Interessi moratori e usura nel contratto di mutuo
Sommario: 1. Introduzione – 2. Natura giuridica degli interessi moratori – 3. Usura e interessi moratori – 4. Vaglio di usurarietà degli interessi moratori convenzionali – 5. Conseguenze civilistiche – 6. Conclusioni.
1. Introduzione
I controversi rapporti tra mora e normativa anti-usura hanno impegnato, ed invero impegnano ancora, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
La Suprema Corte di Cassazione non è ancora riuscita ad elaborare una soluzione interpretativa pienamente soddisfacente, incappando in contraddizioni ed incoerenze, talvolta inconsapevoli [1], che la più attenta dottrina non manca di sottolineare.
Palesandosi incerti gli approdi interpretativi raggiunti, le giurisprudenza di merito e di legittimità procedono in ordine sparso, mentre non sembra prossimo un definitivo pronunciamento delle Sezioni unite sulla questione.
Ed invero, la definizione di un quadro interpretativo sistematico e coerente con la ratio legis dipende dalla soluzione di un quadruplice ordine di questioni.
Preliminarmente, va individuata la natura giuridica e la funzione degli interessi moratori, onde comprendere se essi partecipano alla composizione del complessivo costo del credito, ovvero se costituiscono una prestazione con funzione sanzionatoria.
In secondo luogo, indagando sulla struttura della disciplina anti-usura, bisogna saggiare la compatibilità degli interessi moratori con la nozione di “interessi usurari” di cui all’art. 644 c.p..
In terzo luogo, ove si accertasse la rilevanza degli interessi moratori ai fini della disciplina anti-usura, emergerebbe la necessità di individuare un sistema di valutazione degli stessi che sia, ad un tempo, capace di tenere in debito conto le peculiarità strutturali degli interessi moratori e coerente con l’individuata ratio legis degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c..
Infine, occorre determinare le conseguenze civilistiche dell’usura riscontrata, allorquando essa dipenda dal peso economico degli interessi moratori.
2. Natura giuridica degli interessi moratori
Orbene, dall’individuazione della natura giuridica degli interessi moratori dipendono le conseguenze di disciplina in caso di tasso moratorio convenzionale eccessivo.
Proprio per questa ragione, la questione ha acceso il dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Parte della dottrina [2], a cui fa eco parte della giurisprudenza di merito [3], ritiene che gli interessi moratori avrebbero una funzione sanzionatoria, e che pertanto si distinguerebbero dagli interessi corrispettivi, i quali avrebbero natura di compensativa.
Specificamente, entrambi gli istituti sarebbero caratterizzati dalla loro natura di sanzione privata, di guisa che entrambi dovrebbero soggiacere al generale principio di proporzionalità delle sanzioni, ricavabile dall’art. 25, Cost, nonché dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Sennonché, mentre la disciplina della clausola penale prevede uno strumento di garanzia idoneo ad evitare la sproporzione in eccesso della sanzione privata, ossia il potere di riduzione ad equità della penale eccessiva di cui all’art. 1384 c.c., la disciplina degli interessi moratori sarebbe, sul punto, lacunosa.
La citata dottrina, riscontrata l’esistenza di entrambi i presupposti del ricorso all’analogia – lacuna normativa nella disciplina degli interessi moratori ed eadem ratio rispetto alla più completa disciplina della clausola penale – ha proposto l’applicazione dell’art. 1384 c.c. in caso di tasso convenzionale di mora eccessivo [4].
Ciò nondimeno, l’iter argomentativo esposto sembra confondere la diversità del titolo, da cui gli interessi di diversa specie originano, con la diversità della funzione (che, come vedremo, non sussiste).
Resta incontestato il fatto che essi, con riguardo al mutuo, si originino da titoli diversi: gli interessi corrispettivi sono dovuti in ragione del contratto stipulato, mentre gli interessi moratori sono dovuto all’esito di una fattispecie complessa, costituita dalla stipulazione del contratto e dall’inveramento della mora debendi [5].
E probabilmente è proprio questa la premessa taciuta dei fautori della teoria dell’alterità funzionale: che due prestazioni imposte in base a titoli diversi debbano svolgere una funzione diversa.
Non può non destare l’attenzione dell’interprete il fatto che gli interessi moratori debbano essere corrisposti in ipotesi di inadempimento, e che gli interessi corrispettivi, originandosi dal solo negozio giuridico, debbano essere corrisposti anche nello scenario fisiologico del tempestivo adempimento.
La suggestione, tuttavia, conduce fuori strada, in quanto prova troppo.
La diversità del titolo è certamente un indice sintomatico della diversità funzionale, ma non un argomento decisivo in tal senso.
Un indice sintomatico che è destinato a cedere il passo ai ben più solidi argomenti già spiegati dalla dottrina e dalla giurisprudenza che sostengono la natura compensativa degli interessi moratori.
Si può immaginare, invero, una sterminata teoria di prestazioni patrimoniali imposte da titoli diversi eppure ugualmente funzionalizzate.
Basti considerare il caso del venditore di cosa viziata, che assuma l’obbligazione di rimuovere il vizio della cosa.
Nel caso di specie il compratore può scegliere tra l’esercizio del suo diritto potestativo, ex art. 1492 c.c., di ottenere la riduzione del prezzo, e l’esercizio del diritto di credito derivante dall’obbligazione – successiva e separata rispetto al contratto di vendita – assunta dal venditore [6].
Nonostante la palese diversità del titolo da cui le due situazioni giuridiche originano, non è dubitabile il fatto che le prestazioni relative svolgano la medesima funzione: ripristinare lo squilibrio contrattuale determinato dall’inesatto adempimento di parte venditrice.
Ed infatti, secondo un’impostazione giurisprudenziale autorevolmente fatta propria da una recente pronuncia della Suprema Corte [7], nonché da autorevole dottrina [8], gli interessi moratori hanno la medesima funzione degli interessi corrispettivi (ancorché non ne condividano il titolo): ristorare il differimento nel tempo del godimento di un capitale.
Alla medesima conclusione si giunge altresì guardando alla copiosa giurisprudenza di legittimità [9] formatasi in tema di onere della prova del maggior danno di cui all’art. 1224 comma, 2 c.c., la quale dà per presupposta la funzione degli interessi moratori come compensativi del danno da ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
Nè va taciuta l’indicazione, alquanto netta, che emerge dall’art. 1224 c.c..
La norma, esonerando eccezionalmente il creditore dall’onere della prova del danno, detta una disciplina eccezionale, la quale tuttavia testimonia la connessione degli interessi moratori con il danno da ritardo.
In secondo luogo, in caso di tasso moratorio legale, l’art. 1224 c.c. garantisce il risarcimento del maggior danno non ristorato mediante gli interessi moratori.
Dall’altro lato, il legislatore si preoccupa di escludere la risarcibilità del maggior danno in caso di pattuizione di un tasso d’interesse moratorio convenzionale: se è esclusa la risarcibilità del maggior danno (quand’anche esistente), a fortiori deve ritenersi esclusa la possibilità di configurare gli interessi moratori come una sanzione privata, il cui quantum ecceda il danno patito dal creditore per il mancato godimento del capitale.
In definitiva, gli interessi moratori sono una speciale forma di risarcimento del danno, conseguente ad un’ipotesi di responsabilità civile.
Concordemente a quanto ritiene la più recente giurisprudenza della Cassazione [10], la responsabilità civile può perseguire plurime finalità, ma la funzione compensativa resta preminente.
Si può invero strutturare anche come sanzionatoria, ma a tal fine è necessario che la legge lo consenta esplicitamente, alla stregua del principio di legalità e tassatività-prevedibilità di cui agli artt. 25 della Costituzione e 49 della Carta di Nizza.
Al contrario, con riferimento alla disciplina de qua, il legislatore fornisce all’interprete decisivi ed insuperabili indicazioni, manifestanti la stretta connessione degli interessi moratori con il danno da ritardo arrecato al creditore.
Dunque, tanto gli interessi corrispettivi quanto gli interessi moratori compensano la privazione del capitale, come pure dimostra un rapido raffronto degli artt. 1229 e 1282 c.c..
Gli interessi corrispettivi si producono di pieno diritto su una credito di somma di denaro liquida ed esigibile, e gli interessi moratori si produco dal giorno della mora, la quale decorre ex re per le obbligazioni pecuniarie, ossia quando il credito relativo, già liquido, diviene esigibile.
Tanto gli interessi moratori quanto gli interessi corrispettivi sono dovuti dal momento in cui il creditore potrebbe godere della somma di denaro – la quale deve essere appunto esigibile – ma non ne gode.
Quindi, anche la medesimezza del momento di decorrenza degli interessi mortori e corrispettivi depone a favore della tesi della comune funzione riparatorio-compensativa.
All’indomani della minuziosa ricostruzione storica della disciplina degli interessi moratori, posta in essere dalla già citata Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, un ulteriore e più approfondito vaglio della questione appare esercizio sterile.
3. Usura e interessi moratori
A questo punto dell’analisi si impone un breve excursus sulla natura della normativa anti-usura.
Come autorevolmente rilevato dalla Corte di legittimità [11], la definizione di usura, ed il divieto relativo, sono contenuti nell’art. 644 c.p., limitandosi, l’art. 1815, comma 2, c.c. ad apprestare una sanzione per la violazione di un precetto situato aliunde, e l’art. 2, L.n. 108 del 1996 ad impartire istruzioni circa le modalità di individuazione del tasso-soglia.
Sicché, di usura si può parlare esclusivamente se la fattispecie concreta risulta sussumibile nel disposto dell’art. 644, c.p..
Bisogna dunque indagare sull’ampiezza della fattispecie astratta, onde individuare le voci di costo rilevanti ai fini del divieto ivi imposto.
Orbene, tanto i commi 1, 3 e 5 dell’art. 644 c.p., quanto l’art. 2, comma 4, della Legge 7 marzo 1996 n. 108, usano il termine “interessi”, o “interesse”, senza specificazione di sorta.
Una simile descrizione della fattispecie impedisce l’interpretazione restrittiva, specialmente ove si consideri la ratio della disciplina anti-usura, volta a proteggere il contraente debole dall’imposizione di una controprestazione eccessiva.
E’ invero assai improbabile che il legislatore abbia inteso tutelare il debitore dall’eccessività dei soli interessi corrispettivi, consentendo invece al creditore di pervenire al medesimo risultato vietato (cioè l’imposizione di una controprestazione sproporzionata in eccesso) mediante l’imposizione di costi abnormi diversi dagli interessi corrispettivi.
Sul punto, basti considerare il disposto dell’art. 644, comma 5, c.p., alla stregua del quale per la determinazione del tasso di interesse usurario deve tenersi conto delle “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.
La scelta di usare il lemma “interesse”, con significato atecnico ed onnicomprensivo, si spiega proprio con la necessità di precludere possibili elusioni del precetto penale.
Se la disposizione avesse compiuto un’elencazione tassativa delle spese rilevanti, sarebbe stata facilmente eludibile mediante l’elaborazione di abnormi voci di costo atipiche o comunque non ricomprese nell’elenco.
Sicché, l’arbitraria esclusione della rilevanza, ai fini della disciplina anti-usura, di talune voci di costo, appare contraria alla ratio della normativa.
Partendo dalle premesse adombrate, si deve concludere per la rilevanza, ai fini della normativa anti-usura, degli interessi moratori.
La formulazione dell’art. 644, comma 1, c.p., mediante l’inciso “in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”, non vale a limitare la rilevanza, ai fini della fattispecie, dei soli interessi corrisposti a titolo di corrispettivo, siccome si riferisce, atecnicamente, alla funzione compensativa propria di qualsivoglia tipologia di interesse.
Tanto emerge chiaramente dal disposto dell’art. 1, d.l. n. 394 del 2000, a tenore del quale: “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
L’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000 è oggi pacificamente qualificato come norma di interpretazione autentica [12], talché se ne deve giocoforza riconoscere la valenza esegetica rispetto alla legge interpretata [13].
Del resto, la medesima relazione di accompagnamento all’esame parlamentare del disegno di legge da cui trasse origine la legge di conversione del decreto succitato specifica che lo scopo del decreto è quello di chiarire come si dovesse valutare l’usurarietà di qualsiasi tipo di interesse, “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio” [14].
In definitiva, la disciplina anti-usura si fonda su di un eccezionale [15] sindacato sul complessivo equilibrio economico del contratto [16], di guisa che di “interessi usurari” si può parlare non in relazione a questa o quella voce del costo sopportata dal debitore, bensì esclusivamente in relazione all’intera controprestazione complessa.
Orbene, non v’è chi non veda come il problema dell’usurarietà si ponga esclusivamente con riguardo agli interessi moratori convenzionali, non potendosi ritenere censurabili, alla stregua della normativa anti-usura, gli interessi moratori praticati ad un saggio fissato dal legislatore.
Ed invero, il combinato disposto degli artt. 5, D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, e 2, D.lgs. 9 novembre 2012, n. 192, fissa il criterio di determinazione del tasso legale degli interessi moratori, applicabile alle transazioni commerciali.
In virtù del criterio prescelto – il tasso di interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca Centrale Europea aumentato di 8 punti percentuali – non di rado tale saggio trascende il tasso-soglia.
E’ infatti ben nota la funzione sanzionatoria della disciplina – speciale – citata, di guisa che gli interessi moratori riconosciuti al creditore non si limitano a ristorare il danno da questi patito per il mancato godimento del denaro.
Anzi, il creditore si trova a locupletare, legittimamente, sul ritardo della controparte.
Di contro, il debitore, corrispondendo gli interessi moratori al tasso legale, non si limita a ristorare per intero il danno patito, ma subisce un impoverimento ulteriore, ritenuto dal legislatore proporzionato al disvalore dell’illecito commesso.
Da tale evenienza, parte della dottrina [17] ricava una conferma alla tesi dell’irrilevanza della mora ai fini della disciplina anti-usura, ritenendosi irrazionale sanzionare un tasso di mora ultra-soglia, se convenuto dalle parti, pari o a dirittura inferiore a quello legale previsto per le transazioni commerciali.
Ciò nondimeno, non si può omettere di considerare che la discrezionalità legislativa e l’autonomia negoziale patiscono limitazioni affatto diverse.
Se il legislatore, nel configurare come sanzionatorio uno strumento normalmente riparatorio, non incontra altro limite che gli artt. 25 Cost., 49 Carta di Nizza e 7 CEDU, l’esercizio dell’autonomia privata deve essere altresì conforme alla legge vigente, e risultare meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..
Tra le leggi che limitano l’autonomia privata vi sono proprio gli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c..
Né può dirsi oscura la ragione che ha indotto il legislatore a vietare all’autonomia privata ciò che egli stesso si riserva di fare – strutturare come sanzione privata l’interesse moratorio -, essendo evidente che il rischio di abuso dello strumento sanzionatorio civilistico sussista esclusivamente con riferimento ai privati.
Infine, neppure va taciuto il fatto che, pur nel disaccordo circa le modalità della verifica e circa le conseguenze civilistiche della riscontrata usurarietà della mora, la Suprema Corte [18] e la Corte Costituzionale [19] sono ormai ferme nel ritenere che anche gli interessi moratori non sfuggano alla normativa anti-usura.
E non sembra averne mai dubitato neppure la Banca d’Italia [20], ad onta della mancata rilevazione dei tassi di mora praticati dagli istituti di credito ai fini della formazione del TEGM, spiegabile con la necessità di non determinare il rialzo dei tassi-soglia [21].
Così facendo, infatti, per includere il costo (solo eventuale) della mora, si consentirebbe ai mutuanti di rialzare gli interessi corrispettivi (costo certo), siccome quel rialzo sarebbe assorbito dall’aumento del tasso-soglia determinato dall’inserimento degli interessi moratori nel TEGM.
Tanto chiarito, vanno sciolti i veri nodi gordiani, ossia (i) il metodo da utilizzare per riscontrare l’usurarietà del saggio di interesse convenzionale moratorio e (ii) le conseguenze civilistiche della predetta usurarietà.
4. Vaglio di usurarietà degli interessi moratori convenzionali.
Secondo una prima, minoritaria, impostazione della giurisprudenza di merito, gli interessi moratori convenzionali dovrebbero essere sommati al TEG, ed insieme ad esso comparati al tasso-soglia.
Una seconda impostazione giurisprudenziale ritiene che essi dovrebbero essere autonomamente comparati al tasso-soglia [22].
Ed invero, entrambe le predette teorie vanno scartate, stante la loro fallacia matematica, logica e giuridica [23].
In particolare, così argomentando si oblitera la base di calcolo dei valori percentuali in comparazione.
Mentre il TEG è una percentuale riferita all’intera sorte capitale, il tasso di interesse moratorio si riferisce alla singola rata scaduta e impagata, sicché sommare il tasso di interesse moratorio al TEG significa sommare due grandezze differenti.
La descritta sommatoria non rappresenta il complessivo costo del credito, ma un valore fittizio, la cui grandezza dipende proprio dall’ingiustificata applicazione al tasso di mora di una base di calcolo (l’intera sorte capitale) diversa da quella reale (la singola rata scaduta).
Parimenti, confrontare il tasso di interesse moratorio con il tasso-soglia significa confrontare due grandezze disomogenee, siccome il tasso soglia è pari al TEG medio (con base di calcolo l’intera sorte capitale) maggiorato di uno spread.
Sicché, esemplificando, il mutuatario che sopporta un tasso di interesse moratorio superiore al TEGM non per questo sopporta un costo complessivo del credito superiore alla media (cosa che invece avviene nel caso in cui il TEG sia superiore al TEGM).
Inoltre, tale criterio di controllo risulta, da un lato, troppo restrittivo, dall’altro, troppo espansivo.
E’ troppo restrittivo perché non consente di rilevare l’usurarietà nei casi in cui i tassi moratorio e convenzionale siano, separatamente considerati, inferiore al tasso soglia, ma in concreto e complessivamente determinino un costo del credito rispetto ad esso eccedente.
E’ troppo espansivo perché impone il rilievo di usurarietà nel caso in cui il tasso di mora sia superiore al tasso soglia, quand’anche, mancando gli inadempimenti del debitore o protraendosi per un breve lasso di tempo, esso non determini un concreto squilibrio economico tra le prestazioni delle parti.
Per ovviare alla disomogeneità delle basi di calcolo, un terzo orientamento giurisprudenziale [24], il cui impianto di fondo viene condiviso da parte minoritaria della dottrina [25], ritiene che il tasso convenzionale di mora vada comparato al c.d. tasso di “mora-soglia”, ottenuto aumentando il tasso-soglia individuato dalla Banca d’Italia con uno spread di 1,9 punti percentuali.
Il tasso di “mora-soglia” si ricaverebbe dalle indicazioni fornite mediante la circolare Banca d’Italia 3 luglio 2013, la quale specificava che il tasso di mora medio praticato dagli operatori del mercato del credito era maggiore del 2,1% rispetto al tasso soglia.
Recentemente, il D.M. del 21.12.2017 ha riproposto le rilevazioni dei tassi di mora, individuando, con riferimento ai mutui, uno spread dell’1,9% da applicare al tasso soglia individuato per la medesima categoria negoziale.
L’elaborazione di un tasso-soglia specifico per gli interessi moratori consente la comparazione di valori percentuali riferiti alla medesima base di calcolo.
Sennonché, dal momento che l’usura si configura come un complessivo squilibrio economico tra le prestazioni imposte alle parti dal negozio, non appare corretto parcellizzare il vaglio di usurarietà, separando la frazione di costo costituito dagli interessi moratori dalle altre voci inserite nel TEG.
Peraltro, tale tasso di “mora-soglia” si ottiene mediante un aumento arbitrario e non consentito dalla legge del tasso-soglia [26].
Invero, lo spread predetto dovrebbe essere elaborato sulla base di rilevazioni periodiche dei tassi di mora praticati, a cui dovrebbe conseguire l’individuazione periodica del tasso di mora medio.
Al contrario, la Banca d’Italia procede alle predette rilevazioni in maniera rapsodica, talché l’oscillazione del tasso di “mora-soglia” dipende essenzialmente dalle oscillazioni del TEGM, mentre non si considerano le variazioni periodiche del tasso di mora medio.
Neppure vale a conferire legittimità al tasso “mora-soglia” la recente riedizione della rilevazione, contenuta nel D.M. del 21.12.2017, giacché, in ogni caso, tale rilevazione non è richiesta dall’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n.108, il quale invece impone l’individuazione di un costo complessivo medio per ogni “operazione”, cioè per ogni tipo negoziale, e non l’individuazione della media di ogni voce di costo del credito.
Infine, alcuna norma di legge prevede un doppio tasso, uno valevole per il TEG e l’altro per il solo interesse moratorio, essendo unitaria la definizione di usura oggettiva.
Considerato quanto sopra, non v’è chi non veda come tale parametro di valutazione dell’equilibrio economico risulti inadatto.
Ma, in maniera ancor più radicale, e considerando che l’usura consiste in una forma di squilibrio economico negoziale eccezionalmente rilevante, bisogna concludere che l’usurarietà non può riguardare questo o quel tipo di interesse, bensì l’intero costo del credito.
Indi, deve essere valutata per tutto ciò che costituisce, in concreto, costo del credito, ed in relazione all’intera entità del credito concesso, di guisa che si possa apprezzare il complessivo assetto economico del negozio; verificare l’usurarietà dei soli interessi moratori significa valutare il peso economico di una singola voce di costo in relazione ad una singola rata, cioè in relazione ad una frazione del credito.
Il tasso soglia è un parametro a cui comparare il complessivo costo del credito, sicché ogni prestazione patrimoniale volta a remunerare la concessione del credito va accorpata nel TEG, in guisa da effettuare un unico e definitivo accertamento dell’usurarietà.
Pertanto, l’analisi va condotta includendo nel TEG anche quella frazione di costo del credito determinato dalla mora.
Parte della giurisprudenza [27] obietta che la disomogenea composizione di TEG e TEGM inficerebbe la logicità della comparazione, ed afferma la sussistenza del c.d. principio di simmetria, alla stregua del quale si potrebbero comparare esclusivamente tassi composti mediante l’accorpamento delle medesime voci di costo.
Sennonché, la pur suggestiva tesi si espone ad insuperabili rilievi critici.
Anzitutto, bisogna rilevare che il vaglio di usurarietà implica la comparazione del TEG al tasso-soglia, non al TEGM, ed il tasso-soglia è pari al TEG maggiorato del 25% più 4 punti percentuali.
Tale spread ha la funzione di assorbire non solo un aumento del TEG giustificato dall’eventuale maggior rischio che assume l’istituto di credito, ma altresì tutte le voci di costo del credito non rilevate dalla Banca d’Italia e non incluse nel TEGM.
Il principio di simmetria, sprovvisto di qualsivoglia addentellato normativo (tanto che si giustifica con un oscuro ricorso alla“logicità”), sarebbe idoneo a dare la stura all’elusione della disciplina anti-usura, mediante l’applicazione di costi non inclusi nel TEGM, i quali pertanto sarebbero sottratti al vaglio di usurarietà [28].
Ed invero, focalizzandosi il concetto di usurarietà come squilibrio economico contrattuale, risulta evidente che il tasso-soglia svolga la funzione di parametro oggettivo di equità, mentre il TEG rappresenta l’indice del costo complessivo e concreto del credito.
Ma la determinazione del costo complessivo del credito è accertamento di fatto riservato al giudice di merito, il quale deve prudentemente valutare la natura remuneratoria (a qualsiasi titolo) della voce di costo considerata onde includerla nel TEG, conformemente al disposto dell’art. 644 c.p..
L’affermato principio di simmetria, invece, consentirebbe surrettiziamente alla Banca d’Italia di conculcare il potere giudiziale di accertamento e qualificazione giuridica del fatto, implicando che il procedimento di determinazione del TEG in concreto sopportato dal mutuatario sia identico a quello seguito dall’Autorità di vigilanza nella rilevazione del TEGM.
Le difficoltà dell’inclusione della mora nel TEG dipendono essenzialmente dal variabile fattore temporale.
Mentre gli interessi corrispettivi sono dovuti per intervalli temporali determinati nel piano di ammortamento, sicché è sempre nota l’incidenza del fattore tempo rispetto ad essi, gli interessi moratori potrebbero non essere dovuti affatto, ovvero essere dovuti per pochi giorni, o per molti giorni, a seconda dell’entità del ritardo dell’adempimento del debitore.
La natura solo eventuale del costo del credito determinato dalla mora incide sul metodo di valutazione di detto costo.
In particolare, non è possibile valutare ex ante la reale incidenza degli interessi moratori sull’equilibrio economico del contratto, siccome non è possibile prevedere l’inadempimento del debitore e la sua protrazione temporale.
Dunque, l’unica strada tecnicamente percorribile per assoggettare gli interessi moratori al vaglio di usurarietà pare essere quella indicata, nel 2014, dal Tribunale di Milano [29].
In particolare, bisogna: 1) sommare gli importi già corrisposti a titolo di mora dal debitore con gli importi pagati a titolo di interessi corrispettivi e spese incluse nel TEG; 2) rapportare la somma così ottenuta all’intera sorte capitale del credito concesso, onde rilevare l’incidenza percentuale sullo stesso; 3) comparare la percentuale ottenuta al tasso-soglia vigente al momento della stipulazione del contratto.
In definitiva, più che un vaglio di usuarierà degli interessi moratori convenzionali, si deve porre in essere un vaglio di usurarietà della complessiva controprestazione richiesta al debitore per effetto della mora, la quale partecipa al costo del credito solo se effettivamente pagata.
Si ritiene che questa impostazione abbia un duplice pregio.
In primo luogo, consente un controllo dell’effettivo equilibrio contrattuale, senza imporre una parcellizzazione – contraria alla ratio della disciplina anti-usura – del vaglio di usurarietà.
Il legislatore avrebbe potuto individuare una serie di tassi soglia, distinti per voce di costo, ed imporre il vaglio di usurarietà individuale per ogni voce.
Invece, ha optato per una definizione onnicomprensiva di “interesse usurario”, in definitiva riferita alla complessiva controprestazione imposta al debitore.
In secondo luogo, il descritto criterio di calcolo conduce, in concreto, ad accertare l’usurarietà del mutuo per effetto della mora in casi davvero rari, essendo all’uopo necessario che il TEG lambisca il tasso soglia già prima dell’inclusione degli interessi moratori [30].
La concreta limitazione così ottenuta dei casi di usura determinati dagli interessi moratori è coerente, da un lato, con lo scarso peso sul costo complessivo del credito che gli interessi moratori esercitano normalmente; dall’altro, con la gravità della sanzione che, secondo l’impostazione in questa sede patrocinata, deve conseguire all’accertamento della usurarietà [31].
Né si potrebbe a ragione obiettare che l’usura così individuata sarebbe un’usura sopravvenuta, irrilevante così come chiarito dal D.l. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, nonché da un recente arresto delle Sezioni unite della Suprema Corte [33].
Non si deve confondere il fenomeno dell’usura sopravvenuta, determinato dal ribasso dei tassi-soglia nelle rilevazioni successive, con l’usura realizzata per effetto del pagamento degli interessi moratori.
Nel primo caso, il negozio giuridico si origina in conformità alla normativa anti-usura vigente, sicché resta insensibile alle sopravvenienze, conformemente a quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, D.lgs. n. 394 del 2000; nel secondo caso si origina come già potenzialmente usurario, in ragione dell’eccessività del tasso di mora convenzionale pattuito.
La natura solo potenziale della predetta usurarietà non dipende dall’oscillazione del tasso soglia, bensì dalla natura eventuale del costo della mora.
Lo squilibrio economico vietato si realizzerà esclusivamente in caso di inadempimento del debitore per un numero di rate sufficiente a determinare il superamento del tasso soglia da parte del TEG (comprensivo degli interessi moratori).
Si può dunque asserire che l’usurarietà per effetto della mora è eventuale, ma non sopravvenuta.
L’usurarietà eventuale, contrariamente all’usurarietà sopravvenuta stricto sensu intesa, non è relegata all’irrilevanza dalla succitata legge di interpretazione autentica.
La ratio della normativa in questione è infatti quella di evitare che, per effetto dell’oscillazione del tasso-soglia, venga comminata la sanzione della gratuità ai mutui stipulati conformemente all’assetto normativo vigente al tempo.
In altri termini, la norma di interpretazione autentica esplicita l’inapplicabilità retroattiva dei tassi soglia.
Sarebbe invece illogico ritenere che, tramite l’affermata irrilevanza dell’usura sopravvenuta, si sia voluta legittimare la censurabile prassi della configurazione di interessi moratori eccessivi (magari accompagnati ad un piano di ammortamento a scadenze ravvicinate, in guisa da facilitare il ritardo del mutuatario), specie considerando l’ivi affermata rilevanza, ai fini della disciplina anti-usura, degli interessi a qualunque titolo pattuiti.
Quanto sopra è reso evidente da taluni passaggi della sentenza Cass., SSUU. civ., n. 24675, 19.10.2017, la quale, nel riassumere l’indirizzo giurisprudenziale a cui ha dato continuità [34], ha affermato che “[…] la norma di interpretazione autentica attribuisce rilevanza, ai fini della qualificazione del tasso convenzionale come usurario, al momento della pattuizione dello stesso e non al momento del pagamento degli interessi; cosicché deve escludersi che il meccanismo dei tassi soglia previsto dalla legge n. 108 sia applicabile alle pattuizioni di interessi stipulate in data precedente la sua entrata in vigore […]”.
Ed invero, il criterio di verifica dell’usurarietà proposto non implica, in alcun modo, l’applicazione di un tasso soglia ad una pattuizione precedente alla sua entrata in vigore.
Alla conclusione raggiunta si potrebbe opporre un’obiezione ulteriore.
In particolare si potrebbe ritenere che, essendo l’usura un fenomeno relativo al complessivo negozio giuridico, la pattuizione di interessi moratori eccessivi, quand’anche non corrisposti, determinerebbe uno squilibrio negoziale già censurabile e da sanzionare.
D’altro canto, per dichiarare l’usurarietà del mutuo in ragione di un interesse corrispettivo eccessivo non si deve attendere la corresponsione delle rate.
Sennonché, è proprio l’alterità dei titoli da cui gli interessi di diversa specie originano a giustificare un trattamento differenziato degli stessi.
Un tasso di interesse corrispettivo eccessivo determina di per sé stesso uno squilibrio economico del negozio, dato che la corresponsione degli stessi è certa ab origine.
Al contrario, un saggio di interesse moratorio convenzionale eccessivo non determina di per sé stesso uno squilibrio economico, bensì un mero squilibrio – giuridico – di diritti e obblighi, il quale è suscettibile di concretizzarsi in squilibrio economico una volta che si inveri la mora debendi.
5. Conseguenze civilistiche
Orbene, il primo periodo del comma 1 dell’art. 1815 c.c. stabilisce che “Salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante.”.
Ictu oculi, la norma sembra riferirsi ai soli interessi corrispettivi, siccome presume l’onerosità del mutuo [35].
Non avrebbe senso presumere la debenza degli interessi moratori, siccome essi maturano ex lege su ogni credito liquido ed esigibile.
Al successivo comma secondo, laddove la norma commina la sanzione civilistica dell’usura, si usa nuovamente la neutra espressione di “interessi”, a cui, apparentemente, bisognerebbe attribuire il medesimo significato di cui al comma 1.
Ciò nondimeno, non si può omettere di valutare che la più volte richiamata norma di interpretazione autentica, di cui all’art. 1, comma 1, D.l. n. 394 del 2000 riferisce l’inciso “a qualsiasi titolo” non solo all’art. 644 c.p., ma altresì all’art. 1815, comma 2, c.c., di guisa che gli interessi moratori vanno considerati rilevanti anche riguardo a quest’ultimo.
Se la norma di interpretazione autentica è tale da consentire la riconduzione degli interessi moratori all’ambito di applicabilità dell’art. 644 c.p., altrettanto deve dirsi con riferimento all’art. 1815, comma 2, c.c. [36].
Ed invero, l’art. 1815 c.c. disciplina l’equilibrio economico del contratto di mutuo, sicché riguarda l’intero costo del credito, ivi compresa quella frazione di costo determinata dall’eventuale inadempimento del debitore.
Esso stabilisce, al comma 1, la presunzione di onerosità del mutuo in assenza di diversa previsione negoziale; al comma 2, che l’eccessiva rimunerazione della momentanea privazione del capitale (rimunerazione a cui partecipano gli interessi moratori) è sanzionata con la gratuità del mutuo.
Alla nozione di “interessi” ivi impiegata va dunque assegnato un significato atecnico ed onnicomprensivo, inclusivo di ogni e qualsivoglia voce di costo del credito.
Questa lettura è pienamente coerente con la natura, parimenti onnicomprensiva, della dicitura “interessi” contenuta nell’art. 644 c.p., norma nella quale si rinviene il precetto che l’art. 1815, comma 2, c.c. presidia con una sanzione civilistica.
Sarebbe infatti irragionevole dare una definizione unitaria di usura [37], ed apprestare una sanzione civilistica differenziata in ragione della causa che la determina.
D’altro canto, la scelta legislativa del lemma “interessi”, inteso in senso atecnico, si spiega facilmente, sol che si considerino gli inconvenienti a cui darebbe luogo un’elencazione tassativa di voci di costo nulle se esorbitanti il tasso-soglia.
Il mutuante potrebbe facilmente eludere la sanzione civilistica della gratuità del mutuo mantenendo infrasoglia le voci di costo tipiche, e configurando costi atipici abnormi.
Allo stesso modo si coglie l’illogicità di un’interpretazione restrittiva dell’art. 1815 c.c., come riferito ai soli interessi.
Se così fosse, il mutuante potrebbe ancor più facilmente porsi al riparo dalla sanzione civilistica, mantenendo infrasoglia gli interessi corrispettivi e configurando interessi moratori, o altre voci di costo il cui pagamento è certo, dai tassi abnormi.
In ultima analisi, l’interpretazione restrittiva dell’art. 1815 c.c., pur fatta propria dal recente arresto n. 27442/2018 della Corte di Cassazione, frustra la ratio sanzionatoria della disposizione.
Né si può qualificare come sanzione quella ritenuta applicabile, nel caso di “interessi moratori usurari”, dalla succitata pronuncia.
Essa, ritenendo inapplicabile l’art. 1815 c.c. agli interessi moratori, ha concluso per la necessaria riconduzione del tasso di interesse convenzionale moratorio al tasso legale.
In primo luogo, non è chiaro quale sia l’addentellato normativo posto alla base della predetta operazione, giustificata con un oscuro ricorso al criterio di ragionevolezza.
In secondo luogo, non si vede quale sia l’afflizione sanzionatoria imposta al mutuante, visto che egli continuerebbe a percepire un corrispettivo per la concessione del credito, oltre a mantenere il diritto al risarcimento del danno da ritardo, mediante gli interessi moratori al tasso legale ed eventualmente mediante la domanda giudiziale di risarcimento del maggior danno.
La soluzione elaborata dalla III Sez. provvede esclusivamente a rimuovere l’illecito, ma non sanziona il mutuante, contrariamente alla vocazione spiccatamente sanzionatoria della Legge n. 108 del 1996.
Sicché, allorquando si accerti con le modalità predette l’usurarietà del mutuo per effetto della mora (o di qualsiasi altra spesa o commissione incidente sul costo del credito), deve applicarsi la sanzione della gratuità del mutuo, intesa come non debenza, da parte del debitore, di qualsivoglia prestazione remuneratoria [38].
A quanto sopra esposto, parte della dottrina obietta che, così ragionando, si premierebbe l’inadempimento del debitore, il quale potrebbe evitare di pagare le rate scadute onde accumulare una quantità di debito a titolo di mora sufficiente a determinare il superamento del tasso-soglia [39].
L’obiezione, tuttavia, non coglie nel segno per tre ordini di ragioni.
Anzitutto, come già anticipato, il riscontro dell’usurarietà per effetto della mora è evenienza remota, essenzialmente riconducibile ai casi di tasso di interesse moratorio convenzionale abnorme ovvero ai casi in cui il TEG lambisce il tasso-soglia già prima che vi si includano gli interessi moratori [40].
In tal caso, data l’abnormità, non si può dubitare che il mutuante meriti la sanzione.
In secondo luogo, bisogna considerare che, configuratosi il grave inadempimento del prenditore, il mutuatario può agire per la risoluzione giudiziale, ovvero intimare l’adempimento con diffida ad adempiere, o ancora, come più comunemente avviene, può valersi della clausola risolutiva espressa, così determinando la decadenza dal beneficio del termine e l’interruzione dell’accumulo di credito a titolo di mora convenzionale sulle singole rate.
Essendo il mutuo un contratto di durata ai sensi dell’art. 1458 c.c., la risoluzione non opera retroattivamente, sicché si limita ad anticipare la scadenza dell’obbligo di rimborso del capitale residuo, mentre non sono più dovuti gli interessi corrispettivi che compongono, in parte, le rate non ancora scadute.
Saranno invece ancora dovuti gli interessi moratori, al tasso convenzionale ex art. 1224 c.c., e matureranno sulla somma della quota capitale delle singole rate non ancora scadute al momento della risoluzione.
Eliminati dalle voci di costo del credito gli interessi corrispettivi che avrebbero dovuto essere corrisposte alla scadenza delle rate successive, appare improbabile, salvo i casi di interessi moratori convenzionali davvero esorbitanti, che la verifica di usurarietà condotta nel modo sopra descritto restituisca un TEG superiore al tasso soglia.
In terzo luogo, il dovere di buona fede oggettiva impone al creditore, entro il limite dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse personale, di tutelare la sfera giuridica del debitore, sicché si deve ritenere che la risoluzione contrattuale sia configuri come vero e proprio obbligo, allorquando l’omissione dell’azione determini l’eccessivo costo del credito.
Infine, bisogna comunque considerare che la gratuità è una sanzione imposta al creditore, volta ad indurre il mutuatario a calcolare il costo complessivo, anche potenziale, del credito che concede.
Se omette l’opportuno calcolo, si espone al rischio della gratuità del mutuo, e tale effetto pare pienamente conforme allo spirito della normativa anti-usura.
Quanto alla tesi, pur avanzata da parte della giurisprudenza di merito [41], dell’applicabilità dell’art. 1815, comma 2, c.c. al solo tipo di interesse che, isolatamente considerato, supera il tasso-soglia, anch’essa presta il fianco ad insuperabili rilievi critici.
Per quanto detto supra [42] in relazione alla natura dell’usura, da intendersi come complessivo squilibrio economico delle prestazioni, bisogna ribadire che la declaratoria di usurarietà di una singola voce di costo del credito è estranea alla logica dell’art. 644 c.p..
Per quanto concerne più specificamente l’art. 1815, comma 2, c.c., visto il significato atecnico della nozione di “interessi” ivi impiegata, la dicitura “e non sono dovuti interessi” va interpretata come “e non è dovuta alcuna controprestazione”.
6. Conclusioni
L’avvertita esigenza di tutelare il debitore da un costo eccessivo del credito può essere adeguatamente soddisfatta, avuto riguardo all’attuale assetto normativo, soltanto mediante l’applicazione della norma sanzionatoria di cui all’art. 1815, comma 2, c.c..
Il descritto criterio di inclusione degli interessi moratori nel TEG è tale da non escludere arbitrariamente una parte del costo del credito dal vaglio di usurarietà, e da non imporre una parcellizzazione della verifica del superamento del tasso-soglia per singole voci di costo, contrariamente alla ratio della disciplina anti-usura, la quale si configura come squilibrio economico complessivo del contratto.
Per altro verso, il sistema di verifica dell’usurarietà causata dalla mora, relegandone il riscontro a casi marginali e realmente patologici, è idoneo a fugare i timori di abusi da parte del contraente debole della sanzione della gratuità del mutuo.
Tali legittime preoccupazioni, all’uopo delimitata l’incidenza dell’usurarietà per effetto della mora, risultano infondate.
D’altro canto, il problema dell’usura, e l’esigenza di tutela che ne deriva, originano dallo squilibrio economico e/o informativo sussistente, in fase di trattativa, tra le parti.
In primo luogo, il mutuatario è soggetto che potrebbe versare in stato di bisogno, come dimostra il fatto che la conseguenza civilistica dell’usura, prima dell’introduzione della Legge n. 108 del 1996, venisse individuata nella rescissione.
Tale stato di bisogno configura uno squilibrio economico tra le parti, di cui il mutuante potrebbe approfittare.
In secondo luogo, il mutuante, quand’è, come di regola, soggetto istituzionale e tecnicamente esperto, vanta, nei confronti della controparte, una più profonda comprensione delle dinamiche del mercato del credito, nonché delle conseguenze sull’equilibrio economico del contratto della determinazione di un dato tasso di interesse moratorio convenzionale.
Sicché, la disciplina anti-usura, nell’impossibilità di elidere i predetti squilibri, è tesa: da un lato, a compensarli mediante l’attribuzione di un penetrante strumento di tutela civilistico al contraente debole; dall’altro, a dissuadere il contraente forte dall’abusare della propria posizione in sede di trattativa, minacciando una grave sanzione idonea a vanificare l’interesse economico-individuale da esso perseguito.
Niente di nuovo o di asistematico, dunque, potendosi apprezzare la medesima tendenza legislativa con riferimento alla disciplina del contratto del consumatore, al quale, per tacer d’altro, viene attribuito l’esclusivo strumento di tutela, da attivare secundum eventum, delle nullità relative.
E non v’è dubbio che la dichiarazione di una nullità relativa, necessariamente parziale ed inestensibile ex art. 1419, comma 1, c.c., possa essere tale da determinare uno squilibrio economico-negoziale uguale e contrario, questa volta favorevole al contraente debole, proprio come avviene nel caso dell’applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c..
[1] Ci si riferisce, in particolare, alla recente conclusione raggiunta da Cass., SSUU., 20 giugno 2018, n. 16303, in Corr. giur., 2018, 11, 1339 ss., con nota di C. Colombo, Commissione di massimo scoperto e disciplina antiusura: le sezioni unite avallano il principio di simmetria ed impongo la comparazione separata, relativa alla diversa questione dell’inclusione delle CMS nel TEG. Dopo aver affermato ore rotundo l’assoggettabilità del tasso di interesse moratorio al tasso soglia con la pronuncia Cass., 17 maggio 2018, n. 27442, consultabile su www.dirittobancario.it., nella succitata sentenza il giudice di nomofilachia, nella sua massima composizione, ha avallato il c.d. “principio di simmetria”, alla stregua del quale bisognerebbe includere nel TEG esclusivamente le voci di costo rilevate dalla Banca d’Italia ed incluse nel TEGM. L’affermazione di siffatto principio conduce, inevitabilmente, ad escludere il tasso moratorio dal TEG, siccome l’Autorità di vigilanza bancaria non ha mai tenuto conto del saggio di interesse di mora ai fini della formazione del TEGM.
[2] G. GUIZZI, La Cassazione e l’usura… per fatto del debitore (“Aberrazioni” giurisprudenziali in tema interessi di mora e usura), in Cor. giur., 2019, 2, 153 ss.. ; A.A. DOLMETTA, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, 5, 501 ss; L. CANDIANI, Contratti di credito: l’ossimoro dell’usura e della mora, in Cor. Giur., 2018, 6, 807 ss..
[3] Ex multis, Trib. Milano, 16 febbraio 2017, n.16873, Rep. 1508/2017, consultabile su www.expartecreditoris.it; ABF, 28 marzo 2014, n. 1875, in www.arbitrobancarioefinanziario.it.
[4] A.A. DOLMETTA, Su usura, cit., 501 ss.; E. QUADRI, Usura e legislazione civile, in Cor. Giur., 1999, 7, 890 ss; L. CANDIANI, Contratti, cit., 807 ss.; Trib. Milano, Sez. VI civ., 16 febbraio 2017, n.16873, Rep. 1508/2017; ABF, 28 marzo 2014, n. 1875, in www.arbitrobancarioefinanziario.it.
[5] Da tanto deriva il fatto che, mentre gli interessi moratori interagiscono con la disciplina della responsabilità da inadempimento, gli interessi corrispettivi sono dovuti anche in caso di ritardo non imputabile al debitore.
[6] Ex multis, Cass., SSUU., 21 giugno 2005, n. 13294, in www.altalex.com, 15 luglio 2005, con nota di G. BUFFONE; Cass., SSUU., 13 novembre 2012, n. 19702, in www.neldiritto.it.
[7] Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, cit..
[8] B. INZITARI, La moneta, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, a cura di F. Galgano, 4, Cedam, 1983, 206 ss.; M. LIBERTINI, Interessi, in Enc. del dir., XXIII, Giuffrè, 1972, 101 ss.; E. QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato Rescigno, 9, Utet, 1999, 521 ss..
[9] Cass.civ., SSUU., 16 luglio 2008, n. 19499, in www.altalex.com; Cass. civ., 30 novembre 1978, n. 5670, in Foro it., 1979, I, 15 ss.; in Giur. it., 1979, 971, I, 1 ss.; in Resp. civ. e prev., 1979, 39; in Arch. civ., 1979, 620 ss.; in Vita notarile, 1978, 1112 ss.; Cass., 7 gennaio 1983, n. 123, in Giust. civ., 1983, I, 766 ss.; in Giur. it., 1983, I, 1, 574 ss.; in Banca, borsa, tit. cred., 1983, II, 297 ss..
[10] Cass. civ., SSUU., 05.07.2017, n. 16601, in Giur. it., 2018, 10, 2274 ss, con nota di E. Gabrielli e A. Federico, Una premessa; G. Ponzanelli, Il risarcimento punitivo: qualche riflessione introduttiva; O. Clarizia, Danno non patrimoniale e funzione punitiva del risarcimento ultracompensativo; A. Saravalle, Cronaca di una sentenza annunciata (per gli internazionalprivatisti); L. D’Andrea, Principio di ragionevolezza e danni punitivi: la prospettiva costituzionale; F. Gigliotti, Danni punitivi e sistema processuale (civile); A. Palmieri, Danni punitivi nel diritto della concorrenza e della proprietà intellettuale: quali prospettive?; S. Carabetta, I punitive damages tra crisi di proporzionalità e teoria dell’illecito civile.
[11] Cass., SSUU, 19 ottobre 2017, n. 24675, in Corr. giur., 2017, 12, 1484 ss., con nota di G. Guizzi, Le sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta e di S. Pagliantini, L’usurarietà sopravvenuta e il canone delle SS. UU.: ultimo atto?.
[12] La pronuncia Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, in Gazzetta Ufficiale, I serie speciale, 6 marzo 2002, n. 10, ha confermato la natura di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, dichiarando altresì infondate le questioni di costituzionalità rispetto ad esso sollevate dal Tribunale di Benevento e dal Tribunale di Taranto.
[13] Contra, vedasi per tutti, L. CANDIANI, Contratti, cit. 807 ss., nota n. 5).
[14] Cfr. §4 della Relazione di accompagnamento all’esame in aula del D.d.l. n. S-4941, XIII legislatura, consultabile su www.senato.it.
[15] Ci si riferisce al noto principio di insindacabilità dell’equilibrio economico nel c.d. “primo contratto” (quello regolato dal codice civile), non essendo invece eccezionale tale forma di sindacato nel c.d. “terzo contratto”, caratterizzato dallo squilibrio del potere contrattuale delle parti.
[16] Nello stesso senso, tra gli altri, B. INZITARI, Il mutuo con riguardo al tasso «soglia» della disciplina antiusura o al divieto di anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 1999, 1, 275 ss..
[17] Vedansi per tutti L. CANDIANI, Contratti, cit., 807 ss; C. ROBUSTELLA, La dibattuta questione della rilevanza degli interessi di mora ai fini dell’applicazione della disciplina antiusura, in Jus civile, 2016, 3, 154 ss..
[18] Ex multis, Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, in Banca borsa tit. cred., 2013, 5, 498 ss., con nota di A.A. Dolmetta, Su usura e interessi di mora: questioni attuali, ed in Nuova giur. civ. comm., 2013, 7-8, 675 ss., con nota di A. Tarantino, usura e interessi di mora; Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Giur. It., 2000, I, 1665; Cass., 11 gennaio 2013, n. 602, consultabile su www.expartecreditoris.it; Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, consultabile su www.neldiritto.it.
[19] Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, cit..
[20] Cfr. Circolare Banca d’Italia 03.07.2013, §4, la quale afferma “in ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura”.
[21] Nello stesso senso, A.A. DOLMETTA, Su usura, cit., 501 ss..
[22] Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, cit..
[23] La sentenza Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, cit., 501 ss., nell’affermare la rilevanza degli interessi moratori ai fini della normativa anti-usura, ha indotto parte minoritaria della dottrina a ritenere che, quando la somma tra tasso di interesse corrispettivo e tasso di interesse moratorio supera il tasso soglia, si verificherebbe un fenomeno d’usura. Sennonché, come esaustivamente chiarito, tra gli altri, da Trib. Milano, 6 giugno 2018, n. 6369, consultabile su www.ilcaso.it, la Suprema Corte non ha mai legittimato la predetta operazione aritmetica. Nello stesso senso, D. GRIFFO, Interessi moratori, usura e anatocismo: la querelle infinita, in I Contratti, 2015, 5, 507 ss..
[24] Di recente, Trib. Roma, 7 dicembre 2018, n. 23603, in www.expartecreditoris.it.
[25] In tal senso, A. TARANTINO, Usura e interessi di mora, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 1, 679 ss.; M. AVAGLIANO, Profili problematici in tema di usura: interessi di mora e ius superveniens, in Riv. dir. priv., 2001, 399 ss.
[26] Nello stesso senso, Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, cit..; A.A. DOLMETTA, Su usura, cit., 501 ss; L. CANDIANI, Contratti, cit., 807 ss; G. D’AMICO, Principio di simmetria e legge anti-usura, in Contratti, 2017, 5, 501 ss, nota n. 11)..
[27] Per la giurisprudenza di legittimità vedasi, da ultimo, Cass. civ., SSUU., 20 giugno 2018, n. 16303, cit., 1339 ss., la quale afferma che le CMS non andrebbero incluse nel TEG proprio in virtù del principio di simmetria; per la giurisprudenza di merito vedasi Trib. Roma, 7 dicembre 2018, n. 23603, cit..
[28] Nello stesso senso vedasi G. D’AMICO, Principio, cit., 501 ss..
[29] Trib. Milano, 28 gennaio 2014, in www.expartecreditoris.it.
[30] In Trib. Milano, 28 gennaio 2014, cit. si considera che “potrebbe parlarsi di cumulo usurario di interesse corrispettivo e interesse di mora nel solo caso in cui, in presenza di ritardato pagamento, il conteggio dell’interesse di mora sull’intera rata, comprensiva di interessi, sommata all’interesse corrispettivo, determinasse un conteggio complessivo di interessi che rapportato alla quota capitale si esprimesse in una percentuale superiore al tasso soglia; ciò è tuttavia ipotesi estremamente improbabile quando tasso corrispettivo e tasso di mora siano singolarmente al di sotto del tasso soglia, dovendo considerarsi che il tasso di mora va ad incidere non già sull’intero capitale ma sulla frazione mensile portata in ammortamento e sulla relativa quota di interessi compresa nella rata rimasta impagata (il cumulo degli interessi conteggiati ad entrambi i titoli potrebbe superare il tasso di soglia, già all’epoca della pattuizione, solo nell’ipotesi limite di tassi corrispettivi e di mora poco differenziati e poco al di sotto del tasso soglia, […] il superamento nel prosieguo si avrebbe invece quando l’inadempimento si protraesse per un numero talmente elevato di rate, ipotesi teorica incompatibile con il permanere dello stesso rapporto contrattuale, da determinare mensilmente un conteggio cumulato di interessi corrispettivi e moratori talmente elevato da risultare percentualmente superiore al tasso soglia ove raffrontato al capitale mutuato)”.
[31] Si veda infra, al successivo §5.
[32] Contra: Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, cit., 501 ss.
[33] Cass. civ., SSUU, 19 ottobre 2017, n. 24675, cit., 1484 ss..
[34] Cass., 19 gennaio 2016, n. 801, in Rep. Foro it., 2016, voce Usura, n. 18; Cass., 27 settembre 2013, n. 22204, in Foro it., 2014, 1, c. 128 ss., con nota di A. Palmieri, Usura e sanzioni civili: assetti ancora instabili; Cass., 19 marzo 2007, n. 6514, in Giust. civ., 2008, 1, c. 2252 ss..
[35] La già citata Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, cit.; in dottrina, U. SALANITRO, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso-soglia, in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, a cura di G. D’Amico, Giappichelli, 2017, 128 ss..
[36] Il passaggio maggiormente criticato della succitata Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, cit. è proprio la chiosa finale, nella quale, “Al fine di prevenire nuovo contenzioso”, la Suprema Corte giunge alla conclusione, estranea all’oggetto del ricorso, dell’applicabilità dell’art. 1815, comma 2, c.c. agli interessi moratori. Dopo aver sostenuto l’identità funzionale di interessi moratori e corrispettivi, ai fini della riconducibilità di entrambi all’art. 644 c.p., sorprendentemente afferma: “Nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa” .
[37] Così Cass., SSUU. civ., 19 ottobre 2017, n. 22972, in www.neldiritto.it..
[38] Nello stesso senso, A. TARANTINO, Usura, cit., 679 ss.; M. AVAGLIANO, Profili, cit., 399 ss.; P. DAGNA, Profili civilistici dell’usura, Cedam, 2008, 127; FAUSTI, Il Mutuo, in Trattato dir. civ. Cons. naz. Not., diretto da G. Perlingeri, Esi, 2004, 168 ss.; G. GIOIA, Difesa dell’usura, in Corr. giur., 1998, 504 ss.; R. MARCELLI, Criteri e modalità di determinazione del tasso d’usura: ambiguità e contraddizioni, in www.ilcaso.it, 2008; G. MERUZZI, Il contratto usurario tra nullità e rescissione, in Contr. e impr., 1999, 493; A. LAMORGESE, Interessi moratori e usura, in Corr. giur., 2002, 1084 ss.; A. RICCIO, Le conseguenze civili dei contratti usurari: è soppressa la rescissione ultra dimidium?, ivi, 1998, 1037; D. SINESIO, Gli interessi usurari. Profili civilistici, Jovene, 1999, 65 ss.; R. TETI, Profili civilistici della nuova legge sull’usura, in Riv. dir. priv., 1997, 482 ss.
Contra: V. CARBONE, Usura civile: individuato il «tasso-soglia», in Corr. giur., 1997, 510 ss.; A.A. DOLMETTA, Le prime sentenze della Cassazione civile in materia di usura ex lege n. 108/ 1996, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, 2, 627 ss.; R. MOLITERNI – M. PALMIERI, Tassi usurari e razionamento: repressione e prevenzione degli abusi del mercato del credito, in Corr. giur., 1999, 1026 ss.; U. MORERA, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso «soglia» e…usurario sopravvenuto, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, 2, 519 ss.; G. OPPO, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, 1, 534 ss.; O. T. SCOZZAFAVA, Gli interessi dei capitali, Giuffrè, 2001, 194 ss.; G. TUCCI, Usura e autonomia privata nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in Giur. it., 2001, 680 ss.; S. VANONI, Il contratto di usura ed i contratti di credito: un primo bilancio, in Contr. e impr., 1999, 523 ss..
[39] In tal senso, ma funditus, vedansi G. PASSAGNOLI, Il contratto usurario tra interpretazione giurisprudenziale e interpretazione “autentica”, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Cedam, 2002, 60 ss.; F. PIRAINO, Usura e interessi, in Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, a cura di G. D’Amico, Giappichelli, 2017, 212 ss.; S. PAGLIANTINI, Spigolature su di un idolum fori: la c.d. usura legale del nuovo art. 1284 c.c., in Gli interessi usurari, Quattro voci su un tema controverso, a cura di G. D’Amico, Giappichelli, 2017, 75 ss.; G. GUIZZI, La Cassazione, cit. 153 ss.; Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, cit., 501 ss..
[40] Sul punto si rimanda alla nota n. 24.
[41] Trib. Milano, 28 gennaio 2014, cit..
[42] Si veda il §3.
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Ruggero Pupo
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- Interessi moratori e usura nel contratto di mutuo - 15 April 2019