Interesse e vantaggio, dubbi di compatibilità con il reato di cui all’art. 25-septies del d. lgs. 231 del 2001
L’esigenza di adeguarsi alle normative europee ed internazionali condusse all’emanazione del d.lgs. 231 del 2001, con il quale veniva introdotto nell’ordinamento giuridico italiano la responsabilità amministrativa degli enti (1).
Per la prima volta, dunque, alla responsabilità penale delle persone fisiche autrici materiali dell’illecito, è stata affiancata alla diretta responsabilità dell’ente, soggetto giuridico che secondo quanto stabilito dall’art. 5 del medesimo provvedimento, avesse tratto dall’illecito un interesse o un vantaggio (2) .
Tale responsabilità, da alcuni definiti un tertium genus – rispetto ai noti e tradizionali sistemi di responsabilità penale e amministrativa – in quanto dotato da elementi riconducibili ad entrambi i sistemi, è una responsabilità autonoma ed indipendente da quella dell’autore materiale del reato, tanto da sussistere anche qualora questi non sia imputabile o non sia stato individuato (3) .
L’ambito delle disposizioni di legge del d.lgs. 231 del 2001, limitato al catalogo dei reati presupposto ivi indicati, originariamente riservato alle sole fattispecie dolose, è stato successivamente esteso sino a ricomprendere alcuni delitti colposi. U na responsabilità diretta dell’ente per i reati in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ulteriore ed autonoma rispetto a quella civile e penale del datore di lavoro, è stata infatti prevista solo a partire dal 2007, allorquando con la legge 123 è stato introdotto nel d.lgs. 231 del 2001 l’art. 25 septies il quale ha sancito la possibilità di ascrivere all’ente la responsabilità per i delitti di omicidio colposo e lesioni colpose commessi in violazione delle norme antinfortunistiche (4).
L’introduzione nel novero dei reati presupposto della responsabilità dell’ente dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi in violazione della normativa antinfortunistica ha suscitato, tuttavia, alcune perplessità nel panorama dottrinale e giurisprudenziale.
Al centro del dibattito vi era la controversa questione dell’adattabilità dei criteri d’imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente, individuati dall’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001, a tali fattispecie colpose d’evento. Detti criteri, secondo i quali l’ente risponde solamente dei reati commessi “nel suo interesse oa suo vantaggio” , sembrerebbero, a primo impatto, calibrati sulle mere fattispecie dolose (5).
Come noto, infatti, il legislatore ha costruito il criterio oggettivo di ascrizione dell’illecito all’ente con esclusivo riferimento alle fattispecie dolose contenute nella versione originaria della Parte speciale del decreto, le quali, per l’appunto, risultando perfettamente adattabili ai requisiti dell ‘interesse e del vantaggio. Inoltre, la nozione di interesse sembrerebbe imperniata sul finalismo della condotta dell’autore individuale del reato, in evidente contrasto con il requisito strutturale della colpa della non volizione dell’evento. Diversamente dal dolo, infatti, la colpa presuppone l’assenza della volontà di cagionare l’evento lesivo, sia nell’ipotesi in cui l’autore individuale ignori di agire in violazione di una regola cautelare (cd. Colpa incosciente), sia nell’ipotesi in cui sia consapevole di violare una norma cautelare, rappresentandosi come conseguenza della propria condotta, pur non volendolo, l’evento dannoso (cd colpa cosciente o con previsione) (6).
La stessa formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2001 riconduce espressamente i criteri dell’interesse e del vantaggio al reato nella sua interezza annoverando, tra gli elementi costitutivi, anche l’evento naturalistico. Stando alla Lettera della legge, risulta però difficoltoso Comprendere venire l’ente Possa perseguire il proprio interesse Attraverso la morte colposa o la lesione colposa aggravata del lavoratore o, alternativamente, trarne Vantaggio. A ciò si aggiunge la difficoltà processuale di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la morte colposa o la lesione colposa aggravata del lavoratore sia stata realizzata dalla persona fisica nell’interesse o vantaggio dell’ente posto che un evento di tale portata, con ogni probabilità, porterebbe all’ente ingenti danni sia in termini di immagine che in termini economici (7).
Ciononostante, al momento dell’estensione della responsabilità dell’ente alle nuove fattispecie colpose di cui all’art. 589 e 590, comma 3, c.p. , il legislatore del 2007 nulla fece per conformarle ai preesistenti criteri di ascrizione della responsabilità dell’ente, limitandosi semplicemente a costruire l’illecito di cui all’art. 25 septies per relationem con le norme incriminatrici della legislazione penale già vigente, senza riguardo ad un dettaglio più che notevole costituito dalla natura colposa, anziché dolosa, di tali reati (8).
L’irrisolta questione della compatibilità tra il criterio oggettivo dell’imputazione della responsabilità dell’ente e dei reati commessi in violazione della normativa antinfortunistica, ha inevitabilmente determinato dei giudici, chiamato in concreto all’applicazione della legge penale, che hanno tentato di conformare il dettato normativo dell’art. 5 alla diversità strutturale dei reati presupposto di cui all’art. 25 septies del d.lgs. 231 del 2001.
Nonostante le pronunce dei giudici di merito hanno unanimemente ribadito la compatibilità del criterio oggettivo d’imputazione con i delitti di cui all’art. 25 septies, facendo leva sulla sola condotta prodromica alla verificazione dell’evento di cui agli articoli 589 e 590 c.p., ogni singola pronuncia ha seguito una differente iter motivazionale, precisando i termini e le condizioni di tale compatibilità. Un elemento tuttavia le accomuna.
In tutte le sentenze si giunge infatti ad affermare la responsabilità degli enti collettivi coinvolti negli incidenti, ravvisando indifferentemente il loro interesse o vantaggio, nell’avere evitato o ridotto i costi relativi agli interventi necessari in materia di salute e sicurezza, compresa la formazione ed informazione di tutto il personale o, comunque, nell’avere velocizzato i tempi ei ritmi del ciclo produttivo. In questa prospettiva, dunque, entrambi i criteri vengono letti in chiave economica: la finalità del profitto o della riduzione dei costi che caratterizzano l’attività di impresa (9).
Tale soluzione esegetica è stata successivamente confermata dalla Suprema Corte nella sentenza del 2012, relativa alla vicenda affrontata dal Tribunale di Pinerolo. In tale occasione la Corte ha dichiarato che «per il reato di lesioni colpose con violazione delle norme poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, il vantaggio ex post e l’interesse ex ante si, sostanzialmente, ai risparmi economici e la maggiore conseguente competitività dell’impresa in ragione dell’abbattimento dei costi per interventi e misure di prevenzione e protezione » (10).
La lettura in chiave economica dei criteri dell’interesse e del vantaggio consente di adeguare l’originario criterio d’imputazione della responsabilità dell’ente di cui all’art. 5 D. lgs. 231/2001 alla struttura diversa dei delitti colposi d’evento, senza arrecare un vulnus ai principi costituzionali, in quanto l’adeguamento concerne l’oggetto di valutazione che non è l’evento bensì la sola condotta prodromica alla morte o alle lesioni occorse al soggetto. Ciò posto, la responsabilità dell’ente verrà esclusa sia nel caso in cui si accerti oltre ogni dubbio che la violazione delle regole cautelari sia stata più gravosa, in termini economici, per l’ente, sia nel caso più frequente in cui si verifichi che l’incidente sia stato causato dalla semplice condotta negligente della persona fisica titolare di una posizione di garanzia. In quest’ultimo caso, in particolare, la lettura economica impedisce che anche nel diritto penale delle persone giuridiche si verifichino abusi del principio di colpevolezza tali da imputare all’ente fatti dallo stesso non realizzati.
Tra le varie pronunce, la vexata quaestio della compatibilità dei criteri ascrittivi della responsabilità all’ente ai reati colposi d’evento è stata affrontata nella sentenza delle Sezioni Unite sul caso Thyssenkrupp, nonché dalla giurisprudenza di legittimità e di merito successivo a tale pronuncia, la quale ha confermato la responsabilità da reato della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni SpA per il reato di cui all’art. 25-septies del d.lgs. n. 231 del 2001. La vicenda oggetto della sentenza è tristemente nota. Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2012, presso l’acciaieria ThyssenKrupp di Torino, scoppiò un incendio nel quale trovarono la morte sette operai a causa delle gravi ustioni riportate (11).
La IV Sezione della Corte di Cassazione ha, infatti, dichiarato come costituisca ormai un principio consolidato quello secondo cui « in materia di responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231 del 2001, l’interesse e / o il vantaggio vadano letti, nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse derivanti dalla mancata predisposizione dello strumento di sicurezza ovvero come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale ». La Corte ha precisato, inoltre, che tali progetti «Si ricollegano al risparmio nelle spese che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero nell’agevolazione sub specie, dell’aumento di produttività che ne può derivare sempre per l’ente dallo sveltimento dell’attività lavorativa” favorita ” dalla mancata osservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, il racconto attività avrebbe “rallentato” quantomeno nei tempi ».
Con l’avallo da parte delle Sezioni Unite della tesi della piena compatibilità tra gli artt. 5 e 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001, il problema del significato da attribuire al criterio dell’interesse o vantaggio dell’ente in relazione agli illeciti colposi d’evento commessi in violazione della normativa antinfortunistica sembra essere stato definitivamente inquadrato e risolto nell’ambito del cd. discriminante economica, cioè del risparmio di spesa o dei tempi operativi derivati dalla mancata adozione delle misure preventive e cautelari necessarie.
(1) SEMINARA S. – ALESSANDRI A., Diritto penale commerciale, vol. I, 2018, p.87
(2) SEMINARA S. – ALESSANDRI A., Diritto penale commerciale, cfr., p.87; FORTI G., Uno sguardo ai piani nobili del D. lgs. 231/2001, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 1259.
(3) Nella Relazione al d.lgs. 231/2001 si legge che «poiché conseguente da reato e legata alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla legge 689/1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo, nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili della massima garanzia».
(4) MOLFESE D., L’ingresso nel sistema di omicidio colposo e lesioni personali, in Guida al Diritto Dossier, marzo-aprile 2018, p. 80.
(5) I principali dubbi riguardavano principalmente la compatibilità dei reati colposi con i criteri oggettivi d’ascrizione della responsabilità degli enti collettivi, come evidenziato da AMARELLI G., La responsabilità degli enti, cfr., p.277, l’autore ha sottolineato che la legge n. 123 del 2007 «ha completamente tralasciato un dettaglio tutt’altro che insignificante, vale a dire che i reati presupposto della responsabilità delle persone giuridiche in quest’occasione avevano natura colposa, anziché dolosa, e si rendeva, quindi, uno sforzo legislativo ulteriore per procedere all’adeguamento di tali differenti tipologie di fattispecie ai criteri».
(6) PIERGALLINI, Colpa (diritto penale), in Enciclopedia del diritto, 2017, p. 245; MOLFESE D., Nozione di interesse e vantaggio nei reati colposi, in Guida al Diritto Dossier, marzo-aprile 2018, p. 84.
(7) SCOLETTA M. M., La responsabilità da reato delle società: principi generali e criteri imputativi nel d.lgs. N. 231/2001, in AA. VV., Diritto penale delle società, a cura di G. CANZIO – L. D. CERQUA – L. LUPARIA, 2014, p. 906, AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato all’ente collettivo e i reati in materia di sicurezza sul lavoro. Dalla teorica incompatibilità alla forzata convivenza, in http://penalecontemporaneo.it, 2013, p. 12.; FORTI G., Uno sguardo ai piani nobili del D. lgs. 231/2001, cfr., p. 1260.
(8) AMARELLI G., I criteri oggettivi di ascrizione del reato, cfr., in http://penalecontemporaneo.it, 2013, p. 12.
(9) Trib. Trani, Sez. distaccata di Molfetta, inviata. 11/01/2010, in www.rivista231.it., 2010, p. 17; Trib. Pinerolo, inviato. 23/09/2010, in www.penalecontemporaneo.it, 2010, p. 10; Trib. Novara (Gup), inviato. 26/10/2010, in www.rivista231.it; Trib. Cagliari (Gup), 4/7/2011, Saras Spa., In www.penalecontemporaneo.it.
(10) Cass., Sez. V, inviato. 10/10/2012, n. 40070, in Quot. Giur ., 2012.
(11) Cass. penna., Sez. Un., N. 38343 del 2014, Thyssenkrupp, in Riv. esso. dir. e proc. pen ., 2014.
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Dott.ssa Rachele Brega
Avvocato praticante con un Master in Diritto penale dell'impresa conseguito presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (compliance aziendale, antiriciclaggio, responsabilità amministrativa degli enti, tutela penale della salute e sicurezza dei lavoratori, GDPR).