La Cassazione ci ripensa, le Sezioni Unite riconoscono i danni punitivi
Il sistema della responsabilità civile nell’ordinamento giuridico interno è improntato a una logica satisfattivo-riparatoria. La responsabilità civile persegue una finalità compensativa, tesa a restaurare la sfera giuridica patrimoniale del soggetto leso. Il riconoscimento della responsabilità civile comporta infatti la nascita, a carico del danneggiante, di un’obbligazione risarcitoria quantificata in misura pari all’entità del danno subito dalla parte danneggiante; cosicché, ricorrendo a una semplice formula di equivalenza, può senz’altro affermarsi che il risarcimento è uguale al danno.
Una funzione differente è invece svolta dai c.d. punitive damages, ovvero i danni punitivi. Questi sono un istituto tipico degli ordinamenti di common law e consistono nell’imposizione in sede giudiziale al soggetto soccombente di una somma dovuta a titolo di sanzione, oltre al risarcimento in senso proprio. I danni punitivi, che sono corrisposti a titolo di indennizzo, non parametrati quindi al pregiudizio provocato, perseguono così una finalità di carattere deterrente con funzione deflattiva degli illeciti civili. Per tali motivi, l’istituto in parola non trova di solito spazio e riconoscimento negli ordinamenti di civil law, nei quali la disciplina della responsabilità civile assolve a una funzione, come si è detto, più compensativa che sanzionatoria.
Per tali motivi, la giurisprudenza di legittimità è rimasta per lungo tempo ferma nel radicale disconoscimento dell’operatività di tale istituto all’interno dell’ordinamento nazionale. Cosicchè, le sentenze straniere nelle quali il giudice addebitava a carico del soggetto soccombente una somma da corrispondere al danneggiato a titolo di danni punitivi, una volta poste al vaglio delle Corti d’Appello ai fini del loro riconoscimento in Italia ai sensi dell’art. 64. l. n. 218/1995, trovavano un ostacolo insuperabile nella previsione da parte dell’articolo di legge citato della condizione di non produrre “effetti contrari all’ordine pubblico“. I danni punitivi erano ritenuti infatti in contrasto con l’ordine pubblico interno.
Più precisamente, secondo giurisprudenza costante, il concetto di “ordine pubblico” evocato dalla norma summenzionata non va inteso in termini di ordine pubblico interno, quanto, piuttosto, di ordine pubblico internazionale, per tale dovendosi intendere, secondo un’accezione comunemente condivisa, l’insieme dei principi fondanti e caratterizzanti i valori etico-giuridici di un popolo in un determinato periodo storico. Ebbene, la Cassazione sulla scorta della valutazione per cui il principio della valenza mono-funzionale della responsabilità civile dovesse essere ricondotta tra le norme di ordine pubblico, ha più volte negato il riconoscimento di sentenza straniere che prevedessero l’obbligo di corresponsione di danni punitivi. Tuttavia, nel tempo è stato proprio il concetto di ordine pubblico a innovarsi e, in un certo senso, ad aprirsi, finendo per identificarsi nella quintessenza del sistema di tutele approntato a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria.
Parallelamente, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno iniziato a concepire diversamente la natura della responsabilità civile nell’ordinamento interno: la sua natura mono-funzionale di carattere riparatorio ha assunto nel tempo i connotati di un istituto poli-funzionale che, tra le sue finalità, persegue scopi di carattere preventivo e anche sanzionatorio. E infatti, diversi tipi di sanzioni civili poste a carico del danneggiante sono a ben vedere contemplate dal legislatore italiano.
Per fare alcuni esempi, si pensi all’art. 96, co. 3 c.p.c. in materia di responsabilità da lite temeraria; ovvero all’art. 125 del d.lgs. n. 30/2005 che, in materia di proprietà industriale, prevede la restituzione o retroversione degli utili da parte dell’autore della violazione; o, ancora, l’art. 18 della legge n. 349/1986 che sanziona la commissione del danno ambientale. Da ultimo, si leggano le norme previste dal d.lgs. n. 7/2016 che, nel realizzare la depenalizzazione di alcuni reati penali, attraverso la loro abrogazione ne conserva la natura di illecito civile, punito con una sanzione pecuniaria da corrispondere allo Stato.
Orbene, alla luce dell’evoluzione normativa e interpretativa della questione, sulla scorta delle considerazioni effettuate dai Giudici di legittimità in sede di ordinanza di rimessione n. 9978/2016, la Suprema Corte nella sua massima composizione ha rivisto il proprio orientamento granitico che deve una delle sue prime pronunce alla sentenza n. 1183/2007. Più in particolare, la Corte parte dall’assunto secondo cui nessuna prestazione personale patrimoniale, come l’art. 23 Cost. sancisce, può essere imposta se non per legge. E, perdippiù, ricorda l’art. 25 Cost. il quale riconosce il principio di legalità delle pene, cosicché anche le sanzioni civili, stante il loro carattere afflittivo, per essere legittime devono essere previste dalla legge. Questa considerazione torna utile alla Suprema Corte nel momento in cui essa rivede la sua posizione sulla portata del concetto di ordine pubblico quale limite all’ingresso dei dicta giurisdizionali stranieri nel territorio nazionale.
Fondamentale diventa, a questo punto, la considerazione degli Ermellini circa il rapporto tra ordine pubblico internazionale e ordine pubblico interno: partendo dalla previsione di cui all’art. 67 TFUE, ai sensi del quale ” l’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni degli Stati membri”, essi sostengono che la sentenza straniera applicativa di un istituto giuridico non contemplato dall’ordinamento nazionale, quand’anche sia in armonia con quanto previsto dalla disciplina europea, deve pur sempre confrontarsi con i princìpi della Costituzione e delle leggi più sensibili, con la conseguenza che nessuno spazio di controllo può essere negato al giudice nazionale con riferimento alla preservazione di tali norme. La tutela dell’ordine pubblico non implica, pertanto, il rigetto delle pronunce straniere per il solo motivo che le stesse prevedano istituti non riconosciuti nell’ordinamento interno, ma richiede piuttosto una valutazione circa il rispetto dei princìpi fondamentali propri dell’ordinamento interno. Cosicchè, quel che rileva ai fini dei riconoscimento di una pronuncia straniera in tema di danni punitivi è, a ben vedere, che tali danni vengano comminati nel rispetto del principio di legalità e siano dunque previsti già in sede normativa dall’ordinamento straniero con una legge che rispetti i requisiti di tipicità e prevedibilità.
Resta poi comunque al giudice che deve recepire la sentenza di condanna (e, quindi, alle Corti d’Appello) valutare, in ossequio a quanto richiesto dall’art. 49 della Carta di Nizza e anche dai princìpi cardine in materia di responsabilità civile, la proporzionalità del trattamento sanzionatorio rispetto al fatto in concreto commesso.
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Sabrina Dellisanti
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