La Cassa di previdenza si paga anche per le attività non professionali
Tribunale Bari, 28 settembre 2015
Quante volte il professionista, nello svolgere attività non strettamente collegate con l’esercizio più tipico della propria professione, si è chiesto se, nella fattura, dovesse essere calcolata anche il contributo previdenziale dovuto alla Cassa di appartenenza.
Secondo il Tribunale pugliese bisogna abbracciare una definizione ampia di “redditi professionali” e includervi anche tutte quelle attività comunque indirettamente riconducibili ad essa.
Secondo la sentenza in commento, dunque, al fine di stabilire se i redditi prodotti dal professionista siano assoggettabili alla contribuzione alla Cassa previdenziale di categoria, non deve infatti guardarsi soltanto all’espletamento delle prestazioni tipiche, ossia quelle attività riservate agli iscritti negli appositi albi, ma deve considerarsi anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista di norma si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione propria della sua professione.
Dunque, il concetto di “esercizio della professione” deve essere interpretato non in senso statico e rigoroso, bensì tenendo conto dell’evoluzione subita nel mondo contemporaneo dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali. Una evoluzione che ha comportato la progressiva estensione dell’ambito proprio dell’attività professionale, con occupazione, da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale.
Tale principio è valido per tutte le categorie professionali: avvocati, commercialisti e medici compresi.
Quando non si paga la Cassa di previdenza?
Solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista.
Tale interpretazione è già stata suggerita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 del 1980, art. 11, comma 1 e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione ai contenuti dell’attività propria della libera professione; in sostanza le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune.
Secondo la Cassazione (sent. n. 20670/2004) è la oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività in concreto svolta dal professionista – ancorché questa non sia riservata per legge alla professione medesima e sia, quindi, altrimenti esercitabile – a comportare l’inclusione dei relativi compensi tra i corrispettivi che concorrono a formare la base di calcolo del contributo soggettivo obbligatorio e del contributo integrativo dovuti alle Casse di previdenza, con la precisazione che, a tal fine, rileva anche la circostanza che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull’esercizio dell’attività in parola, nel senso che le prestazioni siano da ritenere rese (anche) grazie all’impiego di esse (Cass. Sez. Lav., 29.08.2012 n. 14684).
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Rita Mazzacano
Rita Mazzacano si è laureata nel 2011 in Giurisprudenza con 110 e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, con una tesi in diritto amministrativo. Ha svolto il tirocinio forense presso l'Avvocatura dello Stato di Napoli. Ha conseguito il titolo di Avvocato nel 2014 ed attualmente collabora con uno studio legale che si occupa principalmente di diritto del lavoro.
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