Interessi diffusi, interessi plurisoggettivi e interessi del singolo partecipante al gruppo: pensieri col senno di poi
Un rilevante chiarimento sulle caratteristiche di omogeneità dell’interesse collettivo che necessita di un’adeguata interpretazione, Riflessioni sull’Ad. Plen. 6/2020.
A relevant clarification on the homogeneity of the widespread interest, that requires an adequate interpretation, Thoughts on the Ad Plen. 6/2020.
Sommario: 1. Premessa – 2. Il tema del potenziale contrasto tra interessi diffusi e interessi legittimi personali dei componenti del gruppo. Riflessi in termini di verifica di omogeneità – 3. Il patrimonio dei risparmiatori come interesse collettivo. Particolare funzione delle azioni riconosciute agli enti esponenziali – 4. Conclusioni
1. Premessa
Le questioni sugli interessi c.d. adespoti costituiscono una probante, e perciò oltremodo affascinante, palestra per l’esercizio di attività di riflessione che obbligano l’amministrativista a sconfinare nel campo dei cugini appartenenti alla grande famiglia del diritto pubblico, ovvero i costituzionalisti. La diatriba sulla qualificazione di tali forme di interessi non personali né differenziati tange sovente i temi dell’associazionismo, della valorizzazione delle formazioni sociali in cui si esprime la libertà dei singoli, del principio di sussidiarietà, quindi della valorizzazione del ruolo degli enti esponenziali nella legislazione nazionale. E le dissertazioni in materia risentono ancora della difficoltà che l’ordinamento ha avuto in un lungo e travagliato processo di assimilazione di interessi che fossero estranei al dualismo diritto soggettivo-interesse legittimo e che non fossero previsti espressamente dalla Costituzione o dalle norme fondamentali del sistema.[1]
Tutti questi temi vengono ampiamente toccati dalla pronuncia da cui parte la presente analisi e dall’ampia giurisprudenza che essa stessa richiama. Di essi si ritiene indiscussa la rilevanza, seppur dibattuto è ancora il peso ed il contrappeso che certi valori costituiscono per altri altrettanto rilevanti, dibattito a cui si tenterà di dare una ipotesi di sistemazione nel prosieguo di questo scritto.
Della Plenaria, è bene evidenziarlo da principio, devono certamente accogliersi, con sollevato animo, una serie di assunti finalmente declinati con certezza e precisione.
Ricordati brevemente i requisiti ormai canonizzati della stabilità, vicinitas[2], rappresentanza e non strumentalità ed omogeneità dell’ente collettivo[3] in capo al quale si sostanzia l’interesse collettivo, perdendo la qualifica di diffuso ed adespota, salvo poi dover indagare cosa si intenda per omogeneità, vi è un primo chiarimento importante: l’ente collettivo, quando agisce per gli interessi che esso rappresenta, aziona un interesse che è una derivazione dell’interesse diffuso e non una superfetazione o una posizione parallela comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività[4]. Una seconda precisazione riguarda il fatto che un singolo provvedimento amministrativo può incidere sia su interessi individuali che su interessi collettivi. In conseguenza di ciò, la Plenaria evidenzia la necessità di distinguere le azioni poste in essere da un ente associativo rappresentativo di un gruppo omogeneo: in caso di compresenza di interessi collettivi in capo all’ente e di interessi individuali in capo a qualcuno dei suoi componenti, è necessario acclarare se l’ente stesso stia facendo valere un interesse legittimo plurisoggettivo oppure il suo peculiare interesse collettivo. Così si sottolinea la distinzione tra queste due categorie e l’importanza che essa può rivestire ai fini dell’azionabilità delle pretese da parte dell’ente in nome dei suoi associati e dei rapporti di tali facoltà con l’omogeneità dell’interesse stesso. Si può già qui anticipare che vi è una ontologica diversità tra interesse legittimo plurisoggettivo perché personale e differenziato ma comune ad una serie di soggetti facenti parte del gruppo, ed interesse diffuso, perché adespota, che trova una soggettivazione solo nell’ente collettivo.[5]
Il terzo e forse più importante assunto che si può ricavare dalla lettura della pronuncia è quello che si può trarre dal seguente passaggio: «la diversità ontologica dell’interesse collettivo (ove accertato secondo il criterio sin qui rappresentato), rispetto all’interesse legittimo individuale, porta ad escludere, in radice, la necessità di un’indagine in termini di omogeneità (oltre che degli interessi diffusi dal quale quello collettivo promana, anche) degli interessi legittimi individuali eventualmente lesi dall’esercizio del potere contestato. Nel senso che se l’interesse collettivo c’è, si tratta di un interesse dell’ente e quindi diventa non pertinente in radice porsi anche il tema dell’omogeneità degli interessi legittimi individuali dei singoli». In altri termini e sinteticamente, questo passaggio motivazionale sembra affermare che per accertare l’esistenza dell’omogeneità dell’interesse tutelato dall’ente esponenziale e l’assenza di conflitti di interessi nella sua compagine, si debba necessariamente guardare all’interno dell’interesse collettivo senza compararlo con gli interessi legittimi dei singoli che compongono l’insieme.
Inoltre, qualche ombra sembra permanere sull’individuazione di un bene collettivo, pur privo delle caratteristiche necessarie e fondamentali già rammentate, che pare individuato nella tutela del “patrimonio dei risparmiatori”.
2. Il tema del potenziale contrasto tra interessi diffusi e interessi legittimi personali dei componenti del gruppo. Riflessi in termini di verifica di omogeneità
La critica che potenzialmente pare potersi muovere alla pronuncia, riguarda proprio la ontologica impossibilità logica di rinvenire l’esistenza di un contrasto tra interesse diffuso, poi soggettivatosi nell’ente collettivo, di cui il singolo partecipa e l’interesse legittimo di quest’ultimo, magari originato dallo stesso provvedimento della P.A. o dalla stessa vicenda provvedimentale.
Si è ritenuto difficile poter immaginare un soggetto che rispetto ad un tratto dell’agire della P.A. vanti da una parte un interesse diffuso in quanto partecipante ad un gruppo, e dall’altra un interesse legittimo personale e differenziato totalmente in contrasto con il precedente. Spesso viene alla mente di revocare in dubbio che un provvedimento possa incidere contemporaneamente su un bene indivisibile a c.d. fruizione individuale e su un bene collettivo a c.d. fruizione collettiva. Delle due l’una, si è sostenuto: o c’è interesse legittimo oppure interesse diffuso.[6]
Il che pare configurare una asserzione poco accorta anche stando a quanto la stessa giurisprudenza ha, neanche troppo recentemente, ritenuto di precisare. Il fatto che uno stesso provvedimento può interessare tanto un bene a fruizione collettiva quanto un bene individuale è ben esplicitato dalla sent. Cons. St. n. 5451/2013, peraltro espressamente richiamata dalla Plenaria. Essa evidenzia che esiste certamente la possibilità che un atto amministrativo si ponga «in contrasto con l’interesse collettivo del quale l’ente esponenziale della categoria è titolare, sebbene esso risulti produttivo di effetti favorevoli per una parte degli appartenenti alla categoria medesima».
Di qui sembra potersi immediatamente trarre delle conclusioni quanto alla sostenibilità delle affermazioni dell’organo nomofilattico della Giustizia Amministrativa. Si può dedurre, con ragionevole margine di sostenibilità giuridica, che ontologicamente vi è interesse collettivo solo ove tale interesse sia omogeneo al gruppo, così come afferma chiaramente la Plenaria in commento, e che tale relazione di omogeneità debba aver riguardo alla singola partecipazione all’interesse diffuso di ciascuno dei componenti del gruppo medesimo, interesse che si soggettivizza in capo all’ente. La disputa relativa all’omogeneità si gioca tutta sulla partecipazione del singolo all’interesse adespota e non sulla coerenza del suo interesse legittimo con l’interesse collettivo, campo che è estraneo alla verifica de quo.
Viceversa l’esistenza e la tutelabilità di tale interesse collettivo non sono precluse dalla possibilità di rinvenire un diverso e confliggente interesse legittimo in capo ad uno dei componenti dell’associazione di categoria.
Pertanto, pare profilarsi una potenziale coesistenza, in capo allo stesso soggetto, della partecipazione all’interesse diffuso, in quanto parte di un gruppo, che può confliggere ed essere contrastante con l’interesse legittimo del medesimo soggetto.
La fallacia, come evidenzia la pronuncia del 2013, sta nel confondere nella categoria degli “interessi di tutti”, sia gli interessi legittimi plurisoggettivi o comunque comuni ad un gruppo, sia gli interessi collettivi in senso stresso. Solo i primi, per poter essere azionati dall’ente collettivo, necessitano della unanimità e omogeneità degli interessi legittimi dei singoli. Ed è proprio questa la verifica che richiama la Plenaria.
3. Il patrimonio dei risparmiatori come interesse collettivo. Particolare funzione delle azioni riconosciute agli enti esponenziali
Ciò che desta qualche perplessità è viceversa l’affermazione per cui l’associazione di categoria, nella specie il CODACONS, abbia agito per la tutela dell’interesse diffuso – a cui è seguita la collettivizzazione a mezzo della entificazione della comunità di riferimento – relativo alla tutela del patrimonio dei risparmiatori, valorizzando il richiamo espresso compiuto nella pronuncia. In verità quest’ultimo interesse è difficilmente qualificabile come diffuso e poi collettivo in quanto non adespota. Ciò a meno di forzare, e di molto, l’interpretazione logica dei significati fino a concepire un generale bene – patrimonio dei risparmiatori individuato come massa di beni indistinta, accanto al singolo bene – patrimonio di ciascun risparmiatore.
Il complesso dei beni di ciascuno di questi può essere individuato al massimo come un interesse legittimo plurisoggettivo, diversificato ma comune per coincidenza in capo ad una quantità di soggetti i quali possono agire da sé o farsi rappresentare dall’ente. In quest’ultimo caso l’ente dovrà dimostrare la convergenza e non contraddittorietà dell’interesse plurisoggettivo che essa fa valere rispetto ai singoli interessi legittimi di ciascun componente. Questo sarà sì una superfetazione o un portato diretto degli interessi dei singoli, e saprà perciò distinguersi dall’interesse collettivo.
Tali ragionamenti e le distinzioni compiute, conducono poi a rivalutare il senso di determinate prese di posizione del legislatore nel momento in cui ha deciso, con una tendenza abbastanza costante nel tempo, di formare elenchi di associazioni autorizzate e determinare le azioni che i singoli enti possono esercitare.
Quanto agli elenchi, è ormai interpretazione granitica che la previsione nella lista governativa dei soggetti abilitati a far valere gli interessi di un gruppo, abbia solo valenza presuntiva della loro capacità di rappresentanza[7]. Gli enti che non rientrano negli elenchi avranno l’onere di provare dinanzi al giudice la propria legittimazione in quanto aventi le caratteristiche di vicinitas o collegamento territoriale, stabilità nel tempo e omogeneità degli interessi raccolti, che la giurisprudenza ormai stabilmente ritiene necessari.
In relazione alle azioni esperibili e all’effetto di tali previsioni specifiche, la questione è tuttora dibattuta. Secondo la teoria da ritenersi prevalente, l’introduzione di norme che prevedono l’esperibilità di determinate azioni specifiche, non dà luogo alla restrizione dell’ambito di tutela amministrativa degli enti privati[8]. Viceversa tali previsioni avranno rilevanza dal punto di vista civilistico per legittimare l’incisione della sfera contrattuale da parte dell’ente, quale soggetto terzo estraneo al rapporto.
Ancora, alla luce della pronuncia in questione e delle particolari inferenze fin qui compiute, vanno analizzate le norme che prevedono specifiche azioni, e nella specie quelle richiamate dall’art. 32-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza). Il testo prevede che «Le associazioni dei consumatori inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo». Questi ultimi articoli fanno riferimento alle azioni volte : «a) inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate”» (così l’art. 140 cit.).
Queste norme, lo si sottolinea, lungi dal determinare una limitazione soggettiva ed oggettiva dal punto di vista delle tutele di diritto amministrativo, producono viceversa la rilevanza degli interessi collettivi anche nel giudizio civile lì dove, come espressamente afferma la Plenaria, «assumono importanza anche i temi della disparità di forza contrattuale, dell’asimmetria informativa, dell’abuso di posizione dominante. Temi, questi ultimi, connotati da una dimensione eccedente la sfera giuridica del singolo e da situazioni giuridiche omogenee e seriali di una vasta platea di consumatori, espressamente qualificate come “diritti fondamentali” dalla legge, anche nella loro dimensione collettiva». E, a chiusura del ragionamento, si stabilisce :« In conclusione, la tenuta del diritto vivente sulla tutela degli interessi diffusi non è messa in dubbio nemmeno dagli articoli 139 e 140 del codice del consumo (oggi trasposti nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile, in materia di azione di classe dalla L. 12/04/2019, n. 31), che riguardano altro ambito processuale, e che di certo non possono essere letti nell’ottica di un ridimensionamento della tutela degli interessi collettivi nel giudizio amministrativo, nei termini sin qui chiariti dalla giurisprudenza amministrativa. Deve quindi ritenersi che un’associazione di utenti o consumatori, iscritta nello speciale elenco previsto dal codice del consumo oppure che sia munita dei requisiti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere la legittimazione delle associazioni non iscritte, sia abilitata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità. La legittimazione, in altri termini, si ricava o dal riconoscimento del legislatore quale deriva dall’iscrizione negli speciali elenchi o dal possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. Una volta “legittimata”, l’associazione è abilitata a esperire tutte le azioni eventualmente indicate nel disposto legislativo e comunque l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità».
A questo punto, ed in ragione delle riflessioni condotte in precedenza, vi è forse da chiedersi di quali interessi si occupi la normativa sulle azioni riconosciute in capo alle associazioni dei consumatori o, in genere, a quelle rappresentative. Cioè se esse facciano effettivamente riferimento ad un interesse diffuso, o meglio collettivo, oppure viceversa riguardino un interesse legittimo benché potenzialmente plurisoggettivo. Se si esclude – valorizzando il richiamo espresso al patrimonio – che l’interesse azionato dall’associazione rappresentativa dei consumatori, riconosciuto dalla norma dell’art. 32-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, possa essere un interesse diffuso o collettivo, bensì sia un interesse legittimo plurisoggettivo alla tutela del patrimonio, si devono trarre necessarie conclusioni. La norma tenderebbe a predisporre un capacità assolutamente inedita e straordinaria dell’associazione di categoria la quale non sarà soltanto chiamata al ruolo, già ritenuto straordinario, di soggetto che traspone nel campo del diritto civile l’ambito di rilevanza degli interessi diffusi e collettivi, ma verrà indicata anche come soggetto idoneo a far valere in tal sede situazioni giuridiche plurisoggettive, come nella specie è la tutela del patrimonio.
Stando a questa tesi parrebbe entrare nel processo civile, proprio al contrario di quanto sostiene la Plenaria, un soggetto che effettivamente fa valere nel processo in nome proprio un diritto altrui. E si è portati ad evidenziare che la qualificazione di “collettivi” che la norma riserva agli interessi azionabili dalle associazioni dei consumatori sia solamente una espressione da ritenersi poco accorta e colposamente generica per intendere interessi generali od a fruizione collettiva.
4. Conclusioni
La tesi sembra tuttavia provare troppo e forse la soluzione sta nel ridurre la portata del richiamo al patrimonio compiuto dalla pronuncia. Si dovrebbe pertanto interpretare il richiamo a quest’ultimo – l’unico peraltro che la pronuncia de quo opera all’interesse dei consumatori e perciò così degno di attenzione interpretativa – ritenendolo solo come una forma descrittiva o esemplificativa di un più generale complesso di beni che si devono ritenere tutelati dall’ente esponenziale. Per non giungere quindi alle affermazioni che sembrano contraddire l’impianto generale della pronuncia e della norma del TUF che agli interessi collettivi si rivolge, potrebbe prospettarsi che l’interesse collettivo tutelato dall’associazione sia quello al rispetto delle regole all’interno di un determinato mercato, funzionale all’autodeterminazione personale ed economica dei consumatori.
Tale bene, in quanto dotato di una consistente ampiezza che ne rende fumosi i connotati ed i confini, a prima vista potrebbe quasi essere confuso con quello alla mera legalità – la cui tutelabilità è viceversa negata nel diritto amministrativo – trasposto all’interno del diritto civile. Si darebbe così luogo ad una asserita diversa funzione della norma del codice del consumo, tale da traghettare nell’ambito civilistico e tramite la collettivizzazione sopra menzionata, ciò che è privo di tutela nel diritto amministrativo, cioè quello che in questo caso definiremmo un interesse alla legalità non dell’agire del soggetto pubblico, ma del mercato. Dalla ipotetica evanescenza del bene tutelato consegue che le associazioni rappresentative diverrebbero dei battitori liberi a cui verrebbero demandati dei compiti paraistituzionali di segnalazione di una serie indefinita di abusi che potrebbero effettivamente tangere l’amplissima sfera dei diritti dei consumatori, non ultimo quello ad operare in un mercato libero, trasparente e privo di abusi.
Pare invece doversi rilevare che quello tutelato dall’ente a ciò autorizzato debba qualificarsi comunque come interesse che trova la sua differenziazione in capo al soggetto rappresentativo di una comunità ben delineata e distinta dalla massa collettiva dei cittadini e che, a differenza dell’interesse al controllo sulla legalità di un soggetto o di un ambito, trova nella effettiva e differenziata lesione ai propri, pur ampi, interessi, la propria giustificazione.
[1] Una delle prime emersioni del problema della qualificazione degli interessi diffusi e collettivi si rinviene nella vicenda del c.d. “interesse pubblico diffuso” relativa alla famosa vicenda della tutela del Lago di Tovel. Sui risvolti di tutela processuale di tale specie di interessi e sui problemi in tal senso riscontrati, si veda A. CARRATTA, Profili processuali della tutela degli interessi collettivi e diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi a cura di L. Lanfranchi, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 88 ss.; C. M. BIANCA, Note sugli interessi diffusi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 67 ss; B. CARAVITA, Interessi diffusi e collettivi (Problemi di tutela), in Dir. Soc. 1982, p. 167 ss; R.PARDOLESI, Le azioni a tutela degli interessi collettivi, Atti del Convegno di Studio – Pavia 11-12 giugno 1974, Cedam, Padova, 1976, che si rivolge a tali tipi di interessi qualificandoli come una «nebulosa dai contorni vaghi e oscillanti».; A. CIERVO, Agire per tutti e per nessuno. Appunti per una teoria processuale dei beni comuni, in www.questionegiustizia.it.
[2] Cons. St., Sez. V, 27 aprile 2012 n. 2460.
[3] R. FERRARA, Interessi collettivi e diffusi, in Dig. Pubbl., VIII, Utet, Torino, 1993, p. 482; G.ALPA, Interessi diffusi, in Dig. civ., IX, Utet, Torino, 1993, p. 611; N. TROCKER, Gli interessi diffusi nell’opera della giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, p. 1114; S. CASSESE, Gli interessi diffusi e la loro tutela, in La tutela degli interessi collettivi e diffusi, a cura di Lanfranchi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 569.
[4] Cons. St., Sez V, 12 marzo 2019, n.1640 che richiama Cons. St., Sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36, che a sua volta riprende la tesi della c.d. «mutazione genetica» dell’interesse diffuso M. NIGRO, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza, in Foro it., 1987, V, 9.
[5] V. CERULLI IRELLI, L. DE LUCIA, Beni comuni e diritti collettivi, in Politica del diritto, Cedam, Padova, 2014, pp. 16 ss.; e più risalenti ma illuminanti M. CAPPELLETTI, Appunti sulla tutela giurisdizionale di interessi collettivi o diffusi, Atti del Convegno di Studio – Pavia 11-12 giugno 1974, Cedam, Padova, 1976, pp. 191 ss.; M. CAPPELLETTI, Formazioni sociali e interessi di gruppo davanti alla giustizia civile, in Riv. Dir. Proc., 1979, pp. 361 ss
[6] Si veda in particolare il chiarimento del Cons. St., Sez. III, 2 novembre 2020, n. 697 anche sulla distinzione tra interessi collettivi facenti capo ad un ordine professionale e quelli relativi ad una associazione di imprese, quanto alla possibilità di rinvenire un conflitto di interessi all’interno della compagine.
[7] Ex multis Cons. St., Sez. VI, 14 aprile 2006, n. 2151; Cons. St. sez. IV,15 marzo 2018, n. 1838; Cons. St., Sez. IV, 19 giugno 2020, n. 3922.
[8] contra Cons. St., Sez. VI, 21 luglio 2016 n. 3303.
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Attilio Simonelli
Il sottoscritto ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Classico Tulliano di Arpino (FR) nell’anno scolastico 2009/2010 con la votazione di 100/100 con lode, successivamente in data 24/09/2015 ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza (LMG/01) presso l’Università degli Studi Roma Tre, con votazione di 110/110 con tesi “di particolare valore” in Diritto Amministrativo (Prof.ssa Sandulli) e correlazione in diritto privato e commerciale (Prof.ri Clarizia e Fortunato).
Terminati gli studi universitari ha conseguito il tirocinio di 18 mesi ex art. 73 d.l.69/2013 presso la sezione civile e fallimentare del Tribunale di Frosinone, collaborando col magistrato affidatario Dr. Andrea Petteruti, con la votazione di 10/10.
Negli anni 2018 e 2019 ha seguito i corsi di preparazione al concorso in magistratura tenuti dal Cons. Roberto Giovagnoli in Roma.
Il sottoscritto ha poi pubblicato diversi contributi su riviste giuridiche tra cui:
“Scambi senza accordo: evoluzione delle invalidità negoziali e ruolo del giudice” Giuricivile, 2019, 1 (ISSN 2532-201X) (https://giuricivile.it/scambi-senza-accordo/) ; “Revirement sull’assegno divorzile: tornare indietro per andare avanti?” su Giuricivile 2018, 12 (ISSN 2532-201X) (https://giuricivile.it/revirement-sullassegno-divorzile-tornare-indietro-per-andare-avanti/)
In data 07/11/2019 ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte di Appello di Roma.
Attualmente ha in corso una collaborazione con Giappichelli Editore per la stesura di un contributo nella prossima pubblicazione relativa all’argomento della verifica dello stato passivo fallimentare che vedrà la luce nell’autunno del 2020.
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