Interessi moratori ed usura
La possibilità per le parti di determinare convenzionalmente il tasso di interesse in misura superiore a quello legale trova un limite nell’usura.
Come previsto dall’art. 2, comma 4, l. n. 108/96, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari coincide con il tasso effettivo globale medio (TEGM), relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali.
L’usura realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore, che concede in godimento, e quella del debitore, che s’impegna a pagare il corrispettivo di quanto ricevuto.
L’antigiuridicità della fattispecie viene ricondotta al comportamento del creditore, il quale, sfruttando a proprio vantaggio la posizione di superiorità rivestita nell’ambito del rapporto contrattuale, impone al debitore l’esecuzione di una prestazione di valore non corrispondente a quanto ricevuto.
Il superamento del tasso soglia comporta rilevanti conseguenze dal punto di vista giuridico: in primo luogo tale condotta viene sanzionata penalmente, andando a costituire la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 644 c.p.
La l. n. 108/96 ha mutato profondamente la disciplina penale dell’usura, eliminando tra gli elementi costitutivi del fatto di reato l’approfittamento dello stato di bisogno, che è attualmente elevato a mera circostanza aggravante, ed incentrando così la fattispecie solo sulla sproporzionalità delle prestazioni.
Sotto il profilo civilistico, d’altra parte, l’art. 1815 c.c. sancisce l’invalidità della clausola contenente interessi usurari e la conseguente gratuità del negozio.
Trattasi di una nullità avente carattere parziale la quale deroga alla disciplina di cui all’art. 1419 c.c., escludendo la possibilità di estendere l’invalidità della clausola all’intero negozio.
A differenza di quanto previsto dalla precedente formulazione della norma, d’altronde, in presenza di una clausola usuraria non sono più dovuti interessi, nemmeno nella misura legale; il negozio, dunque, si trasforma da oneroso a gratuito.
Tanto premesso, l’orientamento inizialmente prevalente riteneva che ai fini del calcolo dell’usura dovessero essere presi in considerazione i soli interessi corrispettivi, con esclusione invece di quelli moratori.
A sostegno di tale impostazione si richiamava, anzitutto, la differenza ontologica tra le due diverse tipologie di interesse: mentre gli interessi corrispettivi remunerano un capitale, assumendo carattere necessario e finalità di lucro, quelli moratori costituiscono invece una sanzione convenzionale all’inadempimento del debitore, e come tali hanno finalità risarcitoria e carattere meramente eventuale.
Si osservava, inoltre, la mancanza di qualsivoglia riferimento normativo che potesse consentire la riconduzione degli interessi moratori alla disciplina dell’usura: l’art. 644 c.p., infatti, nella configurazione della fattispecie incriminatrice prende in considerazione solo gli interessi corrispettivi; la rilevanza periodica, da parte del Ministero del tesoro, degli interessi medi praticati dagli operatori finanziari, inoltre, viene effettuata trascurando gli interessi moratori.
D’altra parte, si evidenziavano le forti similitudini intercorrenti tra gli interessi moratori e la clausola penale, le quali dovrebbero indurre ad applicare agli stessi la medesima disciplina, con conseguente riconoscimento al giudice del potere di disporne la riduzione giudiziale nel caso in cui si ritengano sproporzionati, analogamente a quanto disposto per la penale dall’art. 1384 c.c., ed evitando così la sanzione della nullità di cui all’art. 1815 c.c.
Tale impostazione è stata superata dalla giurisprudenza più recente sulla base di quattro diversi criteri di interpretazione delle norme.
In virtù, anzitutto, di un criterio di interpretazione letterale: l’art. 1 del d.l. n. 394/00, infatti, nel fornire un’interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., prevede espressamente che debbano ritenersi usurari gli interessi che superano il tasso soglia a qualunque titolo essi siano stati convenuti.
A confermare l’uniformità degli interessi vi provvede anche l’art. 1224 c.c., il quale dispone che la misura degli interessi moratori corrisponda a quella degli interessi corrispettivi qualora questi ultimi siano stati convenuti tra le parti.
Secondo un’interpretazione sistematica, d’altronde, deve ritenersi che gli interessi corrispettivi e quelli moratori abbiano in realtà la medesima funzione, costituendo entrambi la remunerazione di un capitale di cui il creditore si è spogliato, nel primo caso volontariamente e nel secondo involontariamente. Nel caso degli interessi corrispettivi, in particolare, si compensa l’indisponibilità del denaro fisiologica, mentre nella diversa ipotesi degli interessi moratori, quella patologica.
Si richiama inoltre un criterio di interpretazione finalistica, in base al quale sarebbe la stessa ratio della l. n. 108/96 a ribadire che gli interessi convenzionali moratori non sfuggono all’applicazione delle norme antiusura.
Tale legge, in particolare, è stata emanata allo scopo di porre fine al dibattito in ordine alle modalità attraverso le quali procedere al calcolo dell’usurarietà dell’interesse, escludendo che a tal riguardo potessero assumere rilevanza le condizioni e le qualità personali delle parti, ed adottando così un criterio di determinazione degli interessi moratori puramente oggettivo, nel duplice intento di tutelare le vittime di comportamenti usurari e di salvaguardare il superiore interesse pubblico al corretto ed ordinato svolgimento delle attività economiche.
L’esclusione degli interessi moratori dall’applicazione della normativa in tema di usura, dunque, non sarebbe coerente con le finalità di tutela perseguite dalla suddetta legge.
Da un punto di vista logico, poi, tale esclusione porterebbe ad in risultato paradossale, posto che sarebbe più conveniente l’inadempimento della prestazione piuttosto che il suo adempimento, con conseguente induzione del creditore a porre in essere comportamenti fraudolenti.
Anche un’interpretazione storica, infine, porta ad includere gli interessi convenzionali moratori nell’ambito della disciplina sull’usura: sia nel diritto romano, infatti, che nella dottrina giuridica formatasi sul Code Napoleon, gli interessi moratori erano assoggettati alla medesima normativa prevista in materia di interessi corrispettivi, con l’unica differenza che la loro misura era predeterminata dalla legge.
Riconosciuta l’assoggettabilità degli interessi moratori alle norme antiusura, la giurisprudenza ha tuttavia escluso che la nullità della relativa clausola possa incidere sulla natura onerosa del negozio, prevedendo invece che la decorrenza degli interessi debba avvenire al tasso legale.
Diversamente, infatti, si finirebbe per danneggiare eccessivamente il creditore, il quale si troverebbe nella condizione di dover tollerare il ritardo nell’adempimento da parte del debitore.
Ciò presupposto, anche l’identificazione dell’interesse moratorio usurario, analogamente a quanto avviene con riferimento agli interessi corrispettivi, deve avvenire sulla base di un criterio oggettivo, ovvero prescindendo dalle condizioni e dalle qualità personali delle parti.
Quanto alla determinazione del tasso soglia degli interessi usurari, la giurisprudenza ha ritenuto che, in ossequio al principio di simmetria, vi sia la necessità che le utilità prese in considerazione ai fini della verifica del tasso soglia nel singolo contratto (TEG), coincidano con quelle indicate dalla Banca d’Italia come rilevanti ai fini delle rivelazioni trimestrali per operazioni omogenee ex art. 2 l . n. 108/96.
Qualora il decreto ministeriale di riferimento contenga anche l’indicazione del tasso di mora medio applicato dagli operatori economici, sebbene indicato separatamente rispetto al tasso effettivo globale medio (TEGM), è quindi di questo che si deve tenere conto nell’individuazione della soglia limite per gli interessi moratori.
Se, al contrario, il decreto ministeriale di riferimento non rechi nemmeno la suddetta indicazione, allora secondo la giurisprudenza l’unico parametro oggettivo disponibile per la ricostruzione in via interpretativa di un tasso soglia degli interessi moratori è dato dai risultati di un’indagine statistica della Banca d’Italia compiuta nel 2009, la quale rilevò come mediamente il tasso degli interessi moratori convenzionalmente pattuito fosse maggiorato di 2,1 punti percentuali rispetto al tasso medio degli interessi corrispettivi.
Dunque, ai fini del verificarsi dell’usura il tasso di mora dovrà essere raffrontato con un tasso soglia determinato attraverso la maggiorazione del TEGM di 2,1%, aumentato poi del 25% e di ulteriori quattro punti percentuali ex art. 2, comma 4, l. n. 108/96.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.
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