La Cassazione interviene sul dovere imprescindibile di ascolto del minore
“Maxima debetur puero reverentia”. Giovenale, Satire XIV, 47
La citazione della satira di Giovenale sintetizza il leit motiv della vicenda, di seguito, in commento.
Con sentenza del 27 marzo n.7762/17, la I sezione civile Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di diritto di famiglia e di minori.
La Suprema Corte all’esito di un caso rientrante nella categoria dei cc.dd. hard cases, coinvolgenti i minori, – anche a causa di un lungo e travagliato iter giudiziario intrapreso da un padre per il riconoscimento della paternità biologica della figlia naturale contro l’ex compagna riottosa al consenso, – ha dato accoglimento alla richiesta della figlia, ormai, adolescente, rappresentata dal curatore speciale nominato d’ufficio dal Giudice, come previsto agli artt.78 e ss. c.p.c., e per l’effetto negando al padre il diritto al riconoscimento.
La quattordicenne, capace di discernimento, nel giudizio di merito di rinvio, si era vista negare dalla Corte di Appello di Roma nel 2011, l’audizione, accogliendo la domanda di riconoscimento paterna.
Occorre una breve disamina a ritroso del caso concreto. Con sentenza del 18 maggio 2010 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda del padre della minore nei confronti dell’ex compagna, relativa all’ottenimento dell’autorizzazione al riconoscimento della figlia naturale, sostitutiva del consenso dell’altro genitore.
Quindi, attraverso la prova ematologica del DNA, veniva acclarata la paternità biologica.
La Corte territoriale rilevava che il riconoscimento della minore fosse nel suo esclusivo interesse, in mancanza, peraltro, di evidenze certe di pregiudizi nel comportamento paterno verso la madre dalla documentazione prodotta in atti.
La Corte di Appello di Roma nel 2011, quindi, confermava la sentenza di primo grado.
Invece, la Corte di Cassazione cassava con rinvio la decisione di seconda istanza, per non avere disposto l’ascolto della minore e, disponendo, peraltro la nomina di un curatore speciale che rappresentasse gli interessi della bambina nel procedimento.
Il giudizio di rinvio di fronte alla Corte di Appello, seguendo i dettami del Supremo Giudice, confermava la sentenza di prima facie.
Veniva disposto il diritto soggettivo del padre al riconoscimento della bambina, nell’interesse preminente della minore, sic et simpliciter, sia per le conseguenze derivanti dalla bi genitorialità in senso astratto, sia dai vantaggi affettivi che ella avrebbe ricavato da una famiglia allargata ( il padre aveva costituito una nuova famiglia da cui erano nati altri due figli), nonché per l’assenza di pregiudizi concreti che mettessero in pericolo il benessere psico-fisico della minore dal rapporto con la figura paterna.
La Corte d’Appello sottolineava, – in senso positivo, – l’accanimento con cui il padre avesse intrapreso le azioni giudiziarie, espressione di un vivo desiderio di stabilire una relazione giuridica e affettiva con la figlia; passava in secondo piano ogni altro comportamento aggressivo, verso la madre, situazioni di natura fiscale, o la capacità genitoriale del padre, – secondo il Collegio,- non rilevanti nel merito della causa.
L’interesse preminente della minore adolescente non poteva essere escluso, secondo la Corte di Appello, neppure dall’esito dell’audizione, ove emergeva una volontà palesemente contraria della ragazzina.
Tali dichiarazioni della minore in sede di ascolto venivano attribuite ad “informazioni errate sulla condotta paterna ed al timore di turbare la situazione familiare.”
Avverso la sentenza del Giudice del rinvio, veniva presentato ricorso dalla madre della minore e il padre resisteva con controricorso.
Nello specifico, la Suprema Corte valutava la fondatezza delle doglianze proposte, rilevando la mancata valutazione della volontà della minore in sede di ascolto giudiziario, ovvero il parere difforme di quest’ultima al riconoscimento del padre.
Gli Ermellini evidenziano il paradosso della sussistenza dell’interesse astrattamente tutelato della minore al riconoscimento, valutato dalla Corte di Appello, in assenza di un effettivo riscontro dell’esito dell’audizione in base all’art. 250 co. 4 c.c.
La Corte di Cassazione rileva che, in sede di audizione, la Corte di Appello di Roma valutava positivamente la capacità di discernimento della minore, che per la sua età era: ”matura e consapevole della sua condizione, e in grado di interagire e rispondere alle domande dell’interlocutore”.
Tuttavia, il Collegio, – sembrerebbe una contraddizione,- non teneva in considerazione quelle dichiarazioni, al fine del rispetto dell’identità della minore del suo benessere effettivo sotto il profilo psichico, culturale e relazionale.
Secondo gli Ermellini cioè, sono state minimizzate le dichiarazioni rese dall’adolescente.
Soluzione del caso. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato in dottrina e in giurisprudenza, ossia che l’interesse del minore va sempre contemperato con il diritto del genitore, presidiato dall’art. 30 Cost., che può essere sacrificato solo laddove vi sia un effettivo pregiudizio dello sviluppo psicofisico del minore. [1]
Alcune considerazioni. In un contesto sistematico il fatto avvenuto nelle Corti territoriali di merito dimostra che ancora tutti gli operatori del diritto tendano,- spesso,- a ridurre l’istituto dell’ascolto a funzione meramente ancillare e formale nei procedimenti che riguardanti minori, contro l’opinione maggioritaria sia della dottrina[2], sia della giurisprudenza costituzionale e convenzionale degli ultimi anni sulla necessità dell’esame del best interest of the child nei giudizi che li riguardano come la dichiarazione giudiziale di paternità.[3]
La cultura dell’infanzia è cioè, ancora purtroppo restia ad attecchire fra gli operatori del diritto nella materia particolare del diritto di famiglia e dei minori.
La riforma della filiazione con la Legge n.219/2012, ancor prima di quella del 2014 ha subordinato l’efficacia del riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni, il quale deve dare il suo assenso ( art.250 II co. c.c.) al riconoscimento; mentre, al IV comma dell’art. 250 c.c., si stabilisce che il consenso non può essere rifiutato se il riconoscimento risponde all’interesse preminente del figlio.
Nell’intenzione del legislatore italiano già nella riforma del 2012, l’audizione del minore aveva lo scopo di rendere il minore, sempre, più parte sostanziale con le altre parti protagoniste del procedimento, in quanto titolare di diritti soggettivi nella vicenda, espressamente affermati dalle Carte europee (Art. 24 della Carta di Nizza), dalla Convenzioni europee ed internazionali ( artt. 3, 12 della Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia del 1989; artt. 3, 6 Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del minore).
In conclusione, nella pratica dell’ascolto diretto del minore, il giudice,- suo interlocutore, – prima di decidere della sua vita, dei legami affettivi, sociali, dei suoi bisogni deve capire le sue opinioni e, talvolta, anche compiere valutazioni in contrasto con esse, per il concreto e preminente interesse del bambino. [4]
Non ridurre l’ascolto ad un corollario inutile, una perdita di tempo.
[1] Cass. n.2645/11; Cass. n.4/2008; Cass. 395/2006
[2] Trabucchi A., Istituzioni di Diritto Civile, Capo IV, SEZ. III Filiazione , Cedam Wolters Kluwer, 2015
[3] In particolare, sentenze Corte cost. n. 216/1997; 83/2011
[4] Pazè P., L’ascolto del minore pubbl. su minoriefamiglia.it del 27 gennaio 2004
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