Introduzione al diritto alla salute
Il termine salute, dal latino salus -ūtis (‘salvezza, salute’), indica lo stato di benessere fisico e mentale di un organismo. Più esattamente, in un primo momento la salute venne identificata, in negativo, nell’assenza di malattia. Ma successivamente, con la risonanza del modello biopsicosociale1, inizia a prendere forma una particolare definizione, riconosciuta poi a livello internazionale dalla Costituzione2 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), approvata nel 1946, secondo il cui Preambolo: “la sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità”. Questo segna un momento fondamentale perché viene determinata una definizione in positivo e la salute diventa “uno stato di” e non semplicemente “un’assenza di”. Conseguentemente, essere in salute non significa più non avere malattie, ma “stare bene”. Questo riconoscimento cosmopolita emerge anche nel diritto internazionale dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948, secondo cui “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà” (art. 25) e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, che riconosce nell’art. 12 “il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire” . Ma il momento più importante si ha con la medesima Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nella parte in cui afferma che: “Il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano, senza distinzione di razza, di religione, d’opinioni politiche, di condizione economica o sociale” poiché con esso il diritto alla salute viene riconosciuto per la prima volta come diritto fondamentale dell’individuo, in perfetta armonia con il brocardo latino “Salus populi suprema lex esto3”. Si parla di diritto fondamentale in quanto esso rappresenta il perno attorno al quale ruotano una serie di diritti afferenti alle condizioni di vita materiale, volti ad assicurare uno stato di benessere dell’individuo. In tal modo il diritto alla salute acquista valenza di “diritto sociale” essendo diretto a garantire lo sviluppo dell’umano nei diversi luoghi della sua formazione. Questa concezione è risalente ai vecchi fasti: Salus, dea della salute venerata dagli antichi Romani, aveva una connessione diretta con il benessere e la felicità dello stato, sicché il suo culto assumeva un significato sociale. Appare così congrua la scelta del legislatore costituente italiano di assegnare una rilevanza preminente al diritto alla salute rispetto agli altri diritti nodali dell’uomo, riservando solo ad esso l’appellativo di diritto “fondamentale”. Difatti la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana nell’art. 32, comma 1 dispone che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” tanto da garantire cure gratuite agli indigenti, in quanto dovere costituzionale dello Stato a favore della comunità. Questo tipo di regolamentazione non deve essere sottovalutata se si pensa ad esempio che all’interno della Legge Fondamentale della Repubblica Federale Tedesca, costituzione della Repubblica Federale di Germania, il bene della salute viene menzionato solamente come ambito di competenza della legislazione concorrente, nell’art. 74, o in relazione all’eventuale istituzione dello “stato di difesa ”nell’art. 12 a4.
Il profilo della salute come interesse collettivo è ben visibile nella Carta Costituzionale Italiana anche in altre disposizioni in cui menziona, ad esempio, la salute come limite alla libertà di circolazione e soggiorno (“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” Art. 16) sicché dinanzi a motivi di salute, altri diritti costituzionali possono essere limitati5.
Tale impostazione emerge anche dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, che configura, ad esempio, la salute come limite alla libertà personale (art. 5 lettera e) e alle libertà di riunione e di associazione (art. 11, comma 2). Od ancora dalla Charte Africaine des Droits de l’Homme et des Peuples6 che nell’art. 11 riconosce il diritto, di ogni individuo, di riunirsi liberamente con gli altri, salvo restrizioni previste da leggi e regolamenti rese necessarie da interessi di sicurezza nazionale, tra cui vi è la salute. E la stessa regolamentazione viene prevista, dalla suddetta, anche per il diritto di circolare liberamente e per il diritto di scegliere la propria residenza all’interno di uno Stato.
Dalla Costituzione Italiana, questo connotato viene recepito non molto tempo dopo a livello normativo dalla Legge 833/1978, di Istituzione del Servizio Sanitario nazionale, secondo il quale, ai sensi dell’art. 1, “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale”.
Il nucleo centrare su cui si fonda tutto il nostro Sistema Sanitario nazionale è la centralità della persona che si estrinseca in una serie di diritti dei singoli cittadini (come il diritto di informato sulla malattia, di opporsi o di dare il consenso rispetto a una determinata terapia da sottoporgli, di riservatezza, ecc.) e di doveri per tutti gli operatori sanitari (tra i quali spicca quello di anteporre, in tutte le scelte, la tutela della salute dei cittadini). I caratteri di questo sistema, che permettono di realizzare il godimento del diritto in esame, sono la disponibilità, il personale medico qualificato, l’appropriatezza dei farmaci e delle attrezzature sanitarie ritenute tali dai costanti sviluppi scientifici della ricerca, ma sopratutto l’accessibilità economica. Di fatto, poiché la dignità umana è l’unico vero protagonista dell’intera materia, tutti hanno diritto di accesso ai servizi, indipendentemente dal reddito. Cosa che, ad esempio, non accade negli USA dove vi è il pagamento diretto delle prestazioni e solo un successivo ed eventuale rimborso dell’assicurazione. Anche se, da notare bene è che in Italia il diritto a usufruire trattamenti sanitari non si traduce direttamente nel diritto ad ottenere cure gratuite, poiché in alcuni casi queste vengono erogate gratuitamente, in altri casi invece è richiesto un contributo economico7.
Il diritto alla salute è incluso in vari documenti normativi, anche internazionali, eppure la sua indeterminatezza in senso concreto ne renderebbe complessa l’attuazione. Ma nonostante tale genericità, per garantire l’effettivo funzionamento del Sistema Sanitario vengono adottati vari provvedimenti. A titolo esemplificativo possiamo richiamare il nuovo Piano nazionale per la gestione delle liste di attesa 2019-2021, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, il quale detta disposizioni che incidono concretamente sulle liste di attesa statuendo ad esempio i tempi massimi di attesa per prestazioni ambulatoriali8 e le Classi di priorità per i ricoveri programmati9. Tali tempi massimi di attesa devono essere obbligatoriamente rispettati, altrimenti i direttori generali ne risponderanno in prima persona, dal momento che la loro un’attività è strettamente legata a fattori imprescindibili, come la dignità umana.
Tuttavia, occorre sottolineare che in linea principale la garanzia del diritto alla salute è di pertinenza dello Stato il quale, ai sensi dell’art. 3 Cost. ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo modello trova conferma anche a livello sovranazionale con la Carta Sociale Europea del 1961 secondo il cui art.11 per assicurare l’effettivo esercizio del diritto alla salute, le Parti si impegnano ad adottare, sia direttamente che in cooperazione con le organizzazioni pubbliche e private, adeguate misure. Ogni Stato ha dunque l’obbligo di rendere tale diritto esecutivo tramite l’adozione di azioni di varia natura (come l’attività legislativa). Un impegno degli Stati in questo senso emerge anche la Convenzione Internazionale sui Diritti per l’Infanzia del 1989, ratificata dall’Italia con la Legge n.176/1991, che impegna gli Stati, nell’art. 3, a garantire al fanciullo la tutela necessaria al suo benessere ed a vigilare “affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell’ambito della sicurezza e della salute”.
Per poter realizzare tutto ciò, ogni Paese deve impiegare nel merito un certo numero di risorse. E sulla scorta di questa necessità, l’OMS e il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali hanno affermato a più riprese che i problemi economici di una nazione non giustificano la violazione del diritto alla salute, visto che un certo numero minimo di risorse devono obbligatoriamente essere devolute alla sanità, cosicché l’obbligo di assicurare la fruizione del diritto alla salute sia svincolato dal versante economico di uno Stato. Ciò viene ripreso dalla Corte Costituzionale che nella sentenza n. 62/2020 afferma che “l’effettività del diritto alla salute è assicurata dal finanziamento… di guisa che il finanziamento stesso costituisce condizione necessaria ma non sufficiente del corretto adempimento del precetto costituzionale”. Successivamente essa continua precisando che su questa stessa linea deve essere letta la sua precedente statuizione secondo cui “una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto [fondamentale] non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali […]. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” (sentenza n. 275/2016). Perciò, in quanto trattasi di spese costituzionalmente necessarie, la Corte afferma che “mentre di regola la garanzia delle prestazioni sociali deve fare i conti con la disponibilità delle risorse pubbliche, dimensionando il livello della prestazione attraverso una ponderazione in termini di sostenibilità economica, tale ponderazione non può riguardare la dimensione finanziaria e attuativa dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza10), la cui necessaria compatibilità con le risorse è già fissata attraverso la loro determinazione in sede normativa”. Cosicché nell’allocazione delle risorse è obbligatorio tenere conto della priorità che ha questa spesa pubblica.
Al fine di garantire l’attuazione del diritto a livello più vicino possibile ai cittadini, l’ordinamento giuridico italiano stabilisce, con l’art. 14 del Decreto Legislativo 229/1999, sulla base del principio di sussidiarietà, che le Regioni, che gestiscono in autonomia la sanità nell’ambito territoriale di loro competenza, utilizzino “indicatori di qualità per una verifica dello stato di attuazione dei diritti dei cittadini nella sanità”. Esse a tal fine promuovono dialoghi con i cittadini, con i sindacati e con gli organismi di volontariato e di tutela dei diritti. Questo perché di fatto, il testo costituzionale obbliga, oltre lo Stato, anche tutte le pubbliche istituzioni a promuovere tutte le possibili misure ed iniziative idonee a garantire la cura del bene supremo della salute.
In questa prospettiva, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 62/2020 individua il contenuto del principio di leale cooperazione che vi deve essere tra lo Stato e le Regioni in relazione alla garanzia dei LEA in quanto “spetta al legislatore predisporre gli strumenti idonei alla realizzazione ed attuazione di essa, affinché la sua affermazione non si traduca in una mera previsione programmatica, ma venga riempita di contenuto concreto e reale impegnando le Regioni a collaborare”. E’ importante che lo Stato, le Regioni e i Comuni collaborino tra di loro, per assicurare condizioni e garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale.
La ratio di queste previsioni risiede nel tentativo di coniugare la domanda crescente del massimo benessere possibile, propria delle moderne democrazie occidentali11, con le limitate risorse disponibili. Ciò sviluppa un nuovo modo di pensare l’assistenza sanitaria: non si tratta più solo di erogare servizi sanitari strettamente intesi, ma anche di realizzare una cura del bene salute tramite il coinvolgimento di responsabilità ai diversi livelli. Così, a titolo esemplificativo, ai sensi dell’art. 2087 del codice civile il datore di lavoro, nell’esercizio dell’attività di impresa, deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità dei prestatori di lavoro. Ed ancora la scuola deve educare tutti i suoi membri alla creazione delle condizioni favorevoli per il loro benessere psico-fisico, prevenendo possibili eventi nocivi (ad esempio gli ambienti scolastici hanno l’obbligo di osservanza delle misure igienico-sanitarie necessarie, richieste dalla legge) e proponendo azioni utili a conoscere le corrette modalità per far fronte ai propri bisogni di salute.
La garanzia del diritto alla salute si estrinseca anche nel divieto di interferire nel godimento: ad esempio viene affermato il diritto dell’individuo a non essere curati, sul quale nessuno può imporsi salvo particolari casi previsti dalla legge12. Questo in quanto, ai sensi dell’art. 32 della Costituzione “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. A sostegno di ciò, a livello legislativo interviene l’art. 1 della Legge n. 219 del 22 dicembre 2017 secondo cui, ai sensi del comma 5, ogni soggetto capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, ogni tipo di accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia. Inoltre, vi è anche il diritto di revocare, in qualsiasi momento, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. In tali casi, prosegue il comma successivo, il medico ha l’obbligo di rispettare la volontà e il rifiuto espressi dal paziente, in conseguenza dei quali è esente da responsabilità civile o penale.
Se il paziente rinuncia o rifiuta i trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, secondo la suddetta legge, il medico espone ad esso, e eventualmente ai suoi familiari13, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative, ferma restando la possibilità per il paziente di cambiare decisione.
Il paziente non può comunque pretendere trattamenti sanitari contrari alla legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Difatti dinanzi a tali richieste, il medico non ha alcun obbligo professionale.
Il diritto alla salute viene tutelato, come diritto soggettivo azionabile erga omnes, sia nei riguardi dei pubblici poteri sia dei privati, in virtù dell’interesse di tutti i titolari14 all’astensione da qualsiasi condotta che possa mettere a repentaglio la loro integrità fisica e psichica.
In un primo momento, il danno alla salute non poteva essere risarcito a meno che non fosse produttivo di danni patrimoniali: infatti ai sensi dell’art. 2043 del codice civile era ammesso solo il risarcimento del danno patrimoniale. Tuttavia in opposizione a ciò la Corte Costituzionale nel 1979, con sentenza n. 88, ha statuito che la lesione del diritto alla salute comporta l’obbligo alla riparazione anche delle conseguenze a contenuto non patrimoniale corrispondenti alla menomazione dell’integrità in se considerata di un soggetto. Ma occorre, al fine di far valere in giudizio il proprio diritto “che la persona provi i fatti che ne costituiscono il fondamento”15.
Dunque viene quindi riconosciuta la risarcibilità del danno, indipendentemente dalla eventuale presenza di conseguenze patrimoniali da esso causate. Si tratta del cosiddetto danno biologico relativo alla “lesione, temporanea o permanente, dell’integrità fisica o psichica della persona” suscettibile di accertamento medico-legale.
La Corte Costituzionale ha affermato che il danno biologico, in sé considerato, “sussiste a prescindere dalla eventuale perdita o riduzione di reddito” e “va riferito alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità”.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 233/2003, ha condiviso l’interpretazione che comprende nella previsione ex art. 2059 del codice civile ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, incluso il danno biologico. La stesa Corte Suprema in seguito ha ribadito che la natura non patrimoniale di tale danno è da ritenersi risarcibile ai sensi dell’art. 2059 del codice civile e non del 2043. La liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con metodo equitativo, anche attraverso l’applicazione di criteri standardizzati e non sono configurabili limiti alla risarcibilità del danno biologico per sé considerato. Per “chiunque procuri volontariamente una lesione personale dalla quale si verifica una malattia del corpo o della mente” viene prevista la pena della reclusione dall’art. 582 del Codice Penale. Queste lesioni “possono essere gravi o gravissime. L’intensità influisce sulla pena aumentando gli anni di reclusione”16.
In virtù della distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, il diritto alla salute si configura come danno-evento poiché “il danno biologico costituisce l’evento del fatto lesivo della salute, mentre il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del danno-conseguenza in senso stretto”. Tuttavia, in virtù della supremazia che viene affidato a questo bene, occorre preferire misure che ne realizzino una tutela preventiva, più che successiva con sanzioni o pene.
La salvaguardia della salute richiede così che vi sia un’azione coordinata fra vari organi che compongono un ordinamento come il Governo centrale, il settore sanitario, le autorità amministrative regionali e locali, le attività private e le organizzazioni di volontariato, realizzando una mediazione tra le diverse dimensioni della società.
1Modello secondo cui ogni condizione, di salute o di malattia, è “la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali” (G. L. ENGELS, 1977, 1980; G. E. SCHWARTZ, 1982).
2 L’unico atto legislativo che definisce cosa significhi il termine salute.
3“Che il bene del popolo sia la legge suprema” (M. T. CICERONE, De legibus, IV)
4 Come esplicitamente emerge dalla traduzione della suddetta Legge rinvenibile nel sito web https://web.archive.org/web/20151221215405/http://ospitiweb.indire.it/costituzione/estero/germania.htm
5 Infatti, l’attuale l’emergenza sanitaria Covid-19 ha fatto in modo che, in virtù della supremazia del bene salute, particolarmente a rischio in questo peculiare periodo storico, venissero esercitate importanti limitazioni, se non soppressioni, su diritti costituzionalmente rilevanti. Questo in quanto il diritto ex art. 32 Cost. è un diritto fondamentale.
6Si tratta della Convenzione internazionale adottata dai paesi africani all’interno della Conferenza dell’Organizzazione per l’Unità Africana.
7 Questa differenziazione si basa su svariati fattori, tra cui l’irrinunciabilità delle cure per la salvezza di una vita umana.
8 -U (urgente): vanno eseguiti nel minor tempo possibile e comunque entro, e non oltre, le 72 ore; -B (breve): da compiere entro 10 giorni; -D (differibile): da eseguire entro 30 giorni per le visite o 60 giorni per analisi e accertamenti diagnostici; -P (programmata): da realizzare entro 120 giorni.
9-classe A (per i casi gravi) ricovero entro 30 giorni: per i casi clinici con alta percentuale di rischio di aggravamento o di grave pregiudizio alla prognosi; -classe B (casi clinici complessi) entro 60 giorni: per i casi clinici accompagnati da stati di intenso dolore, o gravi disfunzioni, o grave disabilità, ma che non manifestano la tendenza ad aggravarsi rapidamente al punto di diventare emergenti né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi; -classe C (casi meno complessi) entro 180 giorni: per i casi clinici che presentano minimo dolore, disfunzione o disabilità, e non manifestano tendenza ad aggravarsi né possono per l’attesa ricevere grave pregiudizio alla prognosi; -classe D (casi non gravi) entro 12 mesi per i casi clinici che non causano alcun dolore, disfunzione o disabilità.
10 Si tratta delle prestazioni e dei servizi che il Servizio sanitario nazionale deve fornire obbligatoriamente a tutti i cittadini.
11 Nei secoli precedenti, spesso ammalarsi voleva dire morire dopo pochi giorni: le malattie, sopratutto quelle infettive, erano quotidiane ma non c’era un sistema sanitario ideo a supportare tutto questo, soprattutto perché non erano ancora stati fatti tutti i progressi che oggi ci sono.
12 Come accade per le vaccinazioni obbligatorie, identificate come tali in quanto necessarie a prevenire malattie infettive, e quindi in quanto dannose per l’intera comunità.
13 Solo se il paziente presta consenso.
14 La Carta Costituzionale riconosce il diritto alla salute, indistintamente, a tutti gli individui che si trovano, anche solo temporaneamente, sul territorio della Repubblica Italiana, sia che si tratti di cittadini e sia che si tratti di stranieri grazie al Servizio Sanitario nazionale. Infatti sono garantiti a tutti i Livelli essenziali di assistenza (LEA).
15 Art. 2697 Codice Civile.
16 Art. 583 Codice Penale.
Marta Fioretti
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