La Cassazione sull’aggravante specifica dello spaccio di stupefacenti in prossimità di un ospedale

La Cassazione sull’aggravante specifica dello spaccio di stupefacenti in prossimità di un ospedale

Cass. Pen., sez. III, sent. 23 marzo 2022, (dep. 11 maggio 2022), n. 18523 – Pres. Ramacci, Rel. Di Stasi

Abstract (ITA): Il presente contributo analizza la sentenza della Terza sezione penale della Corte di Cassazione n. 18523/2021, con la quale ritorna ad analizzare l’aggravante specifica dello spaccio di sostanze stupefacenti nei pressi di un ospedale ai sensi dell’art. 80, comma 1, lett. g) del D.P.R. n. 309/1990.

Abstract (EN): This paper analyzes the judgment of the Third Criminal Chamber of the Court of Cassation n. 18523/2021, with which it returns to analyze the specific aggravation of the distribution of drugs near a hospital pursuant to art. 80, paragraph 1, lett. g) of the D.P.R. n. 309/1990.

Sommario: 1. La vicenda processuale – 2. Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope – 3. Le fattispecie astratte – 4. Le aggravanti specifiche – 5. La decisione della Corte di Cassazione (sez. III, sent. 18523/2022); – 6. Conclusioni

 

1. La vicenda processuale

Con sentenza del 29/05/2020, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Brescia – che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 80, comma 1, lett. g) e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro 4.000 di multa, con l’interdizione dai pubblici uffici e la confisca e distruzione di quanto in sequestro –, accogliendo l’appello del Procuratore generale, aveva applicato all’imputato la misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato italiano a pena espiata, confermando nel resto il pronunciamento gravato.

Avverso la sentenza di secondo grado, a mezzo del difensore di fiducia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, articolando quattro motivi, uno dei quali – il secondo – ha dedotto vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, lett. g), sostenendo che dalle dichiarazioni rese a s.i.t. era emerso solo che l’imputato si incontrava con i clienti in prossimità del parcheggio dell’ospedale con lo scopo di cedere la sostanza stupefacente, ma non che avesse creato un punto di spaccio accessibile alle persone che di quella comunità facevano parte; pertanto, secondo la tesi difensiva, sarebbe stata erronea la valutazione resa dal Giudice del gravame in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante in disamina.

2. Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

L’art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 309 del 1990, disciplina una serie di condotte poste in essere da «chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14», prevedendo la sanzione della reclusione da sei a venti anni e quella della multa da euro 26.000 a euro 260.000.

Già dalla lettura dell’articolo appare fin da subito come la ratio legis sia quella di non lasciare spazio ad alcun tipo di azione ai fini di reprimere il traffico di sostanze stupefacenti, come indicato dalla presenza, all’interno della norma, di una serie di locuzioni connesse alle possibili modalità di realizzazione delle attività illecite, sanzionando, dunque, il soggetto non autorizzato all’espletamento di tali attività.

Quanto al bene giuridico tutelato dalla disposizione incriminatrice de qua, lo stesso è stato individuato nella tutela sia della salute pubblica, sia dell’ordine pubblico messo in pericolo dal dilagante fenomeno della tossicodipendenza[1].

È importante sottolineare come nel diritto interno non vi è una nozione specifica di “stupefacente” tale da essere individuata tramite un sistema tabellare presente come allegati al D.P.R. n. 309/1990. Il sistema attualmente in vigore si fonda su cinque distinte tabelle, redatte secondo quanto stabilito dagli artt. 13 e 14 D.P.R. n. 309/1990. La stesura, il completamento e l’aggiornamento delle tabelle avvengono con decreto del Ministro della salute, sentiti il Consiglio superiore di sanità e l’Istituto superiore di sanità con l’obbligo di necessario adeguamento agli elenchi contenuti negli accordi e nelle convenzioni internazionali. In particolare, sono soggette al controllo penale le sostanze considerate stupefacenti in quanto indicate nelle tabelle I, II, III e IV allegate al D.P.R. n. 309/1990.

Nello specifico nelle tabelle I e III vengono elencati i criteri per l’inclusione delle sostanze nella categoria delle c.d. “droghe pesanti”; alle tabelle II e IV sono invece previsti l’individuazione delle c.d. “droghe leggere”.

La norma in esame individua come soggetto attivo due categorie: a) il titolare di un’autorizzazione al trattamento delle sostanze stupefacenti, ed in tale ipotesi la condotta avviene non rispettando i termini dell’autorizzazione prescritta; b) chiunque pone in essere le medesime condotte al di là della qualifica giuridica occupata.

Data la ratio delle norme del D.P.R. n. 309/1990, si può affermare che la ratio del legislatore è il contrasto della repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti in un’ottica di tutela generale della collettività per contrastare il fenomeno della droga[2].

3. Le fattispecie astratte

Con riferimento alle condotte punite dall’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, è opportuno indicare come sotto il profilo strutturale, la pluralità di condotte descritte dia luogo ad una pluralità di reati, quando la medesima condotta abbia contestualmente per oggetto “droghe leggere” e “droghe pesanti”. Il comma 1 dell’art. 73 (e il comma 4 dello stesso articolo) descrive molteplici distinte condotte (coltivare, produrre, fabbricare, estrarre, raffinare, vendere, offrire o mettere in vendita, cedere, distribuire, commerciare, trasportare, procurare ad altri, inviare, passare o spedire in transito, consegnare per qualunque scopo)[3]. Si tratta di un reato comune e di pericolo astratto, che tutela tanto il bene giuridico della salute pubblica, quanto quello dell’ordine pubblico.

Vengono in rilievo quattro macro-categorie di condotte: le condotte attinenti alla produzione degli stupefacenti (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione); le condotte attinenti al trasferimento da o verso lo Stato degli stupefacenti (esportazione, importazione, passaggio o spedizione in transito); le condotte attinenti alla commercializzazione degli stupefacenti (vendita, cessione, offerta in vendita, messa in vendita, commercio, consegna, distribuzione, invio, procacciamento); le condotte attinenti alla semplice disponibilità degli stupefacenti ove questa è reputata illecita dall’ordinamento (acquisto, ricezione, trasporto e detenzione). Le condotte attinenti alla produzione degli stupefacenti (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione)[4].

La coltivazione consiste nell’attività che va dalla semina delle sostanze alla loro raccolta. In relazione a tale condotta, è intervenuta la recente Legge n. 242/2016 che ha sancito la liceità della coltivazione della canapa sativa, aderendo in tal modo a quanto prescritto dall’art. 17 della direttiva 2002/53/CE. La problematica è stata oggetto di una decisione delle Sezioni Unite[5]. Sul punto erano infatti sorti in giurisprudenza due distinti orientamenti, sui cui è stata chiamata ad esprimersi la Suprema Corte.

Secondo un primo indirizzo[6] la liceità di tale tipo di cannabis sarebbe circoscritta alle sole condotte di coltivazione; le norme della legge n. 242/2016 sarebbero quindi norme eccezionali e in quanto tali non potrebbero derogare alle disposizioni del D.P.R. n. 309/1990. Da ciò discenderebbe la rilevanza penale delle condotte di detenzione e cessione.

L’altro orientamento interpretativo[7], invece, riconosce come corollario logico-giuridico della legge in questione la liceità delle condotte di commercializzazione della predetta coltivazione, che ha ad oggetto una sostanza dotata di un principio attivo talmente basso da non consentire un ragionevole divieto alla sua cessione e commercializzazione.

Con la recente decisione la Corte di Cassazione sembra aver aderito all’orientamento più restrittivo, in accordo del quale quindi la legge del 2016 avrebbe legalizzato le sole condotte di coltivazione ma non anche quelle di cessione e di detenzione[8].

4. Le aggravanti specifiche

Il regime sanzionatorio riguardante gli stupefacenti è ulteriormente irrigidito dalle numerose circostanze aggravanti speciali[9] individuate all’art. 80 D.P.R. n. 309/1990[10].

Tali circostanze aggravanti speciali comportano, nell’ipotesi di cui al primo comma, un aumento di pena compreso tra un terzo e la metà.

L’incremento sanzionatorio si spinge sino ai due terzi nell’ipotesi dell’ingente quantità di cui al secondo comma[11] dello stesso articolo. Al riguardo, se all’ingente quantità si aggiunge la commistione o l’adulterazione delle sostanze psicotrope al fine di aumentarne la carica lesiva, la pena è di trenta anni di reclusione.

5. La decisione della Corte di Cassazione (sez. III, sent. 18523/2022)

Nello specifico, la sentenza in esame si è occupata dell’aggravante specifiche ex art. 80, comma 1, lett. g) del D.P.R. n. 309/1990. L’aggravante riguarda «se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti». La sentenza in esame definisce lo spaccio di sostanze stupefacenti aggravato dalla cessione in prossimità di un ospedale[12].

La Corte di Cassazione ha ritenuto il secondo motivo di ricorso infondato, sotto una serie di profili. Dapprima specificando che i Giudici di merito hanno ritenuto correttamente la cessione di stupefacente all’interno del parcheggio del pronto soccorso dell’ospedale richiamando diverse pronunce[13] con le quali per configurare l’aggravante specifica ex art. 80, comma 1, lett. g) del D.P.R. n. 309/1990, «è sufficiente che l’offerta o la cessione della sostanza stupefacente si sia verificata all’interno o in prossimità dei luoghi indicati dalla norma, non essendo necessario che essa sia effettuata nei confronti di specifiche categorie di soggetti».

La finalità della norma risiede nell’esigenza di tutelare e preservare dal fenomeno della diffusione degli stupefacenti comunità notoriamente più aggredibili, perché frequentate da persone potenzialmente a rischio di fronte al pericolo della droga, o per la giovane età o per particolari condizioni soggettive.

Per poter configurarsi l’aggravante specifica in esame, è sufficiente la reale offerta o cessione in prossimità dei luoghi indicati alla lettera g) dell’articolo 80 D.P.R. n. 309/1990.

Si osserva che il frequente uso nel lessico del legislatore penale di espressioni vaghe, quale è nel caso in esame il termine «prossimità», impone all’interprete il compito di definirne il significato.

Difatti, il termine «prossimità» non può, dunque, che indicare la contiguità fisica, il posizionamento topografico dell’agente dedito allo spaccio in un luogo che consenta l’immediato accesso alle droghe a persone che frequentano dette comunità.

Eliminando un ostacolo alla caduta (o alla ricaduta) nella tossicodipendenza, la vicinanza fisica dello spacciatore alle potenziali vittime rende la condotta tipica del reato maggiormente insidiosa ed aggressiva per il bene giuridico protetto dalla norma.

6. Conclusioni

Volendo formulare alcune brevi considerazioni, a modesto parere di chi scrive, il ragionamento della Corte di Cassazione è senz’altro condivisibile.

La pronuncia in esame è di particolare interesse, poiché, per quanto il legislatore non abbia indicato in modo specifico il significato di «prossimità», esso è puntualmente chiarito dalla Corte di Cassazione. Difatti – afferma la III sezione – l’offerta o la cessione di sostanze stupefacenti è aggravata dall’art. 80, comma 1, lett. g) D.P.R. n. 309/1990, quando accade nei pressi immediatamente adiacenti dell’ospedale stesso.

La “prossimità” è stata indicata come quelle aree esterne rispetto alle strutture tipizzate (come anche per scuole, comunità giovanili, caserme ecc.) che sono ubicate nelle loro immediate vicinanze; perciò, si configura un rapporto di relazione immediata tra i luoghi indicati e le aree di prossimità, la contiguità fisica e il posizionamento topografico dell’agente dedito allo spaccio nel luogo che consente l’immediato accesso alle droghe per le persone che lo frequentano.

In altri termini, per configurare l’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett. g) D.P.R. n. 309/1990 devono verificarsi due condizioni: a) l’offerta o la cessione deve avvenire nelle aree immediatamente esterne a quelle indicate dalla norma; b) la presenza dell’agente nel luogo esterno alle strutture tipizzate. Nel caso di specie, lo spaccio di sostanze stupefacenti è avvenuto nel parcheggio del pronto soccorso dell’ospedale.

Ancora una volta è bene ricordare come la ratio legis è quella di evitare che alcuni soggetti possano essere potenzialmente inclini a ricorrere all’uso di sostanze stupefacenti, come le precarie condizioni psico-fisiche per gli infermi all’interno degli ospedali, ovvero per gli ex tossicodipendenti all’interno dei centri di recupero e riabilitazione, ovvero gli scolari che potrebbero esseri attratti dal loro utilizzo.

Sarebbe auspicabile, però, un intervento legislativo con lo scopo di dettagliare, con una prolissa tecnica casistica, tutte le possibili estrinsecazioni delle aggravanti di cui all’art. 80 comma 1 D.P.R. n. 309/1990.

 

 

 

 


[1] In giurisprudenza, vi sono state pronunce che hanno individuato il bene giuridico tutelato dalla norma soltanto nella salute collettiva: Cass. pen. sez. VI, sent. 14 marzo 1997 n. 4294; Cass. pen. sez. V, sent.19 giugno 1998 n. 4071; Cass. pen. sez. V, sent. 29 novembre 1999 n. 5791. Altre pronunce individuano la natura plurioffensiva: Cfr. Cass. pen. sez. VI, sent. 12 maggio 1995, n. 9320.
[2] Cfr. R. E. OMODEI, I traffici illeciti nel Mediterraneo. Persone, stupefacenti, tabacco, in Report Italia – Università di Palermo, Research NESMeS “The New Era of Smuggling in the Mediterranean Sea”, in URL: https://www.unipa.it/dipartimenti/di.gi./.content/documenti/nesmes-pmi/report-italia.pdf, 55 e ss.
[3] Cfr. G. INSOLERA, G. SPANGHER, L. DELLA RAGIONE, I reati in materia di sostanze stupefacenti. Fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali., in Teoria e pratica del diritto, Milano, 2019, 217 e ss.
[4] Cfr. M. TORIELLO, Produzione e traffico di sostanze stupefacenti, in Teoria e pratica del diritto, Milano, 2021, 143 e ss.
[5] Cass. pen., Sez. un., sent. 30 maggio 2019, n. 30475.
[6] Cass. pen. sez. VI, sent. 27 novembre 2018, n. 56737.
[7] Cass. pen. sez. VI, sent. 29 novembre 2018, n. 4920.
[8] Cfr. M. TORIELLO, Produzione e traffico di sostanze stupefacenti, in Teoria e pratica del diritto-Penale e Processo, Milano, 2021, 213 e ss.
[9] Cfr. G. INSOLERA, G. SPANGHER, L. DELLA RAGIONE, I reati in materia di sostanze stupefacenti. Fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali., in Teoria e pratica del diritto, Milano, 2019, 367 e ss.
[10] Art. 80, comma 1, DPR. n. 309/1990: «1. Le pene previste per i delitti di cui all’articolo 73 sono aumentate da un terzo alla metà: a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono consegnate o comunque destinate a persona di età minore; b) nei casi previsti dai numeri 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 112 del codice penale; c) per chi ha indotto a commettere il reato, o a cooperare nella commissione del reato, persona dedita all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope; d) se il fatto è stato commesso da persona armata o travisata; e) se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva; f) se l’offerta o la cessione è finalizzata ad ottenere prestazioni sessuali da parte di persona tossicodipendente; g) se l’offerta o la cessione è effettuata all’interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. 2. Se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi; la pena è di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 73 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l’aggravante di cui alla lettera e) del comma 1. 3. Lo stesso aumento di pena si applica se il colpevole per commettere il delitto o per conseguirne per sè o per altri il profitto, il prezzo o l’impunità ha fatto uso di armi. 4. Si applica la disposizione del secondo comma dell’articolo 112 del codice penale».
[11] Cfr. Cass. pen. sez. III, sent. 05 marzo 2020, n. 17180; Cass. pen., Sez. un., 30 gennaio 2020, n. 14722.
[12] Cfr. G. INSOLERA, G. SPANGHER, L. DELLA RAGIONE, I reati in materia di sostanze stupefacenti. Fattispecie monosoggettive. Criminalità organizzata. Profili processuali., in Teoria e pratica del diritto, Milano, 2019, 385 e ss.
[13] Cfr. Cass. pen. sez. VI, sent. 11 dicembre 2019, n. 1666; Cass. pen. sez. IV, sent. 06 aprile 2017, n. 21884.

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