La Cassazione torna sul valore probatorio degli screenshot

La Cassazione torna sul valore probatorio degli screenshot

La Corte di Cassazione con la recente pronuncia n. 34212/2024 ha ricordato e confermato l’orientamento giurisprudenziale[1] secondo cui gli screenshot, ovvero le immagini catturate dallo schermo di un cellulare, hanno pieno valore di prova in giudizio.

In particolare, il caso oggetto della pronuncia verteva su una controversia penale in tema di stalking.

Si è ribadito che chiunque ritenga che eventuali contenuti catturati in uno screenshot siano rilevanti ai fini di una controversia, questi possono liberamente essere utilizzati e prodotti per dimostrare la fondatezza delle proprie pretese. Ciò in quanto uno screenshot cattura l’esatto momento in cui il messaggio viene ricevuto o l’immagine viene inviata, garantendo in tal modo la prova della sua esistenza e del suo contenuto[2].

In caso di dubbio, invece, sulla autenticità dello screenshot, il Giudice può disporre il sequestro del cellulare (del reo ovvero della persona offesa) per permettere le dovute verifiche tecniche.

Fondamentale dunque è la conservazione delle chat nella memoria del proprio dispositivo; effettuare lo screenshot e, per essere certi della loro conservazione sul lungo tempo, conservarlo anche su un supporto esterno.

Se si conserva il file originale lo stesso non potrà essere oggetto di facili contestazioni. In alternativa, è possibile ottenere l’autentica dell’elemento da parte di un pubblico ufficiale al fine di attribuire allo stesso una data certa.

Peraltro, con riguardo al processo civile, si rileva che l’art. 2712 c.c., rubricato “Riproduzioni meccaniche”, prevede che: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose che formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Ne deriva pertanto che, considerando uno screenshot al pari di una riproduzione informatica, questo può fare prova fintanto che non viene contestato dalla parte avversaria.

In ambito penale si segnala un’ulteriore pronuncia della Corte di Cassazione[3], avente ad oggetto un caso di diffamazione in relazione al quale veniva contestata la condotta del direttore di una testata giornalistica per aver redatto e pubblicato un articolo diffamante nei confronti di un personaggio noto.

A seguito delle pronunce contrastanti di primo e di secondo grado, il caso è giunto avanti la Suprema Corte di Cassazione la quale, ribaltando la tesi sostenuta dalla Corte d’appello, ha qualificato lo screenshot come un documento informatico valido come prova documentale e riconducibile alla categoria di cui all’art. 234 c.p.p.

La Suprema Corte ha infatti stabilito che: “i dati di carattere informatico contenuti in un computer rientrano tra le prove documentali e per l’estrazione di questi dati non occorre alcuna particolare garanzia; di conseguenza ogni documento acquisito liberamente ha valore di prova, anche se privo di certificazione, sarà poi il giudice a valutarne liberamente l’attendibilità”.

Pertanto, lo screenshot non costituisce intercettazione ai sensi degli artt. 266 e ss. c.p.p., in quanto la documentazione delle comunicazioni svoltesi su una chat estratte, anche senza l’autorizzazione degli altri utenti, a mezzo screenshot da parte di uno dei soggetti che sia ammesso ad assistervi – dunque legittimato a parteciparvi attivamente o anche ad assistere passivamente – costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore o l’autorità giudiziaria può disporre legittimamente, a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p.

La Cassazione con la pronuncia del 2022 sopra citata (Cass. Pen. n. 24600/2022[4]) rilevava infatti come non sia riconducibile alla nozione di intercettazione la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, operata, sebbene clandestinamente, da un soggetto che ne sia partecipe o, comunque, sia ammesso ad assistervi, costituendo, invece, una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova (Sez. 1, n. 6339 del 22/01/2013, Pagliaro, Rv. 254814 – 01).

Ciò in quanto le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e ss. c.p.p. consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici tali da vanificare le tutele poste a protezione del suo carattere riservato.

Sulla base della giurisprudenza citata deriva dunque che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia invece partecipe – o comunque sia ammesso ad assistervi – non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa (Sez. Un., n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225465).

 

 

 

 

 


[1] In tal senso Sez. 5, n. 12062 del 05/02/2021, Rv. 280758-01; Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019, dep. 2020, Rv. 278635. Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019 – dep. 02/03/2020, Rv. 278635. Secondo la giurisprudenza citata: “non è imposto alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza soltanto per il suo oggetto, costituito appunto da uno schermo» sul quale sia visibile un testo o un’immagine «non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto”. Ancora, l’orientamento più recente della giurisprudenza conferma che è legittima l’acquisizione come documento di una conversazione via Whatsapp o sms, realizzata dalla persona offesa mediante fotografia istantanea dello schermo – screenshot – di un dispositivo elettronico sul quale la stessa è visibile, senza che occorra procedere all’acquisizione e alla verifica tecnica del supporto telematico o figurativo contenente la relativa registrazione, tenuto conto – come nel caso in esame – della credibilità della persona offesa e della complessiva attendibilità delle sue dichiarazioni accusatorie in merito alla provenienza e al contenuto dei messaggi. Ancora, Cass. Pen. n. 24600/2022, per cui lo screenshot è prova, considerato che “sono da ritenersi pienamente utilizzabili, in quanto legittima ne è l’acquisizione come documento, i messaggi sms fotografati dallo schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili in quanto non è imposto alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza soltanto per il suo oggetto, costituito appunto da uno schermo sul quale sia visibile un testo o un’immagine”. Il contenuto della conversazione, verbale o scritta che sia, può essere resa disponibile quale mezzo di prova, in forma documentale a mezzo di screenshot, anche da uno dei conversanti senza autorizzazione o all’insaputa degli altri conversanti. Rif. su https://canestrinilex.com/risorse/screenshot-e-prova-cass-2460022.
[2] Rif. G. Gioia, Il valore probatorio dello screenshot tra processo civile e processo penale, Giurisprudenza Italiana, n. 12/2023, p. 2623, 2024; Rif. su “Come inchiodare e punire uno stalker”, laleggepertutti.it, 2024.
[3] Cass. Sent. n. 8736/2018 – visionabile qui: https://www.medialaws.eu/wp-content/uploads/2018/05/fotogramma-.pdf. I Giudici di legittimità in tale occasione chiarirono che: “…I dati di carattere informatico contenuti nel computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano tra le prove documentali e l’estrazione dei dati è una operazione meramente meccanica, sicché non deve essere assistita da particolari garanzie … la possibilità di acquisire un documento e di porlo a fondamento della decisione prescinde dal fatto che provenga da un pubblico ufficiale o sia stato autenticato … Qualunque documento legittimamente acquisito è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice ed ha valore probatorio, pur se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto”.
[4] Rif. nota n. 1 ultima parte.

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Sofia Giancone

Avvocato del Foro di Roma / Dottoranda di ricerca in Diritto Privato - Università di Roma "Tor Vergata"

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