La causa del contratto: elaborazioni dottrinali e applicazioni giurisprudenziali
Il tema della causa del contratto è oggetto di acceso e costante dibattito dottrinale nonché di copiosa applicazione giurisprudenziale, riproponendosi con continuità per la sua celata problematicità sia dal punto di vista contenutistico che da quello definitorio[1].
Le difficoltà e le insidie che il giurista deve affrontare nel tentativo di elaborare una convincente disamina dell’istituto sul piano del diritto vigente, risultano quantomai attuali nel celebre giudizio di Bonfante il quale affermava che: “esso costituisce il problema più discusso e più indecifrabile della dottrina moderna del diritto, il campo preferito delle elucubrazioni metafisiche e della psicologia giuridica. Non sono mancati autori in cui si è fatto strada il pensiero che esigere un simile requisito sia come parlare del quarto lato del triangolo”[2]. Pertanto, in dottrina si è avvalorata l’idea che le elaborazioni dottrinali sull’argomento conducano inevitabilmente a un difficile “intrico”[3], a insondabili “misteri”[4], col rischio che tutto si risolva in sterili “beghe di professori”[5].
Mettere a confronto la dottrina che si è a vario titolo occupata del tema è certamente operazione non semplice in ragione delle disparità che si riscontrano tra gli autori fin già dalla impostazione generale adottata sull’argomento[6].
Sotto il vigore del codice civile del 1865, gli orientamenti dottrinali prevalenti, in ossequio alla migliore tradizione liberale, riconoscevano vincolatività giuridica soltanto agli accordi che fossero espressione della fedele e reale volontà delle parti; la dottrina valutava il contratto come fonte di obbligazioni sì da riferire la causa all’obbligazione e identificarla, in termini c.d. “soggettivi”, nelle finalità che inducono il soggetto alla conclusione del contratto[7] e non già allo schema contrattuale unitario[8]. Tale orientamento determinava sostanzialmente la coincidenza della causa del contratto con il “motivo” che aveva indotto le parti ad obbligarsi vicendevolmente[9].
La promulgazione del codice civile del 1942 determinò una nuova configurazione dell’istituto ut supra e il superamento delle concezioni soggettivistiche di impronta liberale.
Il codice civile vigente, nel corpo di disposizioni dedicate alla causa, non fornisce di essa definizione alcuna. È sancito, infatti, che la causa è uno dei requisiti essenziali del contratto (art. 1325 c.c., n. 2), la cui mancanza o illiceità genera la nullità ex art. 1418 c.c. L’art. 1343 c.c. dispone, inoltre, che la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume ovvero qualora il contratto costituisca il mezzo per eludere l’applicazione di norme imperative, ai sensi dell’art. 1344 c.c.[10].
Nel silenzio del codice, ha in qualche modo orientato gli interpreti nella elaborazione circa il concetto di causa, la formula suggerita dalla Relazione al codice civile n. 613[11]; la causa viene definita come “…la funzione economico- sociale che il diritto riconosce rilevante ai suoi fini e che sola giustifica la tutela dell’autonomia privata. Funzione pertanto che deve essere non soltanto conforme ai precetti di legge, all’ordine pubblico e al buon costume, ma anche, per i riflessi diffusi dall’art. 1322, co.2, rispondente alla necessità che il fine intrinseco del contratto sia socialmente apprezzabile e come tale meritevole della tutela giuridica”. In tal senso la funzione del negozio è stata costantemente concepita in astratto e in via generale nel suo rinvio ai “tipi” contrattuali (locazione, compravendita et coetera) prescindendo da ogni riferimento agli interessi e agli intenti sottesi ad una determinata vicenda concreta e specifica così come prefigurata dalle parti[12]. Muovendo dalla collocazione assegnata dal codice vigente alla causa come requisito essenziale di validità del negozio (art. 1325 c.c.), ne deriva che essa non è più riferita all’obbligazione, ma direttamente allo schema contrattuale, potendo acquisire quindi una fisionomia unitaria e oggettiva, cui l’ordinamento determina il suo contenuto essenziale[13]. Infatti, la “funzione economico sociale” costituisce la sintesi degli elementi essenziali astrattamente predeterminati dal legislatore[14].
La causa, intesa come funzione economico-sociale del contratto, assume dunque una connotazione decisamente oggettiva che ha messo in luce anche le differenze esistenti tra essa e i motivi in ragione dei quali le parti hanno concluso l’accordo. A tal proposito si segnalano, in particolare, due sentenze della Suprema Corte: nella prima è precisato che “il motivo di un negozio giuridico assume rilevanza quando si inserisca nella struttura negoziale come una specifica, anche se non esplicita, condizione di efficacia del negozio medesimo”[15]. Nella seconda si aggiunge che “l’intento pratico perseguito da ciascun contraente rappresenta un motivo o impulso interno, di carattere squisitamente subiettivo ed estraneo al congegno negoziale. Esso può fornire argomento per meglio determinare il volere di ciascun contraente e ricavarne quindi un sussidio nell’interpretazione dei fatti; ma, una volta determinata e puntualizzata la comune volontà, ogni altra indagine sullo scopo concreto del negozio diventa frustranea ed ininfluente”[16].
Ricondurre la causa alla funzione economico-sociale ha consentito di mettere in rilievo gli interessi sostanziati nel contratto in quanto riconosciuti e protetti da parte dell’ordinamento; tuttavia, come è stato osservato, tale ricostruzione conduce alla identificazione della causa col tipo contrattuale cioè con “l’astratto schema regolamentare che racchiude l’operazione posta in essere dai privati”[17]. Al riguardo, si è puntualizzato che “i contratti tipici, proprio perché previsti e disciplinati dalla legge, hanno tutti una causa (cosiddetta causa tipica) e per essi non si pone il problema, già risolto positivamente dalla legge, di accertare la ricorrenza o no di una funzione economico-sociale”[18]. Quanto prospettato, porterebbe ad affermare che i contratti “tipici” abbiano necessariamente causa lecita; i sostenitori di tale indirizzo hanno allora ovviato a questa ipotesi distinguendo uno schema contrattuale “astratto” (cioè il tipo contrattuale, la causa come funzione economico-sociale) e la “causa concreta” (cioè il concreto interesse perseguito mediante il contratto)[19]. Una cosa è, infatti, “il modello astratto, altra la concreta realizzabilità del modello: sotto il primo aspetto, se si tratta di contratto tipico, non può porsi un problema di mancanza di causa; lo si può porre, invece, sotto il secondo aspetto”[20].
La dottrina che ha contestato l’indirizzo economico-sociale della causa, ha preferito discorrere, con formula antinomica, di funzione economico-individuale della stessa[21], avuto riguardo alle specifiche finalità della concreta operazione negoziale con riferimento ad ogni elemento individualizzante o atipico di essa[22]. Pertanto, la più matura riflessione sulla causa del contratto, si è discostata da quella offerta dalla Relazione al codice, abbracciando la tesi che la causa non possa prescindere dal “concreto assetto di interessi” voluto e obiettivato dalle parti[23].
La dottrina più attenta ha tenuto a precisare che la netta contrapposizione di tali orientamenti può rivelarsi non del tutto giustificata o frutto di qualche fraintendimento; infatti, la teoria bettiana sulla funzione economico-sociale non mira a dare rilevanza a obiettivi superindividuali lato sensu, dovendosi parametrare con esigenze di rilevanza sociale[24].
Sulla base di quanto detto, l’evocazione della funzione economico-sociale della causa, non implica in modo assoluto “il perseguimento (necessario) di obiettivi e ragioni d’indole generale e superindividuale, con conseguente astrazione dagli interessi particolari in casu, ma solo l’esigenza che la valutazione causale, imperniata sull’analisi della singola concreta vicenda, possa compiersi alla stregua di valori e criteri presenti nel contesto sociale ed economico”[25].
La concezione della “causa in concreto”, piuttosto, attribuisce risalto agli interessi trasfusi dalle parti nel regolamento contrattuale in concreto configurato[26]. In tal senso una delle più significative pronunce sul tema è rappresentato dal seguente passo della sentenza della Cassazione del 8 maggio 2006, n. 10490: “Si elabori una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d’altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale”[27].
La formula “causa concreta” esibisce, come è stato osservato dalla dottrina, un successo quantitativo, di “fatturato”[28] delle categorie legali; essa compare in modo sempre più pervasivo in moltissime sentenze di merito e di legittimità. Ed è considerata in tal proposito una conquista rilevante dell’evoluzione giurisprudenziale, tanto da indurre le stesse sezioni unite della Cassazione a esibirla come un “fiore all’occhiello” anche in contesti nei quali il suo richiamo non appare particolarmente necessario ai fini della decisione[29].
Di recente, si è diffusa in Italia la dottrina “anticausalista”, derivante anzitutto dall’esigenza di adeguarci al livello europeo[30]. Infatti, i progetti di regolamentazione del contratto elaborati da varie commissioni di studio istituite in sede europea, e in particolare dalla Commissione Lando e dalla Commissione Gandolfi, hanno considerato inutile un tale elemento, come aveva ampiamente dimostrato l’esperienza del diritto tedesco, che aveva fatto a meno della causa del contratto senza pregiudizio per la giusta regolamentazione del commercio giuridico[31]. Inoltre, l’inclusione della causa tra gli elementi del contratto andava evitata per l’incertezza gravante su tale figura, sulla quale ancora ferve il dibattito relativamente al suo carattere oggettivo o soggettivo, se debba essere riferita al contratto o all’obbligazione, et coetera. Un’altra argomentazione ha fatto leva sull’esigenza di semplificazione e certezza dei rapporti contrattuali, tanto cari al processo legislativo europeo e, in particolare, sull’esigenza di evitare che la validità dei contratti possa essere inficiata dalla mancanza della causa ancorché le parti abbiano concluso l’accordo su un lecito contenuto negoziale[32].
[1] F. ALCARO, Causa del contratto. Evoluzioni interpretative e indagini applicative, Giuffrè Editore, Milano 2016, cit., p. 1.
[2] T. DALLA MASSARA, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica, CEDAM, Padova 2004, cit., p. 1 ss; P. BONFANTE, Il contratto e la causa del contratto, in Riv. Dir. Comm., 6, 1908, I, cit., p. 115.
[3] T. DALLA MASSARA, Op. cit., p. 2; G. B. FERRI, Ancora in tema di meritevolezza dell’interesse, in Riv. Dir. Comm., 1979, I, cit., p.1 ss.
[4] T. DALLA MASSARA, Ibidem; l’immagine è richiamata da P. G. MONATERI, L’accordo nudo, in Scintillae iuris. Studi in memoria di G. GORLA, III, Milano, 1994, 1976, nt. 42.
[5] T. DALLA MASSARA, Ibidem; E. REDENTI, La causa del contratto secondo il nostro codice, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1950, cit., p. 894.
[6] T. DALLA MASSARA, Op. cit., p. 7.
[7] P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Quinta Ed., 2005, cit., p. 372.
[8] V. FERRARI-P. LAGHI, Diritto europeo dei contratti, Giuffrè, 2012, cit., p. 128 ss.
[9] F. FERRARA, Teoria dei contratti, Napoli, 1940.
[10] E. PAOLINI, La causa del contratto, I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, Collana diretta da Francesco Galgano, CEDAM, Padova 1999, cit., p. 1.
[11] R. ALESSI, La disciplina generale del contratto, Giappichelli, Torino 2015, cit., p. 302 ss.
[12] F. ALCARO, Op. cit., p. 2.
[13] V. FERRARI-P. LAGHI, Op.cit., p. 129; V. ROPPO, Voce Contratto, in Dig. It.-sez. priv., Torino, 2006, cit., p. 90.
[14] E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1952.
[15] Cass. 15-11-1967, n. 2678; E. PAOLINI, Op. cit., p. 43.
[16] Cass. 7-4-1970, n. 957; E. PAOLINI, Ibidem.
[17] P. PERLINGIERI, Op. cit., p. 374.
[18] F. GALGANO, Il diritto privato fra codice e costituzione, Bologna 1983, cit., p. 171.
[19] Ibidem.
[20] F. GALGANO, Della nullità del contratto, in Comm. Del c.c. Scialoja-Branca, 1998, cit., p. 98.
[21] G. B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966.
[22] F. ALCARO, Op. cit., p. 2.
[23] R. ALESSI, Op. cit., p. 304.
[24] F. ALCARO, Op. cit., p. 3
[25] Ibidem.
[26] R. ALESSI, Op. cit., p. 304.
[27] Ibidem.
[28] V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. Dir. Civ., 4 / 2013, cit., p. 10957 ss.
[29] Ibidem.
[30] C. M. BIANCA, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. Dir. Civ., 2 / 2014, cit., p. 10251 ss.
[31] C. CASTRONOVO, in Principi di diritto europeo e dei contratti, Parte I e II (a cura del medesimo), Milano 2001, p. XXV, sostiene che la scelta della Commissione Lando sia stata resa possibile dall’atteggiamento negativo verso la causa manifestatosi nei Paesi di Civil Law.
[32] C. M. BIANCA, Op. cit.
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