Interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina sulla culpa in vigilando dei docenti
Come, ogni inizio anno scolastico, puntuale si presenta per i genitori, la domanda: posso far tornare da solo mio figlio da scuola?
Questa domanda, non è di poco conto se solo si considera che, negli ultimi tempi l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza è stata molto restrittiva, ampliando oltre misura la responsabilità dei docenti in merito alla culpa in vigilando, configurandone l’esistenza anche dopo il suono della campanella, sino a quando, cioè, non avvenga, la consegna del minore al genitore o a soggetto da lui delegato. Da ultima la sentenza, della Cassazione Civile, Sezione III, n. 21593 del 19 settembre 2017 che ha confermato che l’attività di vigilanza esercitata dalla istituzione scolastica non deve arrestarsi, fino a quando gli alunni dell’istituto non vengano presi in consegna, da altri soggetti e dunque sottoposti ad altra vigilanza.
Il problema riguarda anche i genitori, i quali addirittura, in alcune circostanze, sono stati considerati correi con la Scuola e/o i docenti, di abbandono del minore ex art. 591 c.p.
Accanto alla domanda di cui sopra, arriva puntuale, anche la circolare dell’ istituto scolastico di turno, con cui si chiede espressamente ai genitori di rendersi visibili all’uscita di scuola in modo da collaborare con le insegnanti e consentire alle stesse di consegnare i bambini direttamente al genitore o a chi ne fa le veci (nonni, amiche, tate, babysitter, padri separati o madri separate, previa presentazione agli insegnanti della copia della omologa della separazione consensuale, o copia sentenza separazione giudiziale, in cui si autorizzano i genitori ad alternarsi nell’andare a ritirare la prole da scuola e chi più ne ha ne metta).
Ed ancora più puntuale si apre il dibattito: fino a che punto, più che altro temporale, la responsabilità degli insegnanti o come dice il codice civile, dei precettori, deve estendersi, per vigilare sugli scolari?
Punto di partenza è l’ art. 2048 c.c i precettori e coloro che insegnano un mestiere sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. La vigilanza dei precettori e in generale della istituzione scolastica, inizia nel momento in cui l’allievo entra a scuola e persiste durante l’intero orario scolastico. Ma quando termina? La giurisprudenza è intervenuta, in merito, più volte ed ha affermato che l’obbligo di vigilanza non è un concetto assoluto applicabile in maniera uguale a tutte le fattispecie. La vigilanza sarà ad esempio maggiore se non assoluta sui bimbi di sei anni per poi gradualmente mitigarsi verso le superiori, anche e se l’obbligo persiste comunque sino a quando il ragazzo non compia 18 anni.
La Corte di Cassazione Civile, Sezione I, con sentenza n. 3074 del 30 marzo 1999, pronunciandosi sulla questione, ha circostanziato gli ambiti di responsabilità di cui ci si occupa (sorveglianza degli allievi minorenni), affermando che l‘Istituto d’istruzione ha il dovere di provvedere alla sorveglianza degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui gli sono affidati, e quindi fino al subentro, reale o potenziale, dei genitori o di persone da questi incaricate.
Bene l’insegnante è liberato dall’obbligo di vigilanza nel momento in cui consegna concretamente, cioè realmente, il minore al genitore. No, non è esattamente così, (sempre secondo gli ermellini) il docente potrebbe essere liberato dalla responsabilità derivante dall’obbligo di vigilanza, anche in caso di subentro potenziale. Che parlando in termini chiari è esattamente il contrario del subentro reale.
E quindi? Cosa si intende per subentro potenziale?
Il subentro è potenziale quando ha la possibilità di realizzarsi. Vale a dire quando comportamenti costanti, ripetuti nel tempo creano tra insegnati e genitori quella affidabilità che spinge l’insegnante a credere che il genitore sia fuori tra la folla ad aspettare il proprio figlio, senza effettivamente accertarsi del tutto che ci sia. Bene, avrebbe fatto la Cassazione a spiegarci quali sono i presupposti, in presenza dei quali il subentro può definirsi potenziale.
In questo scenario confuso e poco felice, i dirigenti hanno deciso di seguire, quanto già comunicato alla Presidenza del Senato il 26 marzo 2013 in occasione del D.D.L. 325, e quindi, nell’ipotesi in cui il dirigente scolastico disponga la non uscita dalla scuola degli alunni, senza la presenza di un adulto che prenda in consegna il minore:
il docente accompagnerà fino al cancello (o uscita della scuola) gli alunni. Nel caso non ci siano persone individuate per la consegna del minore, tratterrà il minore;
il docente (che ha terminato il proprio orario di servizio), a questo punto, consegnerà alla scuola (tramite il collaboratore scolastico in servizio) l’alunno;
la scuola (dirigente scolastico, vicario, collaboratore del dirigente scolastico o altri delegati) dovrà rintracciare i genitori e invitarli a ritirare il figlio;
se il genitore non è rintracciabile, la scuola dovrà avvisare i vigili urbani (o i carabinieri) per rintracciare i genitori; nel caso in cui sia impossibile contattare i genitori, la scuola consegnerà l’alunno agli stessi vigili perché venga trasportato presso la casa dei genitori o parenti delegati dai genitori.
Un modo per evitare tutto questo, è dato, ad avviso di chi scrive, da un’ interpretazione sistematica della normativa di riferimento che tenga conto dei principi cardine del nostro ordinamento e che imponga il rispetto della gerarchia delle fonti, nelle norme e nei relativi principi.
Da qui, la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata, della normativa in tema di responsabilità dei precettori ed anche della norma sull’abbandono del minore. Perché, concentrare l’attenzione sul dovere degli insegnanti e non sul diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli secondo quanto disposto dall’ art. 30 della Costituzione? Cosa significa educare i figli? L’educazione prioritariamente spetta ai genitori non all’istituzione scolastica, che deve istruirli. Educare significa anche consentire ai propri figli di poter autodeterminarsi, di poter acquisire una autonomia tale da poter percorrere la strada di casa, da soli. Può un genitore decidere e comprendere se il proprio figlio sia in grado di percorrere la strada che lo porta a casa? Eventualmente monitorandolo con il telefonino? La risposta è affermativa. Perché con questi interventi giurisprudenziali, ma soprattutto con le interpretazione restrittive delle norme, si sta impedendo di fatto ai genitori di esercitare il diritto costituzionalmente garantito di educare i propri figli.
Kelsen, con la sua teoria sulla gerarchia delle fonti, ci fornisce una chiave di lettura che se applicata, con attenzione e con le relative eccezioni, potrebbe risolvere il problema ed addirittura riempire quel vuoto normativo di cui in tanti parlano. I principi dei quali la nostra Carta dei diritti è portatrice non possono essere disattesi. La norma del codice civile non può essere interpretata in maniera restrittiva, andando a porre l’accento sulla responsabilità dei precettori ma deve essere costituzionalmente orientata ad una interpretazione che invece riconosca la priorità al diritto dei genitori ad educare i propri figli.
Le liberatorie, con cui i genitori esonerano gli insegnanti da ogni responsabilità, autorizzandoli a lasciare andare i minori da soli, non hanno alcun valore giuridico ma ad avviso di chi scrive oltre ad essere senza alcun valore giuridico tali liberatorie sono inutili, perché il genitore non deve manlevare nessuno, ma deve semplicemente comunicare all’insegnante che il proprio figlio è sufficientemente autonomo per tornare a casa da solo. In quella comunicazione il genitore esercita liberamene il suo diritto ad educare il proprio figlio, a renderlo autonomo e ad evitare che si trasformi in automa. L’irrigidimento interpretativo della norma sta creando non pochi problemi nel mondo scolastico, tanto che è di questi giorni una iniziativa da parte dei dirigenti scolastici della Regione Puglia di intervento legislativo, in materia di vigilanza sugli studenti durante l’uscita da scuola, con cui si chiede in effetti di apportare modifiche al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, di cui al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, in materia di vigilanza sugli studenti durante l’ uscita da scuola.
Intanto la campanella continua a suonare.
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Maria Antonietta D'Ambrosio
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