più nella forma di società a responsabilità limitata, sottocapitalizzate; società cooperative, appositamente costituite per l’esecuzione specifica di un lavoro, il cui punto di forza è rappresentato proprio dalla temporaneità della durata del rapporto, limitato nel tempo alla realizzazione dell’opera; raggruppamenti temporanei di impresa, costituiti per occultare la presenza di società direttamente riconducibili ai sodalizi criminali. Assume altresì rilievo la forma di infiltrazione nell’economia operata attraverso l’imposizione alle maggiori realtà imprenditoriali, anche di carattere nazionale (interlocutori privilegiati per l’aggiudicazione degli appalti in ragione della loro storia economico -lavorativa), di imprese legate ad associazioni criminali per l’esecuzione di piccoli lavori di subappalto”[2].
Considerata la capacità evolutiva e di adattamento del fenomeno mafioso, spesso sfuggente perfino a tentativi classificatori, secondo il Consiglio di Stato è del tutto naturale che “la funzione di “frontiera avanzata” svolta dall’informazione antimafia nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato impon[ga], a servizio delle Prefetture, un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica, del resto, è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini.” Una soluzione contraria basata su “l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa.” (Cons. di St., sez. III, 05/09/2019, n.6105).
2. Limiti del potere discrezionale e sindacato del G.A.
L’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui gode l’amministrazione in questa materia non è, ovviamente, illimitato. Indispensabile è un virtuoso bilanciamento con la tutela della libera iniziativa economica privata di cui all’art. 41 della Costituzione. Il legislatore del 2011 riconosce quale elemento fondante dell’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate». Tale clausola pur se generale ed aperta per il Consiglio di Stato “non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria valutazione su elementi “tipizzati” (quelli dell’art. 84, comma 4, lett. a), b), c) ed f)), ma su elementi riscontrati in concreto di volta in volta con gli accertamenti disposti, poiché il pericolo di infiltrazione mafiosa costituisce, sì, il fondamento, ma anche il limite del potere prefettizio e, quindi, demarca, per usare le parole della Corte europea, anche la portata della sua discrezionalità, da intendersi qui non nel senso, tradizionale e ampio, di ponderazione comparativa di un interesse pubblico primario rispetto ad altri interessi, ma in quello, più moderno e specifico, di equilibrato apprezzamento del rischio infiltrativo in chiave di prevenzione secondo corretti canoni di inferenza logica.”(Cons. di St., sez. III, 05/09/2019, n.6105).
L’informativa prefettizia antimafia è uno strumento di prevenzione, con natura cautelare, finalizzato a minimizzare il rischio che le PP.AA. possano contrarre con società a rischio di infiltrazioni mafiose. In quest’ottica non è richiesta la certezza probatoria raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio propria delle misure penali. La giurisprudenza è, invece, concorde nel ritenere che possa ritenersi adeguato e sufficiente il criterio civilistico della probabilità cruciale, ovvero del “più probabile che non”. Non si tratta di sanzionare o reprimere condotte illecite e penalmente rilevanti ma di evitare che si realizzi la probabilità dell’evento dell’infiltrazione mafiosa, grave minaccia all’ordine pubblico.
Come evidenzia il Consiglio di Stato, tuttavia, “Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»”
Trattandosi di atto di natura discrezionale, la valutazione prefettizia sarà sindacabile dal giudice sotto il profilo dell’eccesso di potere. Senza sostituirsi all’autorità ammnistrativa il giudice potrà dunque sindacare l’informativa in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti non entrando nel merito degli elementi, anche penalmente rilevanti, assunti alla base del provvedimento, spesso all’esito di complesse attività investigative.
L’interpretazione giurisprudenziale costante, seguita dal Consiglio di Stato, sul piano della tassatività processuale si fonda sul criterio probatorio della c.d. probabilità cruciale mentre sul piano della tassatività sostanziale “consente ragionevolmente di prevedere l’applicazione della misura interdittiva in presenza delle due forme di contiguità, compiacente o soggiacente, dell’impresa ad influenze mafiose, allorquando, cioè, un operatore economico si lasci condizionare dalla minaccia mafiosa e si lasci imporre le condizioni (e/o le persone, le imprese e/o le logiche) da questa volute o, per altro verso, decida di scendere consapevolmente a patti con la mafia nella prospettiva di un qualsivoglia vantaggio per la propria attività.”
Dalla lettura della più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di giustizia europea il Consiglio di Stato ritiene che tali condizioni di tassatività sostanziale e di tassatività processuale consentano una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della normativa in materia.
In particolare, la Corte costituzionale nella sentenza n. 24 del 2019, ha ammesso che, al di fuori della materia penale, l’esigenza di predeterminazione delle condizioni che legittimano la limitazione di un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto, possa essere garantita tenuto conto “dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione”.
3. Informativa atipica e altre forme di comunicazioni e informazioni prefettizie antimafia
Nel giudizio di fronte al CGA oggetto del presente contributo, l’informativa prefettizia atipica alla base delle determinazioni dell’Amministrazione risale al 2008 e si colloca, quindi, nel quadro normativo previgente al d.lgs 6 settembre 2011, n.159 (codice antimafia). L’ordinamento conosceva allora una tripartizione tra informative “ricognitive”, “interdittive” e “atipiche” o “supplementari”, quest’ultime prive del carattere indubbiamente escludente delle prime due e cui doveva, pertanto, far seguito una determinazione motivata dell’Amministrazione, in ordine alla convenienza di contrarre con la società attinta dall’informativa, ai fini dell’efficacia interdittiva. L’attuale sistema delineato dal codice antimafia prevede, al contrario, una ripartizione tra comunicazioni, consistenti in “attestazioni della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art.67” e informazioni con analogo contenuto ricognitivo o attestanti “la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o imprese interessate indicati nel comma 4 (art. 84 D.lgs n.159 del 2011). L’informativa interdittiva ha l’effetto di escludere l’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici che presuppongono l’utilizzo di risorse della collettività. In proposito, con una recente pronuncia, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che, nel rispetto della finalità del legislatore di evitare esborsi pubblicistici, a qualsiasi titolo, in favore di imprese condizionate da infiltrazioni mafiose, l’impresa oggetto di informativa perda, temporaneamente e reversibilmente l’idoneità ad essere titolare di diritti di credito verso la pubblica amministrazione e non possa pertanto percepire erogazioni dalla P.A. neppure a titolo di risarcimento danni (Cons. St, Ad.Pl., 6 aprile 2018, n.3).
È opinione prevalente che la mancata menzione dell’informativa atipica o supplementare nel codice antimafia del 2011 sia espressione della volontà del legislatore di cancellarne la rilevanza giuridica.
4. Revoca del contratto a distanza di tempo dall’informativa
La questione specificamente esaminata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana riguarda la legittimità della revoca, a distanza di tempo, di un contratto stipulato dalla Pubblica Amministrazione con una società, in relazione ad un’informativa atipica, per effetto di una nuova valutazione dell’interesse pubblico, debitamente ponderato con gli ulteriori interessi coinvolti.
L’Amministrazione, in sede di prima valutazione aveva ritenuto il quadro indiziario emergente dall’informativa prefettizia, nel quale si faceva riferimento a “cointeressenze societarie esistite nel tempo con congiunti di pregiudicati per associazione per delinquere di stampo mafioso”, non sufficiente a giustificare l’adozione di misure rescissorie.
A seguito di “sopravvenienze” e, in particolare, di un’ordinanza del Tribunale dalla quale il Comune apprendeva la circostanza che, oltre ad essere convivente con l’amministratrice in carica della società, il sig.X era sospettato esserne anche il concreto “amministratore di fatto” e che lo stesso era indagato per gravi reati contro l’Amministrazione pubblica, l’Amministrazione riteneva di dover esercitare il proprio potere di autotutela, riconsiderando la sua precedente valutazione, attività che, a prescindere dal nomen juris di rescissione erroneamente utilizzato dall’Amministrazione, va correttamente qualificata come revoca, nell’esercizio di poteri autoritativi, con conseguente classificazione della posizione giuridica protetta quale interesse legittimo (come peraltro già rilevato dal TAR) e conseguente radicamento della competenza in capo al G.A.
Per il CGA, “il mutamento di indirizzo a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico costituisce, infatti, una prassi ammessa dall’Ordinamento, ed a maggior ragione allorquando sopraggiungano fatti o norme che suggeriscano, o che impongano, di riesaminare la questione già affrontata. Ed all’esito di tale attività valutativa integrativa è giunta alla conclusione – non irrazionale, né contraddittoria, né tampoco immotivata – che la soluzione preferibile, a fronte delle evidenze sopravvenute, era quella di pervenire all’adozione dell’atto rescissorio.”
Quanto all’esercizio del potere di revoca, decorso un significativo lasso tempo, lo stesso CGA richiama il disposto della normativa antimafia applicabile, ratione temporis, al caso in questione che prevede espressamente che “la revoca e il recesso (… omissis …) si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto (…)” (art.92, comma 4, del d.lgs. n.159/2011).
L’informativa atipica, priva di effetti interdittivi automatici, ha lo scopo di rendere edotta l’Amministrazione dell’esistenza situazioni preoccupanti e potenzialmente sintomatiche di condizionamento mafioso e per il CGA non è suscettibile di scadenza.
5. Rapporti con soggetti affiliati, organici e contigui alle associazioni
Un particolare approfondimento merita anche il tema dei rapporti del contraente con elementi ed ambienti della criminalità organizzata. In linea generale, i rapporti intercorsi in passato con soggetti affiliati o contigui alle consorterie mafiose possono costituire soltanto un elemento indiziario e non probatorio dell’esistenza del pericolo dell’infiltrazione mafiosa e difficilmente, pertanto, relazioni occasionali e risalenti nel tempo potranno assumere rilievo probatorio.
In merito ai rapporti di parentela, secondo il Consiglio di Stato, l’influenza mafiosa “può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata ed in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso” ma, avuto riguardo alla natura e all’intensità del rapporto, che per la logica del “più probabile che non”, deve portare a ritenere “che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regia familiare che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto con il proprio congiunto.” (Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743). Con particolare riferimento al fenomeno mafioso non può ignorarsi che “la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto, che non sia attinto da pregiudizio mafioso, può subir[ne], nolente, l’influenza […]. Hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l’Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una ‘famiglia’ e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti. (Consiglio di Stato, Sez.III – Sentenza del 3 aprile 2019 n.2214)
Il C.G.A., nel caso in esame, distingue tra rapporto di parentela e di convivenza per cui “contrariamente a quanto avviene per la parentela (che non la si può scegliere), la “convivenza” fra maggiorenni si risolve in un fatto comportamentale che esprime una libera opzione. E poiché la convivenza implica – di regola (id est: fino a che non avvenga una dissociazione, che non può che essere foriera della imminente separazione) – la continua, permanente e duratura condivisione delle abitudini e delle prassi di vita, il reciproco coinvolgimento nelle attività quotidiane e la prestazione di atti di reciproca solidarietà, non v’è dubbio che le disposizioni che stigmatizzano negativamente la convivenza con un soggetto pregiudicato mafioso (cfr., al riguardo: art.67, comma 4, l’art.68, l’art.84 comma 4, lett. “f” e l’art.85 comma 3 del codice antimafia) non meritino censura sul piano logico-giuridico e non possano destare dubbi di legittimità costituzionale.” (Cga 11 novembre 2019, n. 956).
Per il Consiglio di Stato: “La libertà “dalla paura”, obiettivo al quale devono tendere gli Stati democratici, si realizza anche, e in parte rilevante, smantellando le reti e le gabbie che le mafie costruiscono, a scapito dei cittadini, delle imprese e talora anche degli organi elettivi delle amministrazioni locali, imponendo la legge del potere criminale sul potere democratico, garantito e, insieme, incarnato dalla legge dello Stato, per perseguire fini illeciti e conseguire illeciti profitti.” (Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105)
[1] XVII LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI — DOC. XXIII N. 34, p. 26
[2] XVII LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI — DOC. XXIII N. 38, p. 171
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Calogero Alberto Petix
Nato a Catania il 18/06/1981. Dal 2012 è funzionario amministrativo giuridico legale e contabile del MIUR presso il provveditorato di Agrigento, ove coordina la gestione giuridica del personale docente ed ATA (organici, mobilità e reclutamento) e, su incarico dell’Assessorato regionale all’Istruzione e Formazione professionale, esercita la funzione di revisore dei conti nelle Istituzioni scolastiche. Dottore di ricerca in Pensiero Politico e Istituzioni nelle società mediterranee. Laureato in Scienze Politiche e in Storia Contemporanea, con lode, ha conseguito altresì ulteriori titoli post-lauream in ambito giuridico, metodologico-didattico e della progettazione europea. Ha collaborato con il quotidiano “La Sicilia” ed è stato docente esperto esterno in numerosi progetti di arricchimento dell’offerta formativa nelle scuole, finanziati con il fondo sociale europeo. Ha pubblicato saggi scientifici sul pensiero politico del periodo rivoluzionario francese, in riviste nazionali ed internazionali.