La brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche
Sommario: 1. Introduzione – 2. Quadro normativo internazionale tutela della brevettuale delle invenzioni biotecnologiche: l’accordo TRIPs, la Convenzione sulla Diversità Biologica e la Convenzione Europea dei Brevetti (EPC) – 3. La Direttiva 98/44/CE – 3.1. Il divieto di brevettabilità del corpo umano, in particolare il divieto di utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali – 4. La nozione di « embrione umano » nella giurisprudenza della Corte di Giustizia – 4.1. Il caso Brustle c. Greenpeace – 4.2 Il limite dell’ordine pubblico nella Sentenza Bruestle c. Greenpeace – 4.3 L’evoluzione della sentenza International Stem Cell – 5. Gli Organismi Geneticamente Modificati – 6. Conclusioni
1. Introduzione
Su questo pianeta oggi siamo quasi otto miliardi di persone e si prevede che fra trent’anni saremo oltre nove miliardi; se le risorse del nostro pianeta resteranno le stesse e scarseggiano già ora, lo saranno certamente di più quando la popolazione mondiale aumenterà. Dunque, oggi, e da un po’ di anni, si pone il problema a livello globale di un migliore sfruttamento di queste risorse che si raggiunge attraverso un continuo sviluppo.
Lo sviluppo è un termine che oggi si accompagna spesso con l’aggettivo “sostenibile”, ossia compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e dei beni per le generazioni future. Lo sviluppo e, a maggior ragione, lo “sviluppo sostenibile”, consiste in un lungo processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse sia coerente con i bisogni futuri oltre che con quelli attuali.
Lo sviluppo, inteso in questi termini, non può che corrispondere alla ricerca, spesso avviata e condotta da imprese private, più o meno grandi, disposte a fare investimenti che impongono costi enormi a fronte di una prospettiva di guadagno. È indubbio che la fonte di guadagno per chi fa ricerca, è la produzione e la vendita dei prodotti inventati, ma anche l’applicazione dei procedimenti inventati. Il guadagno si realizza con lo sfruttamento diretto da parte dell’inventore, il quale ha un diritto esclusivo allo sfruttamento dell’invenzione, oppure facendo sfruttare ad altri – tramite licenza – la sua invenzione dietro un compenso, garantito dalla tutela brevettuale.
Lo strumento brevettuale è indispensabile in quanto, da un lato, stimola la ricerca e lo sviluppo tecnologico, e, dall’altro, è un modo di arricchimento che fa sì che le somme ad essa necessarie continuino ad essere investite per la ricerca stessa. Il sistema brevettuale, soddisfando interessi pubblici, tende anche a soddisfare interessi privati degli inventori resi possibili in qualche modo con il pagamento di somme di denaro ai titolari dei brevetti, realizzando così una forte interazione tra interessi privati e interessi pubblici.
Se a ciò aggiungiamo, però, che la brevettazione rappresenta costi aggiuntivi non trascurabili per la società comprendiamo la polemica che, soprattutto negli ultimi anni, porta a considerare questo istituto come un nemico, soprattutto quando si ha a che fare con invenzioni particolarmente sensibili.
La tutela brevettuale comprende moltissimi settori della ricerca, da quella farmaceutica e terapeutica, a quella alimentare, a quella informatica. In questa trattazione, per esigenze di brevità, ci limiteremo a offrire spunti di riflessione circa la protezione delle invenzioni biotecnologiche alla luce della normativa europea e internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
2. Quadro normativo internazionale tutela della brevettuale delle invenzioni biotecnologiche: l’accordo TRIPs, la Convenzione sulla Diversità Biologica e la Convenzione Europea dei Brevetti (EPC)
La tutela dell’innovazione, in tutti i campi della tecnologia, per quanto possa toccare momenti centrali della vita dei cittadini, non può essere ancorata esclusivamente ai singoli diritti nazionali, in quanto deve fare i conti con molti problemi relativi, in primis , alla tutela dei diritti fondamentali, ma anche alla circolazione dei beni e alla concorrenza; in ragione di ciò, gli Stati nazionali hanno favorito la stratificazione tra fonti di diverso livello, dalle Convenzioni internazionali a quelle europee che disciplinano la materia.
A conferma di quanto appena affermato, la Convenzione sulla Diversità Biologica, a tutela della biodiversità e dell’utilizzazione durevole dei suoi elementi, l’accordo TRIPs, e la Convenzione europea dei brevetti (EPC) per quanto riguarda l’ambito più circoscritto dei brevetti, possono essere elementi emblematici del superamento delle fonti statuali a vantaggio di quelle internazionali, nel settore dell’innovazione tecnologica e della proprietà intellettuale.
La EPC è un trattato internazionale che istituisce l’organizzazione dei brevetti europei e ha il compito strutturale di concedere brevetti, compito che è assolto dai suoi due organi che sono l’ufficio europeo dei e il Consiglio d’amministrazione. Scopo di tale Organizzazione è, innanzitutto, quello di velocizzare i tempi per la concessione aderenti di un brevetto che dunque sarà richiesto una sola volta con validità in tutti i 39 Stati all’Organizzazione stessa e, di conseguenza, ha anche lo scopo di ridurre i costi per la procedura di concessione del brevetto.
L’accordo TRIPs, per ciò che interessa in questa trattazione con riguardo all’ambito dei brevetti, prevede che“possono oggetto di brevetto le invenzioni, di prodotto o procedimento, in tutti i campi della tecnologia, che siano nuove, implicano un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale”.
Rispetto all’oggetto del brevetto, anche la Convenzione europea dei brevetti prevede che un’invenzione abbia requisiti di novità, attività inventiva e applicabilità.
Inoltre, sia a livello di Accordi internazionali, sia di Convenzioni internazionali, si distingue tra ritrovati che non sono considerazioni invenzioni.
In tema di eccezioni, all’art. 27 par. 1 dell’ TRIPs si prevede la facoltà per gli Stati Membri di accettare dalla brevettabilità“le inzioni il cui sfruttamento può essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, nonché per proteggere la vita o la salute dell’uomo degli animali e dei vegetali o per evitare gravi danni ambientali”. All’art. 52 par. 2 della EPC si enunciano le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici in quanto tali, e ritrovati che, pur essendo astrattamente ascrivibili al novero delle invenzioni di cui all’art. 52 par. 1 della Convenzione in esame, sono esclusi dalla brevettabilità per diverse ragioni. Così, sono escluse, in ordine pubblico, “le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all’ordine o al buon costume” ,“le varietà vegetali o le razze animali, come pure i procedimenti biologici per l’ottenimento” delle e per ultimo i metodi chirurgici, terapeutici o di diagnosi “applicati al corpo umano o animale” . Difficile è, poi, capire quando in concreto si tratta di invenzioni non brevettabili, perché è labile il confine tra ciò che è ordine pubblico e buon costume e ciò che tale non è, o ancora quali possono considerarsi procedimenti biologici.
3. La Direttiva 98/44/CE
Gli stessi problemi a cui si accennava poc’anzi, hanno costituito un punto di disciplina importante anche per il legislatore dell’Unione che il 6 luglio 1998 ha adottato la Direttiva n. 98/44/CE dedicato alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche.
Prima di esaminare come si è cercato di risolvere questi problemi dal punto di vista della giurisprudenza e della legislazione europea, è opportuno fare un breve cenno alle invenzioni biotecnologiche. Esse consistono in tecniche di elaborazione di organismi viventi, o loro parti, di origine vegetale, o animale umano, per realizzare o migliorare dei prodotti, per migliorare o modificare le caratteristiche di piante o animali.
La Direttiva, come si legge nello stesso preambolo, prende le mosse dagli sviluppi e dall’importanza dell’evoluzione biotecnologica, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, in quanto costituisce un valido sostegno sia nella lotta contro le grandi endemie o contro la fame , sia nel settore della sanità e infatti descrivere i decisivi progressi che l’evoluzione ha già realizzato nella cura delle malattie. Da questo punto di vista essa ha lo scopo di incoraggiare la ricerca in questi settori.
La Direttiva in esame, che trova il proprio fondamento nel principio di armonizzazione espresso all’art. 100 A del Trattato sull’Unione Europea, per tale motivo agli Stati Membri solo di adeguare alla stessa il loro diritto nazionale “per tenere conto delle disposizioni” contenutevi, al fine di rimuovere gli ostacoli al funzionamento del mercato interno che possono derivare, appunto, da divergenze tra le legislazioni e le pratiche degli Stati Membri.
Sempre nel preambolo, si dice che se è compito delle legislazioni nazionali, ma anche internazionali ed europee, fissare eventuali limiti o divieti alla brevettabilità, con particolare riguardo a esigenze di sanità pubblica, sicurezza, tutela dell’ambiente, protezione degli animali e conservazione della diversità genetica, e nonostante sia presente nella Direttiva un elenco di invenzioni escluse dalla brevettabilità, si afferma che tale elenco non può essere considerato esaustivo. Infatti, per garantire il rispetto della dignità umana, la cui inviolabilità è sancita, peraltro, nell’art. 1 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dalla brevettabilità si devono escludere inequivocabilmente tutti i procedimenti che vi possono recare pregiudizio.
I considerando 16 e 38 della Direttiva fanno riferimento alla dignità umana, anche se il successivo articolo 6 par. 1 della Direttiva medesima, in punto di esclusioni dalla brevettabilità, menziona solo i criteri dell’ordine e del buon costume; si può affermare, dunque, che la norma va letta alla luce dei considerando 16 e 38, e che saranno esclusi dalla brevettabilità i procedimenti contrari all’ordine pubblico, al buon costume e alla dignità umana.
La Direttiva stabilisce i requisiti che le invenzioni biotecnologiche devono soddisfare per essere brevettabili, ossia requisiti di novità, attività inventiva e applicabilità industriale.
Stabilisce anche vincoli, restrizioni e divieti, cioè definisce cosa non è brevettabile, in relazione ad altre disposizioni, convenzioni, dichiarazioni di principio sui diritti fondamentali, all’ordine pubblico e al buon costume.
All’art. 5 par. 2 la Direttiva afferma che “un elemento isolato del corpo umano o diversamente prodotto mediante procedimento tecnico […] può essere invenzione brevettabile”, anche se presenta struttura identica a quella di un elemento naturale, ma in questo caso sempre nel rispetto dei diritti fondamentali della persona umana, tanto che la Direttiva anticipa, al considerando 26, che al soggetto da cui è stato prelevato il materiale deve essere garantita la possibilità di esercitare il proprio consenso libero e informato a tale prelievo in base al diritto nazionale”.
Sembra che la regola enunciata in questa norma non sia diversa da quella generale espressa all’art. 3 il quale stabilisce che può costituire invenzione brevettabile ogni materiale biologico “che viene isolato dal ambiente naturale o viene prodotto tramite un procedimento tecnico” e si giustifica con l’enorme importanza che le invenzioni relative alla genetica umana rivestono per la cura di numerose malattie.
Differenze sostanziali di trattamento si riscontrano invece nella disposizione dell’art. 6 par. 2 della Direttiva, riguardante alcuni casi specifici di invenzioni considerate contrarie all’ordine pubblico e al buon costume e perciò espressamente escluse dalla brevettabilità limitando, in tal modo, la discrezionalità concessa dall’art. 6 par. 1 al giudice nell’interpretazione del suddetto criterio. Tre dei quattro casi menzionati riguardano infatti l’uomo: è cioè vietata la brevettabilità del corpo umano “nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo” e “i procedimenti di clonazione di esseri umani, o procedimenti di germinale dell’essere umano, le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali ”.
Queste affermazioni trovano fondamento, in particolare, nell’art. 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che, sancendo il diritto all’integrità fisica e psichica dell’individuo, vieta le pratiche eugenetiche e la clonazione riproduttiva degli esseri umani, prevedendo comunque che, nell’ambito della medicina e della biologia, si deve garantire il consenso libero e informato della persona interessata.
È evidente che la Direttiva recepisce in toto i limiti già sanciti dalla EPC perché oltre ai casi menzionare prima, esclude anche dalla brevettabilità, “ le varietà vegetali, le razze animali e i procedimenti biologici di produzione di vegetali e animali”.
3.1 Il divieto di brevettabilità del corpo umano, in particolare il divieto di utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali
Il divieto di cui all’art. 6 par. 2 c), sopra menzionato, appare particolarmente significativo ai fini della presente trattazione, in quanto ha formato oggetto di pronuncia pregiudiziale rivolta alla Corte di Giustizia tanto nel caso Brüstle contro Greenpeace , che nel caso International Stem Cell Corporation, che saranno di seguito esaminati.
4. La nozione di « embrione umano » nella giurisprudenza della Corte di Giustizia
4.1. Il caso Brustle c. Greenpeace
Il 18 ottobre 2011 la Corte di Giustizia si è pronunciata in tema di brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche che utilizzano cellule staminali umane di origine embrionale.
La Corte era stata stata chiamata a pronunciarsi su una domanda pregiudiziale dal Bundesgerichtshof tedesco pendente tra il sig. Brüs, detentore del brevetto tedesco riguardante i procedimenti per la produzione di cellule progenitrici neurali, a partire da cellule staminali embrionali, e la loro utilizzazione a fini terapeutici, e Greenpeace, che aveva avviato un procedimento di annullamento di tale brevetto. Su domanda di Greenpeace, il Bunespatentgericht (Tribunale federale dei brevetti) aveva accertato la nullità del brevetto in questione, decisione contro la quale il sig. Brüstle aveva proposto appello al Bundesgerichtshof. Quest’ultimo, per decidere il procedimento doveva interpretare l’art. 6 par. 2 lett. c) della Direttiva 98/44/CE, ragion per cui ha sottoposto alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali.
La sentenza è interessante sotto vari profili: innanzitutto, la Corte accoglie un’interpretazione molto ampia del termine embrionale, comprendendo non solo l’ovulo umano fecondato ma anche le cellule uovo non fecondate, nelle quali è introdotto il nucleo di una cellula umana matura, o in cui è stato stimolato un processo di divisione per partenogenesi. Ciò in considerazione del fatto che, a detta della Corte, non solo le cellule fecondate danno avvio al processo di sviluppo di un essere umano, ma tale capacità è riconosciuta anche alle cellule non fecondate in quanto sono necessari suscettibili di portare alla formazione di un individuo.
La Corte, poi, afferma che non si possono fare brevetti a fini commerciali e industriali su invenzioni biotecnologiche che comportino distruzioni di embrioni umani, ma non che non si possono usare (e quindi anche commercialmente distruggere) embrioni umani esistenti a fini terapeutici e diagnostici.
La Corte argomenta tale interpretazione alla luce del considerando 14 della Direttiva che, nell’enunciare che il brevetto di invenzione conferisce al suo titolare il «diritto di vietare ai terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali», indica che i diritti derivanti da un brevetto, in linea di principio, sono relativi ad atti di natura industriale e commerciale.
Esclude dalla brevettabilità anche l’utilizzazione dell’embrione umano a fini di ricerca scientifica, sulla base considerando 42 della Direttiva, secondo cui l’esclusione dalla brevettabilità «non riguarda (…) le invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche che si applicano e che sono utili all’embrione umano» perché l’utilizzazione, oggetto di una domanda di brevetto, di embrioni umani a fini di ricerca scientifica non può essere distinta da uno sfruttamento industriale e commerciale e, quindi, sottrarsi all’esclusione dalla brevettabilità.
Sulla base di ciò, la Corte ritiene che non sia escluso il ricorso a cellule staminali embrionali per la ricerca volta a curare gravi malattie e limitatamente a ciò, astrattamente, sembra un’ottima decisione. Nel concreto, però, è molto difficile distinguere una ricerca a finalità scientifica (per la quale il brevetto è escluso), da una ricerca a finalità terapeutica o diagnostica (per la quale il brevetto è ammesso); del resto, quasi tutte le ricerche scientifiche hanno proprio una finalità terapeutica e diagnostica [1].
La sentenza presenta molti altri aspetti problematici.
In primo luogo, molti hanno criticato la scelta di uniformare a livello europeo l’interpretazione del concetto di embrione se si considera il fatto che su questo non esiste consenso tra gli Stati membri [2]. Altri hanno criticato la scelta della Corte di una concezione ampia di embrione argomentando sulla base dell’art. 6 par. 2 lett. c) della Direttiva 98/44/CE, che essendo una norma restrittiva della brevettabilità sarebbe stato più opportuno attenersi ad una concezione specularmente restrittiva [3].
Imponendo una nozione eccessivamente ampia di embrione umano, la presente sentenza della Corte di Giustizia si pone in netto contrasto con una precedente sentenza della Corte di Strasburgo [4] in cui la Corte EDU, constatando l’assenza di consenso sulla definizione scientifica e legale di embrione umano, ritiene che su questa materia è opportuno riconoscere agli Stati dei margini di autonomia legislativa (cd margine di apprezzamento/discrezionalità nazionale).
Inoltre, la sentenza ha qualificato come embrioni, e quindi come capaci di dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano, le cellule staminali pluripotenti, che costituiscono proprio oggetto del brevetto richiesto da Brüstle e che, per pressoché unanime, si ritiene che tali cellule manchino di capacità detta.
Forti opposizioni si sono incentrate, poi, sul concetto stesso di embrione. E, invero, le scelte compiute dalla Corte sono state viste come una chiara presa di posizione contro tesi che ritengono che lo sviluppo dell’essere umano sia basato sulla divisione per stadi, accogliendo invece l’idea che il corpo umano si sviluppa secondo un processo integrale che non conosce soluzione di continuità.
La posizione secondo cui si devono riconoscere diverse fasi di sviluppo (distinguendo la fase in cui l’embrione si forma, da quella in cui l’embrione si annida e da quella in cui l’embrione entra nello stadio fetale), ha come scopo la necessità di graduare anche la relativa tutela giuridica, a favore di interessi materiali o di ricerca.
Il fatto che la Corte abbia accolto una «teoria integralista» è un risultato da valorizzare in quanto si basa sulla priorità di scelte morali fondamentali rispetto alle scelte tecnico-scientifiche [5]. La dignità umana non può essere un concetto graduabile, perché indicativo di valori fondati sulla preminenza dell’uomo in quanto tale rispetto ad altri importanti, ma meno fondamentali interessi.
4.2 Il limite dell’ordine pubblico nella Sentenza Bruestle c. Greenpeace
Per quanto riguarda l’ultimo aspetto della sentenza in esame, le considerazioni della Corte in merito alle utilizzazioni a fini commerciali degli embrioni devono essere inquadrate nel contesto più ampio di definizione del limite dell’ordine e della morale. Già contemplato dalla EPC (art. 53) e dall’accordo TRIPs (art. 27, par. 2), il requisito della non contrarietà all’ordine pubblico e alla morale è stato introdotto a conclusione di un ampio dibattito nella Direttiva 98/44 /CE. Infatti, la necessità di escludere dalla brevettabilità invenzioni contrarie ad interessi pubblici fondamentali è divenuta pregnante in concomitanza con lo sviluppo delle biotecnologie e ciò ha portato nel tempo ad espandere, sul piano normativo e giurisprudenziale, il limite dell’ordine pubblico e del buon costume. Questa espansione ha posto problemi di bilanciamento fra gli interessi alla promozione del progresso scientifico e da un altro lato alla tutela di valori e istanze non commerciali (etica, ambiente, salute). Si dà conto di come sia complesso un bilanciamento operato nell’ambito di un ordinamento sovranazionale e nel contesto di un’organizzazione internazionale dotata di competenze prettamente tecniche, come l’Ufficio europeo dei brevetti [6]. Proprio l’Ufficio europeo dei brevetti, in sede di interpretazione della regola interna corrispondente all’articolo 6 della Direttiva, aveva preceduto la Corte di Giustizia nell’affermare la tesi della contrarietà all’ordine pubblico di invenzioni la cui realizzazione presupponga distruzione di embrioni umani.
Certo è che i termini «ordine pubblico» e «moralità pubblica», menzionati sia nell’accordo TRIPs, sia nella EPC, sia nella Direttiva 98/44/CE costituiscono concetti aperti, che spetta ai Paesi legislatori e ai giudici dei vari compilare di contenuto in conformità ai loro prodotti culturali, sociali, religiosi, ed economici. Come è specificato nell’art. 27 dell’Accordo TRIPs, la categoria delle invenzioni contrarie all’ordine pubblico e alla moralità pubblica include i trovati che mettono a repentaglio la vita e la salute dell’uomo, degli animali e dei vegetali e provocano gravi danni. Questo assume particolare importanza nel settore delle invenzioni relative a materiale genetico degli esseri umani.
Alla luce di ciò, un aspetto problematico della sentenza Brustle c. Greenpeace concerne l’utilizzazione e la commercializzazione dei prodotti e dei procedimenti implicanti l’utilizzo di cellule staminali che si rivelano utili nella cura di gravi patologie.
La domanda è in merito al se, ad esempio, come alcuni propongono [7], da embrioni crio-congelati, che non possono essere utilizzati in alcun modo [8], si possono produrre cellule staminali pluripotenti e se queste possono essere oggetto di brevetto a fini industriali o commerciali.
Si ritiene che la Corte non escluda direttamente l’ipotesi in cui il rilascio di una privativa su alcune invenzioni sia escluso per ragioni di moralità, senza che ciò costituisca un impedimento all’utilizzazione e commercializzazione delle invenzioni stesse [9]. In linea di massima, sarebbe sanzionata la contrarietà all’ordine pubblico e alla morale del rilascio del brevetto, piuttosto che dell’invenzione in sé e per sé.
Ad avviso di alcuni, il messaggio della sentenza Brustle c. Greenpeace è che occorre superare la concezione «privatistica» dei brevetti, ossia la finalità meramente commerciale\industriale della ricerca nel campo della bioetica, campo in cui – si denuncia – i finanziamenti sono destinati ad esaurirsi proprio a causa dell’assenza dei brevetti [10].
Però, l’accordo TRIPs, secondo l’interpretazione prevalente, presuppone una correlazione tra l’esclusione della brevettabilità per contrasto con l’ordine o la moralità pubblica e il divieto di commercializzazione di un’invenzione [11]. La ratio di tale accordo risiede nella volontà di evitare che gli Stati Membri si avvalgano delle innovazioni ma – adducendone presuntuosamente la nocività – rifiutino dirgli la tutela brevettuale.
Per quest’aspetto, la sentenza risulta in dubbia compatibilità con le attuali regole del commercio internazionale perché, soprattutto all’indomani della sentenza Brustle, gli Stati europei potrebbero ammettere la commercializzazione dei prodotti e dei procedimenti realizzati utilizzando le cellule staminali embrionali, senza alcuna remunerazione degli investitori stranieri. Ciò porterebbe tali Stati e l’Unione a dover rispondere, nel quadro dell’OMC, di una violazione dell’accordo TRIPs.
4.3 L’evoluzione della sentenza International Stem Cell
Nella successiva sentenza International Stem Cell [12], che ha avuto anch’essa ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a conoscere l’interpretazione dell’art. 6, n. 2, lett. c) della Direttiva n. 98/44/CE, la Corte di Giustizia ha ribaltato quanto precedentemente affermato in merito alla definizione di embrione nella causa che aveva dato luogo alla sentenza Brüstle .
Nella sentenza International Stem Cell Corporation, la Corte di Giustizia ha ripreso le conclusioni dell’Avvocato generale nella causa Brüstle, secondo il quale un ovulo umano non fecondato deve essere qualificato come «embrione umano» nei limiti in cui sia «tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». Cioè un ovulo umano non fecondato deve necessariamente avere la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. Se non soddisfa tale condizione, il fatto che tale organismo inizi un processo di sviluppo non basta per qualificarlo come embrione umano ai sensi della Direttiva 98/44/CE.
Nella sentenza in esame, la Corte ha chiarito che spetta al giudice del rinvio verificare se, alla luce delle conoscenze sufficientemente comprovate e convalidate dalla scienza medica internazionale, un ovulo umano non fecondato abbia o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano.
Pertanto, la Corte ha statuito che l’art. 6, par. 2, lett. c), della Direttiva n. 98/44/CE, deve essere interpretato nel senso che «un ovulo umano non fecondato il quale, attraverso la partenogenesi, sia stato indotto a dividersi ea svilupparsi non costituisce un “embrione umano”, ai sensi della suddetta disposizione, qualora, alla luce delle attuali conoscenze della scienza, esso sia privo, in quanto tale, della capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare».
Questa sentenza afferma chiaramente che, se una cellula staminale umana, o un ovocita stimolato artificialmente, è incapace, per ragioni scientifiche, di svilupparsi per formare un corpo umano, essa non è esclusa dalla brevettabilità a condizione, nel rispetto della sentenza Brüstle-Greenpeace, che tale entità non sia risultante dalla distruzione di un embrione umano.
La sentenza Internation Stem Cell ha dunque significativamente ridotto il campo di interpretazione dell’embrione umano, rispetto all’interpretazione estensiva fornita nella sentenza Brüstle [13].
La Corte ha confermato, invece, l’assetto della precedente sentenza Brüstle di una interpretazione uniforme sul territorio dell’Unione della nozione di «embrione umano» dell’art. 6 par. 2 lett. c) della Direttiva in parola, in quanto si tratta di una nozione autonoma del diritto dell’Unione.
5. Gli Organismi Geneticamente Modificati
Per esigenze di completezza, è opportuno fare dei cenni ai brevetti degli organismi geneticamente modifica (OGM), alla luce dei problemi di carattere etico, evidenziando come la legislazione europea ha regolato la materia in relazione, soprattutto, alla necessaria tutela dei diritti fondamentali.
La prima direttiva in materia risale al 1990 [14], che autorizzava il rilascio immediato nell’ambiente di pochi OGM. Da quel momento, la mobilitazione degli attivisti anti-OGM ha fatto crescere il malcontento anche degli Stati Membri, facendo naufragare la politica di apertura verso gli OGM intrapresa in Europa con la Direttiva del ’90.
In quegli anni molti Stati hanno vietato l’uso di OGM nei loro territori, con la conseguenza che fino agli anni 2000 nessun nuovo OGM fu creato nell’Unione europea.
A questo si sono opposti gli Stati Uniti, maggiori produttori di piante OGM, denunciando il mancato rispetto degli accordi sul commercio internazionale, basati sul principio che solo pericoli per la salute, scientificamente provati, possono costituire una barriera all’importazione.
Per questa superare fase, nel 2001, il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno adottato la Direttiva 2001/18/CE sul rilascio nell’ambiente di OGM e fondata sul principio di precauzione e dell’azione preventiva.
Un organismo geneticamente modificato è definito come «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale».
La Direttiva ha lo scopo di «stabilire procedure e criteri armonizzati per la valutazione, caso per caso, dei rischi potenziali derivanti dall’emissione deliberata nell’ambiente di OGM». Valutazione che deve tenere conto di pareri scientifici indipendenti e deve riguardare il rischio ambientale e la dannosità per la salute umana. A questo fine, la Direttiva istituisce «una procedura comunitaria di autorizzazione per l’immissione sul mercato di OGM, qualora l’uso previsto dei prodotti comporti l’emissione deliberata dall’organismo o degli organismi nell’ambiente».
Una volta autorizzati, gli OGM sono comunque soggetti a un costante monitoraggio. Tanto che si prevede sia una complessa procedura che modifica o sospende l’autorizzazione al rilascio di OGM qualora diventino disponibili informazioni relative al rischio di emissione, sia una clausola di salvaguardia a disposizione di ciascuno Stato Membro, quando siano sopravvenuti fondati motivi di ritenere che un OGM, come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato in base alla Direttiva, rappresenti tuttavia un rischio per la salute umana o per l’ambiente.
Per poter limitare la coltivazione degli OGM su tutto il proprio territorio nazionale, gli Stati hanno fatto largo ricorso, anche senza alcun fondamento scientifico, alle clausole di salvaguardia o hanno utilizzato le procedure speciali di notifica dei Trattati (attuale art. 114, comma 5, del TFUE), a ragione del fatto che la disciplina non consentiva loro una flessibilità sufficiente per decidere in merito alla coltivazione di OGM, dopo che erano stati autorizzati a livello di Unione europea. Ciò, a detta di alcuni, ha nei fatti fortemente limitato, per non dire del tutto ostacolato, la diffusione di colture geneticamente modificate sul territorio UE [15].
Nel tentativo di limitare anche l’applicazione della clausola di salvaguardia, la Corte di Giustizia nel caso Monsanto [16] ha avuto modo di chiarire che, per adottare misure cautelari è necessario che gli Stati Membri dimostrino oltre all’urgenza, anche l’esistenza di una situazione in grado di comportare «un rischio che ponga a repentaglio in modo manifesto la salute umana, la salute degli animali o l’ambiente», con una valutazione dei rischi quanto più possibile completa, non fondata su supposizioni non ancora scientificamente provate [17].
La svolta arriva nel 2015, quando il legislatore dell’Unione ha in definitiva consentito agli Stati membri di limitare o vietare le coltivazioni di OGM per motivi anche diversi, tra cui la «politica agricola» e «l’ordine pubblico».
Grazie all’adozione della Direttiva del 2015 [18] che ha aggiunto due nuovi paragrafi, il 26 ter e 26 quater, all’art. 26 bis della Direttiva 2001/18/CE, gli Stati membri sono, dunque, in grado di limitare o vietare la coltivazione di un OGM, o di un gruppo di OGM con caratteristiche comuni, in una parte o nella totalità del loro territorio, senza ricorrere a una clausola di salvaguardia o a misure di emergenza, o senza ricorrere a negoziati con il richiedente (come viceversa, aveva previsto il Consiglio nella prima lettura di modifica della direttiva) che non intende modificare l’ambito geografico della sua richiesta iniziale.
6. Conclusioni
Il tema delle invenzioni biotecnologiche è molto dibattuto negli ultimi anni.
Si deve prendere atto che, in campo giuridico, quando si toccano tematiche che riguardano l’etica, non ci possono essere tesi assolutamente favorevoli o assolutamente contrarie. Così, dal punto di vista delle invenzioni farmaceutiche, si perde di vista il fatto che la sperimentazione e la ricerca abbiano fatto moltissimi passi nella cura di molte malattie (si pensi, per esempio, all’AIDS), additando il fatto che il costo dei medicinali sia molto alto; tanto che l’inaccessibilità dei prezzi dei farmaci ha provocato un’enorme quantità di decessi evitabili in Sudafrica. Ma, favorendo la disponibilità di medicinali generici equivalenti a quelli “autentici”, si è compiuto un grande passo in avanti nella lotta per il superamento delle barriere che ostacolano l’accesso ai farmaci.
Andando controcorrente rispetto alla cultura accreditata, si dovrebbe pensare ai brevetti con un approccio propositivo, quindi ad un aumento e ad un rafforzamento della tutela brevettuale: se i brevetti non ci fossero, non ci sarebbe nemmeno la ricerca, e i medicinali costerebbero meno, certo, ma costerebbero meno perché nessuno investirebbe per inventarli.
Per quanto riguarda l’aspetto della brevettabilità di elementi isolati del corpo umano, il tema è ampiamente discusso sul piano etico. Forse, a parere di chi scrive, se la ricerca riuscisse a curare delle malattie genetiche, il brevetto non dovrebbe essere visto come uno strumento sfavorevole; recentemente, sono state avanzate delle riserve circa la possibilità di intervenire sulle linee germinali delle cellule umane, ossia quelle in grado di trasmettersi alle generazioni successive [19]. Questa è la nuova frontiera della cosiddetta “terapia genica”, una tecnica che mira a correggere i difetti genetici, sostituendo i geni coinvolti nelle malattie con delle copie prive del difetto. A sostegno di ciò, due grandi americani nel 2013 sono riusciti ad affermare che il difetto genetico, ossia la copia extra del cromosoma 21, responsabile della sindrome di Down, può essere messa a tacere in laboratorio utilizzando cellule staminali prelevate da un paziente. Ma, anche in questo caso, è forte la componente etica: un soggetto affetto da sindrome di Down è malato o diverso? La sindrome di Down è una malattia da sconfiggere?
La normativa europea per questo aspetto è molto limitata dal rispetto e dalla tutela della dignità umana, che, a parere di chi scrive, è indispensabile per evitare strumentalizzazioni a fini di utilizzazione e commercializzazione, ma sarebbe auspicabile ammettere la brevettabilità delle invenzioni che riguardano elementi del corpo umano al fine di curare gravi malattie, ma ad oggi, purtroppo, questa apertura appare solo a livello giurisprudenziale; servirebbe, invece, una normativa europea e nazionale specifica per questo importante aspetto, immaginando un intervento e un finanziamento pubblico della ricerca – a livello europeo e mondiale (OMS) – al fine di incentivarla e favorire anche un rigoroso controllo in merito.
L’altro tema su cui ci si deve soffermare, per ultimo, è quello della crescente opposizione contro gli organismi geneticamente modificati, che viene fondata su considerazioni in ordine alla loro ipotetica pericolosità per l’uomo e per l’ambiente. Basti pensare che l’80% delle pubblicità di prodotti alimentari è basato sulla negazione che si tratti di OGM o su immagini di mucche nei pascoli che mangiano l’erba, di coltivazioni fatte con concimi naturali, di prodotti presentati come privilegi di additivi chimici e di sostanze conservanti. Tutto ciò denota ancora oggi un forte limite culturale.
Quanti si oppongono agli OGM, sostengono che essi siano un meraviglioso sistema per far guadagnare poche multinazionali; infatti, attraverso il sistema dei brevetti dei semi poche aziende stanno prendendo il controllo del commercio dei semi a livello mondiale. A tal proposito, generalmente si sostiene che il brevetto è lo strumento con cui le grandi multinazionali sfruttano i paesi più poveri, portano via quel poco di risorse che hanno, e così via.
La tematica suscita opposizioni forti perché forti sono gli interessi economici, messi in moto da grandi multinazionali: circa il 90% dei semi di varie piante mondiali attualmente commercializzati e usati fanno capo a un’unica azienda (si pensi a Bayer e a Monsanto) .
Perciò forti sono i timori che l’oligopolio mondiale possa distorcere l’equilibrio dei mercati mondiali, aumentando gli squilibri esistenti fra le diverse aree economiche del nostro pianeta. Con l’aggravante che, attraverso gli OGM, si teme vengano immesse nella produzione e nel commercio sostanze nocive per la salute umana e degli altri esseri viventi.
Quanti avversano a tali tecniche, adducono motivazioni circa i pericoli e rischi, che non si è neanche in grado di quantificare e, per certi versi, neanche di conoscere, per quanto riguarda aspetti di salute umana e ambientale.
Tesi favorevoli agli OGM sono che questi sono destinati a soddisfare i diritti fondamentali, di una umanità sempre più numerosa e per gran parte ancora priva di un’adeguata alimentazione quotidiana, perché soprattutto molte varietà geneticamente modificate nel settore agroalimentare hanno una forte capacità a resistere a disagi ambientali, agli erbicidi, ai parassiti e sono perciò dotati di una migliore idoneità alla conservazione. Sono un buon sostegno alla necessità di combattere la fame, e di combattere contro i cambiamenti climatici.
Quindi bisogna incentivare la ricerca e, se la ricerca deve necessariamente proseguire, lo strumento del brevetto è assolutamente indispensabile, con tutti i costi che questo strumento comporta.
Forse, si potrebbe pensare ad un sistema economicamente più equo: invece di prendere posizioni nettamente contrarie all’uso degli OGM, si potrebbe dar vita ad un modello dove ad arricchirsi non sono solo le grandi multinazionali (basti pensare che i terreni coltivati oggi si concentrano in Stati Uniti, Argentina e Brasile), ma in cui si incentiva anche il lavoro di piccoli agricoltori, favorendo le economie locali e garantendo cibo sicuro per tutta la popolazione mondiale.
Il quadro normativo, sia internazionale che europeo, appare idoneo ad evitare i rischi che possono ledere gli interessi fondamentali della comunità, la salute, l’ambiente.
Tendenzialmente, sarebbe necessario un controllo mirato ad aspetti di uguaglianza e proporzionalità, di tutela specifica dei vari aspetti che si è avuto modo di trattare.
Perché, se è vero che esiste una adeguata regolamentazione a livello internazionale ed europeo, altrettanto impellente è l’esigenza di rendere più concreta ed efficace la regolamentazione normativa al fine di limitare, in maniera adeguata, quelli che sono i pericoli legati a tali tecniche.
[1] A. Spadaro, La sentenza Brüstle sugli embrioni: molti pregi e… altrettanti difetti (in dialogo con Lorenza Violini), in Quaderni Costituzionali, 2012, p. 438. [2] L. Violini, Il divieto di brevettabilità di parti del corpo umano: un uso specifico e non inutile del concetto di dignità umana, in Quaderni Costituzionali, 2012, p. 147. [3] Ibid.
[4] CEDU, Evans v. UK, n. 6339/05, 7 marzo 2006.
[5] L. Violini, Il divieto di brevettabilità di parti del corpo umano: un uso specifico e non inutile del concetto di dignità umana, in Quaderni Costituzionali, 2012, p. 147.
[6] S. Vezzani, Invenzioni biotecnologiche e tutela dell’ordine pubblico e della morale nel diritto europeo dei brevetti: il caso Brustle, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 449.
[7] A. Spadaro, La sentenza Brüstle sugli embrioni: molti pregi e… altrettanti difetti (in dialogo con Lorenza Violini), in Quaderni Costituzionali, 2012, p. 440. [8] A tal riguardo, si veda la Legge italiana n. 40/2004. [9] S. Vezzani, Invenzioni biotecnologiche e tutela dell’ordine pubblico e della morale nel diritto europeo dei brevetti: il caso Brüstle, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 451.
[10] A. Spadaro, La sentenza Brüstle sugli embrioni: molti pregi e… altrettanti difetti (in dialogo con Lorenza Violini), in Quaderni Costituzionali, 2012, p. 441.
[11] S. Vezzani, Invenzioni biotecnologiche e tutela dell’ordine pubblico e della morale nel diritto europeo dei brevetti: il caso Brüstle, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, p. 451. [12] Corte di Giustizia, sent. 18 dicembre 2014, International Stem Cell Corporation c. Comptroller General of Patents, Designs and Trade Mark, causa C-364/13, ECLI:EU:C:2014:2451 [13] V. Ranaldi, Embrione e brevetto biotecnologico nell’Unione europea alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia, in Ordine Internazionale e diritti umani, 2015, p. 233. [14] Direttiva 90/220/CEE del Consiglio del 23 aprile 1990 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, GU L 117 del 8.5.1990 p. 15–27.
[15] F. Rossi Dal Pozzo, La proposta di regolamento di revisione della direttiva 2001/18/CE in tema di coltivazione degli organismi geneticamente modificati e la sentenza del T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, del 23.4.2014, n.4410: quale possibile coordinamento alla luce dei principi di sussidiarietà e di precauzione, in Eurojus, 2014, n. 1.2 p. 2. [16] Corte di Giustizia, sent. 8 settembre 2011, Monsanto SAS e a./Ministre de l’Agriculture et de la Pêche, C-58/10 C-68/10, in Raccolta, 2011 I-07763. [17] F. Munari, Il ruolo della scienza nella giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di tutela della saluta e dell’ambiente, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2017, p. 143. [18] Direttiva 2015/412/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, GU L 106 del 17.4.2001 p. 1–39. [19] C. Galli, Invenzioni Biotecnologiche e Organismi Geneticamente Modificati, in C. Galli e al. (a cura di), Le Nuove Frontiere del Diritto dei Brevetti, Torino. 2003, p. 38.
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