La categoria del contratto d’impresa nel diritto italo-europeo. Il modello della subfornitura
Il recente dibattito sull’autonomia contrattuale ha configurato un nuovo indirizzo settoriale: si fa riferimento alla “autonomia contrattuale d’impresa”. Lungi dall’essere considerata una operazione concettuale meramente descrittiva, questo nuovo indirizzo interpretativo intende considerare i “contratti d’impresa” come disciplinati da regole differenti rispetto a quelle cui sono assoggettati gli altri contratti di natura generale[1].
La dottrina civilistica tradizionale ritiene che l’autonomia contrattuale d’impresa, possa sì palesare specificità rispetto alla disciplina generale del contratto, tuttavia insiste per una nozione unitaria[2].
Peraltro la dicotomia tra autonomia contrattuale privata e quella d’impresa venne meno con il Codice Civile del 1942, che determinò l’unificazione della disciplina generale con quella “mercatoria” con la c.d. “commercializzazione del diritto privato”, diretto ad attribuire al contratto anche la funzione di veicolare gli interessi dell’emergente impresa[3].
L’avvento del diritto comunitario ha delineato, per ragioni differenti, due modelli di contratto “europeo”[4]: il contratto del consumatore (anche detto “secondo contratto” ovvero contratto “business to consumer”, per distinguerlo dal “contratto di diritto comune” la cui disciplina è contenuta nel Codice Civile del 1942) ed il c.d. “terzo contratto” di elaborazione squisitamente dottrinaria, che costituirebbe una variante del primo nei rapporti “business to business”[5]. Il nomen iuris di terzo contratto, com’è noto, è stato coniato da Roberto Pardolesi che descrive la figura come la “terra di mezzo”, il tertium genus della contrattazione[6]. Di diverso avviso è invece altra dottrina, la quale sostiene che non vi siano, allo stato, indici significativi della presenza, nel nostro ordinamento, di una disciplina dotata di specialità avuto riguardo ai contratti d’impresa o al terzo contratto ut supra, pur riconoscendo la rilevanza particolare che connota determinate discipline, quali la subfornitura o quella relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in alcuni settori del mercato[7]. Una ulteriore opzione dottrinaria nega che il “terzo contratto” possa assurgere a categoria autonoma, ritenendo preferibile l’elaborazione della fattispecie di “contratto asimmetrico”[8].
Il legislatore italo-comunitario ha proiettato, dunque, accanto ai contratti del consumo, quelli intercorrenti tra parti contrattuali aventi la medesima qualità di imprenditore, non già in una normativa omogenea ad hoc, bensì in un insieme di normative di settore (si pensi alla disciplina della subfornitura, del franchising, del “contratto di rete”, del contratto di agenzia, et coetera), caratterizzate dalla necessità di prevenire, analogamente ai contratti business to consumer, situazioni di squilibrio contrattuale tra i contraenti, non per fini personalistici, ma nel caso di specie, per garantire l’efficienza dei mercati. Quanto detto rivela l’obiettivo perseguito a livello europeo di contrastare tutte quelle circostanze che potrebbero dare la stura alla figura perniciosa del c.d. “fallimento del mercato”, che incide negativamente sugli interessi dei market players e minaccia lato sensu la giustizia e le relazioni fra imprese[9].
Il c.d. terzo contratto, così come prospettato dai suoi fautori, risponde, perciò, pur sempre ad esigenze di mercato, poiché la valutazione in merito allo squilibrio contrattuale non è costituito dal parametro della buona fede, come nel contratto del consumatore, bensì dalle prassi commerciali e, pertanto, dal mercato stesso[10].
Diretta a perseguire l’efficienza del mercato è la disciplina della subfornitura, alla quale è attribuita, come spesso accade per le normative di settore, una chiara matrice comunitaria. La Commissione europea, infatti, percepì la necessità di predisporre adeguate misure di tutela delle piccole e medie imprese, nell’ambito della fattispecie contrattuale di cui si discorre, già nel 1978. Tale intento venne confermato sia con la pubblicazione di una guida che proponeva agli operatori del settore norme e convenzioni per l’edificazione di partnership solide, sia da una Comunicazione del 23 gennaio 1992 intitolata “Verso un mercato europeo della subfornitura”[11].
La disciplina in materia si è concretizzata con la legge 18 giugno 1998, n. 192 che regolamenta la subfornitura nelle attività produttive e introduce radicali innovazioni nei contratti conclusi tra committenti e “subfornitori”. Questo intervento normativo non recepisce, almeno formalmente, alcuna direttiva comunitaria, la cui ratio però trova le proprie origini “in sensibilità coltivate e in iniziative sviluppate a livello europeo – sia sul fronte delle istituzioni comunitarie, sia su quelle delle legislazioni nazionali”[12].
Vi è un rapporto di subfornitura, ai sensi della l. n. 192/1998, quando: a) un’impresa effettua per conto di un’altra impresa (definita committente) lavorazioni su semilavorati o materie prime fornite dal committente (“lavorazioni”); b) un’impresa fornisce ad un’altra impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso (“forniture”). La disciplina della subfornitura prevede appositi rimedi per la tutela del contraente “subfornitore”: a) prescrizione della forma scritta del contratto sanzionata con la nullità dello stesso in caso di violazione; b) il subfornitore ha diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate ed al risarcimento delle spese già sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto, in caso di violazione dei requisiti di forma. Tale ultima previsione configura una rilevante deroga al regime tradizionale dell’invalidità, poiché, invece di operare ex tunc, rimuovendo ab initio ogni effetto del contratto, agisce ex nunc, con contestuale attribuzione al subfornitore del diritto al corrispettivo per le prestazioni eseguite[13]. La rigidità della disciplina della subfornitura si evince altresì dall’art. 6 della l. n. 192/1998 secondo cui sono nulle le clausole che: a) riservano ad una parte la facoltà di modificare unilateralmente il contratto; b) attribuiscono ad una parte del contratto ad esecuzione continuata o periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso; c) dispongono a favore del committente, senza congruo corrispettivo, diritti di proprietà industriale (brevetti, modelli, marchi) od intellettuale (diritti d’autore).
La normativa in commento rileva anche per una ulteriore specificità: il divieto di abuso di dipendenza economica previsto dall’art. 9. Tale circostanza si manifesta qualora dal contratto scaturisca a favore di una impresa la possibilità di esercitare il proprio potere contrattuale per imporre alla controparte un “eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi” a proprio vantaggio. Cosa debba intendersi per “eccessivo squilibrio” non è dato saperlo in ragione dell’assenza di una norma diretta a colorare di contenuto tale espressione. Nel silenzio della legge non resta che affidarsi alla quotidiana attività del giudice per l’accertamento, caso per caso, di eventuali requisiti in merito.
[1] G. ALPA, “Diritto privato europeo”, 522.
[2] P. RESCIGNO, “Appunti sull’autonomia negoziale”, in Giur. It., 1978, 116.
[3] V.FERRARI-P. LAGHI, “Diritto europeo dei contratti”, 64.
[4] S. MAZZAMUTO, “Il contratto europeo nel tempo della crisi”, in Europa e diritto privato, 2010, n.3, 602.
[5] AA.VV., “Il terzo contratto”, a cura di G. GITTI-M. VILLA, 16.
[6] M.L.CHIARELLA, “Contrattazione asimmetrica”, 116.; R.PARDOLESI, “Prefazione” a G.COLANGELO, “L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti”, XI ss.
[7] R.ALESSI, “La disciplina generale del contratto”, 127.
[8] V.ROPPO, “Il contratto del duemila”.
[9] M.L.CHIARELLA, Op. cit., 120.
[10] S.MAZZAMUTO, Op. cit., 604.
[11] C.CASTRONOVO-S.MAZZAMUTO, “Manuale di diritto privato europeo”, Vol. II, 1061.
[12] Così V.ROPPO, “Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto?”, in Politica del diritto, 2007, 455.
[13] V.FERRARI-P.LAGHI, Op. cit., 214.
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