Interesse ad impugnare e giudizio di subvalenza delle circostanze aggravanti
Con la sentenza n. 51709 pubblicata in data 15 novembre 2018, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento nomofilattico, maggioritario e più recente, in materia di interesse a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 568, comma quarto, c.p.p., privilegiandone una lettura dinamica e funzionale, in ragione dell’individuazione di una concreta ed attuale utilità sostanziale che l’imputato potrebbe trarre dal proponendo gravame.
Il fatto storico portato a cognizione del Supremo Collegio aveva ad oggetto l’impugnazione proposta avverso una sentenza della Corte di Appello la quale, nel confermare la precedente statuizione di condanna resa dal Tribunale, aveva operato un giudizio di subvalenza della contestata circostanza aggravante, rispetto alle riconosciute circostanze attenuanti generiche.
Segnatamente, i ricorrenti deducevano, con un unico (e generico) motivo di ricorso il vizio di violazione di legge, avendo il giudice di seconde cure erroneamente riconosciuto la sussistenza della circostanza aggravante de qua, nonostante l’aumento di pena per essa previsto fosse stato “assorbito” – per difetto – dalla diminuzione contemplata dall’art. 62-bis c.p. e riconosciuta a beneficio degli imputati.
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua, come sopra evidenziato, dell’adesione al preferibile orientamento “sostanzialistico” dell’interesse a ricorrere contemplato dall’art. 568, comma quarto, c.p.p.
Al riguardo, la Quinta Sezione prende atto dell’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sulla questione dell’interesse dell’imputato a proporre un’impugnazione volta esclusivamente ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti.
Secondo un primo, e prevalente, orientamento deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse l’impugnazione dell’imputato volta esclusivamente ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, quando la stessa sia già stata ritenuta subvalente rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti e i fatti posti a suo fondamento non siano stati in alcun modo valutati dal giudice in un’ottica di maggiore gravità dell’addebito, dovendo escludersi qualsiasi possibilità di effetti pregiudizievoli per l’imputato (ex pluribus, cfr. Csss. Pen., Sez. I, sent. n. 39215 del 03.07.2017; Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 20328 del 11.01.2017; Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 38967 del 24.06.2015).
Altro e minoritario orientamento, viceversa, ravvisa, comunque, un interesse dell’imputato a proporre appello al fine di ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante anche quando con il provvedimento impugnato gli siano state concesse circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza su tale aggravante, poiché costituisce suo diritto vedersi riconoscere colpevole di una condotta meno grave di quella contestatagli (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 35429 del 24.06.2014; Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 27826 del 13.06.2013) atteso che non si potrebbe negare l’interesse dell’imputato a vedere rimossa dalla pronuncia di condanna l’attribuzione di un’aggravante insussistente o, per qualsiasi altra ragione, concretamente inapplicabile, posto che la qualificazione del fatto in termini di maggiore gravità potrebbe, comunque, avere influenza sulla determinazione della pena ex art. 133 c.p.
In particolare, non varrebbe ad escludere tale interesse la neutralizzazione degli effetti dell’aggravante in virtù del giudizio di prevalenza, o di equivalenza, delle attenuanti generiche, in quanto il giudizio di comparazione spiega i suoi effetti soltanto in ordine alla determinazione della pena, mentre lascia inalterata la valutazione deteriore dell’azione e della personalità dell’imputato, che è fonte di pregiudizio anche al di fuori della misura della pena.
Con la sentenza in commento, la Quinta Sezione Penale ritiene preferibile allinearsi al primo degli orientamenti appena illustrati, confermando il principio secondo il quale, per proporre impugnazione occorre, a pena di inammissibilità, avervi interesse, e detto interesse dev’essere attuale e concreto, con la conseguenza che un’impugnazione finalizzata ad ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante, nell’ipotesi in cui nei precedenti gradi di giudizio sia stata ritenuta la prevalenza di circostanze attenuanti rispetto a quelle aggravanti, deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse in quanto l’imputato, in caso di accoglimento del gravame su tale punto, non vedrebbe concretamente mutare in senso a lui favorevole la situazione sanzionatoria.
Al riguardo vengono richiamati i principi di diritto già compiutamente espressi, in subiecta materia, dalle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n. 10372 del 27.9.1995 e n. 9616 del 24.3.1995, secondo cui “la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Ne consegue che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto”, talché “il Pubblico Ministero avuto riguardo alla natura di parte pubblica che lo caratterizza ed alla fondamentale funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia che gli è assegnata dall’art. 73 dell’ordinamento giudiziario, deve ritenersi titolare di un interesse ad impugnare ogni qual volta ravvisi la violazione o l’erronea applicazione di una norma giuridica, sempre che tale interesse presenti i caratteri della concretezza e dell’attualità, e cioè che con il proposto gravame si intenda perseguire un risultato non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole”.
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Roberto Santoro
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