Interdittive antimafia: il rinnovato quadro normativo e il recente arresto dell’Adunanza Plenaria

Interdittive antimafia: il rinnovato quadro normativo e il recente arresto dell’Adunanza Plenaria

Sommario: 1. Premessa – 2. Il nuovo quadro normativo in tema di interdittive antimafia – 3. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 28.01.2022, n. 3: soci e amministratori non sono legittimati ad impugnare l’interdittiva antimafia

 

1. Premessa

L’istituto dell’interdittiva antimafia costituisce, ai sensi dell’art. 89 bis d.lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia)[1], una misura di carattere preventivo e non sanzionatorio, assunta dal Prefetto territorialmente competente nei confronti di un soggetto, generalmente un’impresa, sulla base di elementi sintomatici e indiziari dai quali desumere il pericolo di tentativo di infiltrazione mafiosa nei confronti dell’attività imprenditoriale riferibile a quel soggetto.

La rilevanza del problema della diffusione della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale italiano ha imposto l’intervento del legislatore finalizzato ad arginare il fenomeno evitando l’infiltrazione dell’azione criminosa nel mercato con meccanismi distorsivi della concorrenza. Pertanto, il legislatore del Codice antimafia ha disciplinato tale strumento preventivo con carattere non definitivo, ma provvisorio, implicante, tuttavia, effetti molto gravosi sull’attività imprenditoriale del soggetto attinto dall’interdittiva che, a titolo esemplificativo, impedisce la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica, costituendo, altresì, ostacolo allo svolgimento di attività a carattere privato soggette a SCIA.

L’interdittiva si connota, quindi, per essere un provvedimento esercizio del potere discrezionale del Prefetto sull’operatore economico in odore di infiltrazione mafiosa, incidente sui rapporti con la Pubblica Amministrazione ed idoneo a generare un’incapacità in ambito pubblicistico,  “parziale”, in quanto il soggetto destinatario dell’interdittiva non è appunto in grado di instaurare rapporti amministrativi e contrattuali con la Pubblica Amministrazione e di tipo tendenzialmente “temporaneo”, cioè esistente finché perdura l’interdittiva.

I presupposti di emanazione dell’interdittiva antimafia sono stati tipizzati dalla giurisprudenza: in particolare, il Prefetto può adottarla non solo in presenza di condanne per reati spia[2] sintomatici dell’infiltrazione della criminalità organizzata, ma anche sulla scorta di uno specifico quadro indiziario, potendo rilevare in quest’ambito dichiarazioni di pentiti, frequentazioni elettive, rapporti di parentela con soggetti malavitosi, ove al dato dell’appartenenza familiare si accompagni la frequentazione, la convivenza o la comunanza di interessi con l’individuo sospetto[3].

Pertanto, la misura interdittiva, in quanto ispirata ad una logica di massima anticipazione della soglia di  difesa sociale, può essere emessa anche in assenza di condanna penale o di elementi certi in merito alla sussistenza di una contiguità dell’impresa con la criminalità organizzata, ovvero sulla scorta di meri elementi indiziari e sintomatici del pericolo di infiltrazione mafiosa, con ricadute importanti per la libertà di impresa, integrando, pertanto, uno strumento espressione di una lata discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa.

Così ricostruito, l’impianto normativo in tema di interdittive antimafia ha posto rilevanti problemi di compatibilità con le garanzie costituzionali, rappresentate, in primis, dalla tutela del diritto di iniziativa economica ex art. 41 Cost., nonché, in secondo luogo, dai diritti fondamentali riconosciuti ai sensi degli artt. 2, 3 27, 97, 111, 113, 117, comma 1, Cost., giacché la misura in questione viene irrogata sulla base di meri sospetti, dovendosi, per contro, esigere obiettivi e univoci elementi tali da concretizzare il rischio di condizionamenti mafiosi nella conduzione dell’impresa.

Tuttavia, la Consulta[4] ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale in quanto, pur comportando il potere di interdittiva un grave sacrificio della libertà di impresa, il medesimo è giustificato dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana[5]. Non solo. La previgente disciplina in tema di interdittive antimafia presentava profili di contrasto con l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza – “diritto ad una buona amministrazione” sotto il profilo del rispetto al diritto al contraddittorio– e con l’art. 6 Cedu – “diritto al processo equo”[6].

In particolare, si è sostenuta, sotto il primo profilo, la rilevanza, almeno indiretta, delle interdittive antimafia con diritti fondamentali ed interessi di stampo comunitario in quanto funzionale ad impedire turbative del mercato ed espungere le imprese esposte ad infiltrazione mafiosa in grado di inquinare il confronto competitivo. Il diritto al contraddittorio assurge, inoltre, a principio generale del diritto dell’UE, perlomeno, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia ogni volta in cui gli Stati membri adottano provvedimenti che rientrano nella sfera di applicazione del diritto UE[7].

In merito, invece, al profilo di contrasto con la Convenzione EDU, vengono in rilievo oltre l’art. 1 del Primo Protocollo addizionale sulla tutela dei beni nel senso lato interpretato dalla Corte di Strasburgo[8], l’art 6 in tema di diritto ad un processo equo[9]. In tal caso, è stato sostenuto come l’applicabilità di tale ultima disposizione normativa sia prospettabile anche rispetto “ai procedimenti amministrativi preordinati all’applicazione di sanzioni afflittive secondo un concetto di pena in senso sostanziale, risultando afflittive le sanzioni “severe” ovvero implicante “conseguenze patrimoniali importanti[10], con il profilarsi del dibattito relativo alla rincoducibilità o meno delle interdittive antimafia all’ambito delle sanzioni afflittive in chiave CEDU[11].

La giurisprudenza, ma in special modo la dottrina[12], ha, infine, posto in evidenza i numerosi profili di criticità del predetto impianto normativo non soltanto con particolare riferimento alle garanzie costituzionali sopra menzionate, ma anche in relazione ai relativi presupposti, effetti e mancato contraddittorio con il soggetto sottoposto alla misura interdittiva.

2. Il nuovo quadro normativo in tema di interdittive antimafia

Sulla spinta della giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria, il legislatore è, pertanto, intervenuto apportando rilevanti innovazioni al sistema di prevenzione antimafia regolamentato dal vigente d.lgs. n. 159/2011 mediante il d.l. n. 152 del 6 novembre 2021, rubricato “Disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR e per la prevenzione dalle infiltrazioni mafiose” convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233, che attua un equo contemperamento fra due contrapposte esigenze: da un lato, la tutela dell’ordine pubblico mediante il contrasto dell’infiltrazione criminale, dall’altro lato, il rispetto della libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita e delle garanzie procedimentali.

Si tratta di previsioni fortemente innovative rispetto all’impianto normativo previgente dirette al rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia, nonché al potenziamento della celerità delle procedure. La modifica normativa ha, in particolare, riguardato l’articolo 92 in tema di procedimento di rilascio dell’interdittiva antimafia nonché l’introduzione dell’art. 94-bis recante il nuovo istituto, alternativo all’interdittiva, della prevenzione collaborativa.

In sintesi, il legislatore con questa novella ha introdotto le seguenti novità: 1) ha, in primo luogo, rafforzato il contraddittorio procedimentale, che si configura come obbligatorio e non più come eventuale, a discrezione del Prefetto, salve “esigenze di particolari celerità del procedimento” nonché per elementi il cui disvelamento “sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose”[13]; 2) ha previsto in un’ottica collaborativa per l’impresa indiziata di essere esposta al pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata, la possibilità di adottare, in seguito al contraddittorio, misure idonee (quali, a titolo esemplificativo, il mutamento della composizione degli organi di amministrazione o la sostituzione degli organi sociali) al fine di scongiurare l’interdittiva, che integra, pertanto, un’extrema ratio; 3) infine, viene valorizzato ed introdotto l’istituto della “prevenzione collaborativa” adottato dal Prefetto qualora i tentativi di infiltrazione siano relativi a collaborazioni occasionali, imponendo all’impresa una serie di misure cautelative indicate dalla disposizione normativa, quali l’adozione di misure organizzative (anche ai sensi degli articoli 6.7 e 24 ter d.lgs. 231/2001) o l’utilizzo di un conto corrente dedicato. Il Prefetto può, inoltre, nominare uno o più esperti con il compito di svolgere funzioni di supporto, con oneri a carico dell’impresa. In tal modo, si realizza una sorta di “cogestione aziendale alternativa all’interdittiva analoga, ma diversa rispetto al controllo giudiziario previsto dall’art 34 bis codice antimafia disposto dal G.O., il quale, per contro, interviene dopo l’interdittiva, facendone venir meno gli effetti con efficacia ex nunc”[14].

Con particolare riguardo alla prima grande novità introdotta dal d.l. n. 152/2021, la finalità della tempestiva comunicazione all’interessato contenente gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa consiste nel consentire allo stesso un’ampia partecipazione al procedimento. Difatti, il soggetto in questione, nei venti giorni dalla comunicazione, può presentare per iscritto osservazioni, eventualmente corredate da documenti, nonché chiedere l’audizione.

La partecipazione può essere sia di tipo difensivo, ovvero diretta a eliminare o attenuare le risultanze negative dell’istruttoria, oppure di tipo proattivo, ovvero consistente nell’adottare idonee misure di self-cleaning nel periodo temporale intercorrente tra il ricevimento della comunicazione e la conclusione del procedimento.

Il d.l. n. 152/2021 ha, inoltre, inserito nell’art. 92 del d.lgs. n. 159/2011 un ulteriore comma 2-quater che dispone nei seguenti termini: “Nel periodo tra la ricezione della comunicazione di cui al comma 2-bis e la conclusione della procedura in contraddittorio, il cambiamento di sede, di denominazione, della ragione o dell’oggetto sociale, della composizione degli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, la sostituzione degli organi sociali, della rappresentanza legale della società nonché della titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, il compimento di fusioni o altre trasformazioni o comunque qualsiasi variazione dell’assetto sociale, organizzativo, gestionale e patrimoniale delle società e imprese interessate dai tentativi di infiltrazione mafiosa, possono essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione dell’informazione interdittiva antimafia”. La previsione in questione è stata salutata con favore ed appellata quale “novità di grande rilievo” in quanto “consente all’interessato di adottare misure di self cleaning organizzative, depurandosi in via autonoma da quegli elementi aziendali che avevano dato luogo al sospetto di infiltrazione o agevolazione e ripristinare la piena legalità dell’impresa senza subire gli effetti negativi dell’interdittiva”[15]. A tal proposito, si è, inoltre, parlato di contraddittorio in chiave collaborativa finalizzato alla definizione ed attuazione di misure idonee a dissolvere qualsiasi tipo di condizionamento mafioso nell’ottica di evitare l’emanazione del provvedimento di interdittiva[16].

Per quanto concerne, infine, l’istituto di nuovo conio della “prevenzione collaborativa”, ai sensi dell’art. 94-bis del d.lgs. n. 159/2011[17], la finalità di tale misura di contrasto alla criminalità organizzata presenta profili di similitudine con il diverso strumento del “controllo giudiziario” di cui all’art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011[18], in quanto risulta ispirato alla medesima esigenza di tutela dell’impresa attinta solo in via occasionale da tentativi di infiltrazione mafiosa, preservandone la struttura in luogo dell’utilizzo di misure interdittive maggiormente invasive idonee a colpire irreversibilmente l’impresa medesima. In particolare, la prevenzione collaborativa è qualificabile come istituto di prevenzione antimafia di stampo “conservativo”, di carattere meno invasivo rispetto alle altre misure conservative, ed è volta a porre in essere una collaborazione preventiva con l’impresa interessata mediante l’adozione di idonee misure organizzative puntualmente enucleate dalla norma sopra citata.

L’istituto della prevenzione collaborativa risulta, altresì, maggiormente conforme al principio di ragionevolezza, nonché al principio comunitario di proporzionalità, poiché è diretta al conseguimento del risultato voluto, rappresentato dall’eliminazione di situazioni patologiche riguardanti l’impresa, mediante il minor sacrificio per la contrapposta libertà di iniziativa economica.

Per quanto riguarda, invece, i profili discretivi della misura in esame con il controllo giudiziario a domanda, richiesto dallo stesso soggetto destinatario del provvedimento di interdittiva previamente impugnata di fronte al giudice amministrativo e la cui operatività implica la sospensione degli effetti dell’interdittiva, la prevenzione collaborativa non presuppone ancora, come sopra esposto, l’adozione del provvedimento di interdittiva, configurandosi, tuttavia, come una sorta di controllo giudiziario, nel senso che il soggetto destinatario dell’interdittiva continua a svolgere attività di impresa, ma è tenuto ad una serie di obblighi, a titolo esemplificativo, di tracciamento e di comunicazione dei pagamenti[19].

3. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 28.01.2022, n. 3: soci e amministratori non sono legittimati ad impugnare l’interdittiva antimafia

L’Adunanza Plenaria[20] ha sancito il principio di diritto secondo il quale gli amministratori e i soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva antimafia non sono titolari di legittimazione attiva all’impugnazione di tale provvedimento.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa (C.g.a.) per la Regione Siciliana[21] aveva sollevato la questione facendo presente che sul tema non vi era univocità di vedute nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, registrandosi la sussistenza di due contrapposti orientamenti: un primo orientamento sottolineava l’inammissibilità del ricorso presentato da parte di soggetti diversi dall’impresa attinta dall’interdittiva per carenza di legittimazione attiva, asserendo che il decreto prefettizio può essere impugnato unicamente dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti sulla posizione giuridica di interesse legittimo[22]. Per contro, un diverso orientamento aveva riconosciuto la legittimazione attiva ad impugnare l’interdittiva in favore degli ex amministratori della società in considerazione della lesione concreta ed attuale inferta alla situazione professionale e patrimoniale subita dai predetti soggetti costretti a rinunciare all’incarico, nonché sotto il profilo del pregiudizio potenziale inferto alla reputazione ed all’onore dei medesimi alla luce dell’ipotizzato condizionamento mafioso[23].

Il C.g.a. si era dichiaratamente schierato in favore del secondo orientamento sopra richiamato, perlomeno nell’ipotesi in cui venisse allegato un pregiudizio diretto ed immediato patito in seguito all’interdittiva da parte degli ex soci e amministratori. Inoltre, aveva argomentato la propria posizione sostenendo come l’omessa partecipazione al contraddittorio endoprocedimentale potesse essere compensata attraverso il riconoscimento della legittimazione ad agire in favore dei predetti soggetti. In questa prospettiva, veniva, infatti, precisato che “il sacrificio delle garanzie procedimentali potrebbe essere bilanciato dalla possibilità di far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale anche da parte dei soggetti che sono immediatamente e gravemente incisi dal provvedimento prefettizio, sebbene non formalmente diretti destinatari dello stesso” pena l’evidente tensione con “principi eurounitari (n.d.r.: cioè, il principio del contraddittorio prima dell’adozione di provvedimenti che incidono sensibilmente su interessi di soggetti specifici), oltre che con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.”.

L’Adunanza Plenaria, invece, si esprime in senso contrario al riconoscimento di un’autonoma legittimazione attiva in capo ai soci ed amministratori di una società destinataria di interdittiva antimafia. In particolare, il Collegio muove dalla considerazione della natura “soggettiva” della giurisdizione amministrativa, essendo la medesima correlata alla titolarità di una posizione giuridica soggettiva azionata nel processo.

Com’è noto, infatti, anche alla luce di un precedente arresto della Plenaria sul punto[24], la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione costituiscono il riflesso della natura soggettiva della giurisdizione amministrativa che, come tale, quindi, non è preordinata a garantire la generale legittimità dell’agere publicum secondo un’accezione oggettiva, bensì è volta tutelare la situazione giuridica soggettiva di cui il soggetto è titolare e che risulta correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio del potere amministrativo.  In particolare, l’interesse ad agire si concreta nella lesione della situazione giuridica soggettiva, cioè dell’utilità ritraibile dalla sentenza del giudice, mentre la legittimazione ad agire presuppone la titolarità della situazione giuridica soggettiva lesa.

Ciò posto, secondo la Plenaria, ciò che si appalesa dirimente ai fini del riconoscimento di un’autonoma legittimazione ad agire è la sussistenza di una posizione giuridica di interesse legittimo in capo ai ricorrenti e ciò che connota tale situazione giuridica soggettiva, in particolare rispetto a quella di diritto soggettivo, è proprio la sua stretta inerenza all’esercizio del potere amministrativo. Pertanto, la legittimazione al ricorso si configura solo laddove l’ampliamento o la compressione del patrimonio giuridico derivi direttamente proprio dall’esercizio del potere amministrativo. In assenza, invece, di questa posizione di stretta inerenza all’esercizio del potere, anche se sono individuabili generiche posizioni di interesse, ad esempio scaturenti dai rapporti intercorrenti tra il soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti, tali relazioni danno unicamente la stura alla possibilità di dispiegare un intervento in giudizio, ma non all’impugnazione diretta ed autonoma del provvedimento.

Il Collegio svolge poi argomentazioni simili sul piano del procedimento amministrativo, evidenziando come la l. n. 241 del 1990 preveda due forme di partecipazione procedimentale cui sono ricollegabili altrettante distinte forme di partecipazione processuale. Se, infatti, da un lato, è contemplata una partecipazione endoprocedimentale “piena” per il destinatario diretto del provvedimento, cui è ricollegata la legittimazione ad agire o resistere nel processo, dall’altro lato, è prevista una diversa forma di partecipazione ex art. 9 della l. n. 241/1990 per tutti gli altri soggetti portatori di interesse cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, rispetto ai quali sussiste unicamente la possibilità di avvalersi dello strumento dell’intervento ad adiuvandum o ad opponendum.

In conclusione, secondo la Plenaria, in capo agli amministratori e soci della società attinta da interdittiva antimafia non sussiste una posizione giuridica personale e immediata nei confronti del potere amministrativo tale da implicare la sussistenza di una legittimazione ad agire in giudizio a sua tutela in conformità a quanto previsto dagli artt. 24 e 113 della Costituzione. Difatti, solo il soggetto che subisce gli effetti diretti del provvedimento – quindi la società che ne è destinataria – si pone in un rapporto immediato e diretto con il potere amministrativo, patendo quindi una lesione immediata e diretta della propria posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo, con conseguente titolarità della legittimazione al ricorso ai sensi dell’art. 7, comma 1, del c.p.a. Differente è, invece, la posizione degli ex soci ed amministratori della società destinataria dell’interdittiva antimafia, i quali non si pongono in relazione diretta e immediata con il potere amministrativo, subendo unicamente un pregiudizio di natura riflessa scaturente dal diverso rapporto contrattuale che li lega alla società. Tuttavia, tale rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia.

Ad ogni buon conto, poiché tale provvedimento è comunque suscettibile di determinare “pregiudizi” sulla sfera giuridica di ex soci e amministratori, questi ultimi potranno, nell’ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità e ricorrendone i presupposti, dispiegare un intervento in giudizio, ad adiuvandum, cioè a sostegno delle ragioni della società.

 

 

 

 

 


[1] Art. 89 bis D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (“Accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di comunicazione antimafia”): “1. Quando in esito alle verifiche di cui all’articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un’informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia. 2. L’informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta”.
[2] T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 19 aprile 2021, n.1229.
[3] Ex multis Consiglio di Stato sez. VI, 19 ottobre 2009, n. 6380.
[4] Corte Costituzionale sent. 26 marzo 2020, n. 57.
[5] AMOVILLI, P., Brevi note in tema di riforma delle interdittive antimafia contenuta nel d.l. 6 novembre 2021, n. 152 convertito dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233 per l’attuazione del PNRR, in www.giustizia-amministrativa.it, Dottrina, 31 gennaio 2022, 2.
[6] AMOVILLI P., op. cit., 6.
[7]  C.G.U.E. sent 5 novembre 2014 C-166/13
[8] Che risulta comprensivo non solo della proprietà di beni immobili ed immobili, ma anche degli interessi derivanti da concessioni amministrative, da licenze di sfruttamento, dalla registrazione di un marchio o di brevetti o i diritti derivanti da autorizzazione alla somministrazione di alcolici cfr. sent. Corte EDU 25 marzo 1999 n. 31107/96 – Iatridis c. Grecia.
[9]  Secondo l’art. 6 (diritto ad un processo equo) della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, la qualificazione secondo il diritto interno di tali misure come di prevenzione non ne impedisce, almeno in ipotesi, la qualificazione in chiave convenzionale quali misure di tipo afflittivo ovvero di pene in senso sostanziale. Si veda in tal senso Corte EDU 8 giugno 1976 Engel e a.c. paesi Bassi; Id sez. I, 10 dicembre 2020 Edizioni del Roma s.c.r.l. c/Italia.
[10] AMOVILLI P., op. cit., 8.
[11] Per una ricostruzione del dibattito, si veda LONGO A., La massima anticipazione di tutela. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, in www.federalismi.it n. 19/2019. Sostiene la natura sostanzialmente penale dell’interdittiva anche PROVENZANO P. Note minime in tema di sanzioni amministrative e materia penale, in Riv. It. Dir. Pubbl. comunit. 2018,6.
[12] BORDIN L., Contraddittorio endoprocedimentale e interdittive antimafia: la questione rimessa alla Corte di Giustizia. E se il problema fosse altrove? in www.federalismi.it n. 22/2020; LONGO A., La massima anticipazione di tutela. Interdittive antimafia e sofferenze costituzionali, in www.federalismi.it n. 19/2019.
[13] Art. 48, comma 1, lettere a), del D.L. 6 novembre 2021, n. 152 introduce nell’art. 92 del D.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. il comma 2-bis: “Il prefetto, nel caso in cui, sulla base degli esiti delle verifiche disposte ai sensi del comma 2, ritenga sussistenti i presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia interdittiva ovvero per procedere all’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 bis, e non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento, ne dà tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa. Con tale comunicazione è assegnato un termine non superiore a venti giorni per presentare osservazioni scritte, eventualmente corredate da documenti, nonché per richiedere l’audizione, da effettuare secondo le modalità previste dall’articolo 93, commi 7, 8 e 9. In ogni caso, non possono formare oggetto della comunicazione di cui al presente comma elementi informativi il cui disvelamento sia idoneo a pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. La predetta comunicazione sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio, il termine di cui all’articolo 92, comma 2. La procedura del contraddittorio si conclude entro sessanta giorni dalla data di ricezione della predetta comunicazione”.
[14] AMOVILLI, P, op. cit., 13. T.A.R. Emilia-Romagna Bologna sez. I, 6 dicembre 2021, n. 997.
[15] VULCANO M, Le modifiche del decreto legge n. 152/2021 al codice antimafia: il legislatore punta sulla prevenzione amministrativa e sulla compliance 231 ma non risolve i nodi del controllo giudiziario, in Giurisprudenza penale web, 2021, XI, 8.
[16]  AMOVILLI, P., op. cit.
[17] Art. 49 D.L. 152/2021 “Prevenzione collaborativa”: “Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo l’art. 94 è inserito il seguente: “Art. 94-bis (Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale) – 1. Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure: a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; b) comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal prefetto, sentito il predetto gruppo interforze, in relazione al reddito della persona o del patrimonio e del volume di affari dell’impresa; c) per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di terzi; d) comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in partecipazione stipulati; e) utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva, per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b), nonché per i finanziamenti di cui alla lettera c), osservando, per i pagamenti previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 13 agosto 2010, n. 136, le modalità indicate nella stessa norma. 2. Il prefetto, in aggiunta alle misure di cui al comma 1, può nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre, individuati nell’albo di cui all’articolo 35, comma 2-bis, con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa. Agli esperti di cui al primo periodo spetta un compenso, quantificato con il decreto di nomina, non superiore al 50 per cento di quello liquidabile sulla base dei criteri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010, n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell’impresa, società o associazione. 3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui all’articolo 34 bis, comma 2, lettera b). Del periodo di loro esecuzione può tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. 5. Le misure di cui al presente articolo sono annotate in un’apposita sezione della banca dati di cui all’articolo 96, a cui è precluso l’accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai sensi dell’articolo 83 bis, e sono comunicate dal prefetto alla cancelleria del Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione”.
[18] Art. 47 del D.L. n. 152/2021 “Amministrazione giudiziaria e controllo giudiziario delle aziende”: “All’art. 34 bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: “a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Nel caso in cui risultino applicate le misure previste dall’art. 94-bis, il Tribunale valuta se adottare in loro sostituzione il provvedimento di cui al comma 2 lett. b), b) al comma 6, secondo periodo, le parole “Il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente, il prefetto che ha adottato l’informazione antimafia interdittiva nonché”; c) il comma 7 è sostituito dal seguente: “Il provvedimento che dispone l’amministrazione giudiziaria prevista dall’articolo 34 o il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94. Lo stesso provvedimento è comunicato dalla cancelleria del tribunale al prefetto dove ha sede legale l’impresa, ai fini dell’aggiornamento della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia di cui all’articolo 96, ed è valutato anche ai fini dell’applicazione delle misure di cui all’articolo 94 bis nei successivi cinque anni”.
[19] Per una riflessione sul tema si veda QUINTO P., La riforma dell’interdittiva antimafia per l’attuazione degli interventi del PNRR, in www.lexitalia.it 12/2021 nonché PASQUARIELLO C., Prevenzione collaborativa e contraddittorio per le interdittive antimafia, in www.moltocomuni.it.
[20] Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2022, n. 3.
[21] C.g.a., 19 luglio 2021, n. 726.
[22] In tal senso Cons. Stato, sez. III, 14 ottobre 2020 n. 6205, 22 gennaio 2019 n. 539, 16 maggio 2018 n. 2895, 11 maggio 2018 nn. 2824 e 2829).  
[23] In tal senso Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2017 n. 1559.
[24] Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4.

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