La causa di esclusione della punibilità e il ripristino alla legalità
La causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. persegue finalità connesse ai principi di proporzionalità della pena ed extrema ratio, avendo altresì lo scopo deflattivo di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non necessitano dell’intervento penale.
La ratio legis sottesa tende alla previsione di un istituto caratterizzato da criteri di tenuità riguardanti il fatto nella sua manifestazione oggettiva, e deve considerarsi impermeabile al condizionamento di interessi esterni.
A tal riguardo, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, e verte sulle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da essa desumibile e dall’entità del danno o del pericolo (giudizio parametrato ai sensi dell’art. 133 comma 1 c.p.).
Costante orientamento nomofilattico in materia ribadisce, al riguardo, che: “Nell’interpretazione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi sulla relativa richiesta, è tenuto a fornire adeguata motivazione del suo convincimento, frutto della valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta” (da ultimo Cassazione penale sez. VI, 29/03/2022, dep. 09/05/2022, n.18332).
Per il riconoscimento della causa di non punibilità, quindi, devono essere valutate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo, ed altresì il carattere non abituale della condotta (Sez. 4, n. 48758 del 15/07/2016, dep. 17/11/2016, Giustolisi, Rv. 268258).
La normativa deve considerarsi sussunta, dunque, qualora siano soddisfatti gli unici due requisiti (indici) ivi predisposti: la tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
In riferimento al primo requisito (particolare tenuità dell’offesa) la valutazione deve fondarsi sulla modalità della condotta e sull’esiguo danno o pericolo discendente ai sensi dell’art. 133 comma 1 c.p., così come espressamente indicato dalla norma.
In relazione al secondo requisito (la non abitualità del comportamento), invece, la valutazione è demandata alla discrezionalità del giudice in relazione al caso concreto.
Infine, per riempire di contenuto il concetto di “comportamento abituale”, la dottrina ritiene di dover definire tale il comportamento di colui che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole.
Appare appena il caso di specificare, riportando il consolidato orientamento giurisprudenziale, che si definiscono reati della “medesima indole” “ai sensi dell’art. 101 cod. pen., quelli che violano una medesima disposizione di legge e anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni.”( Cass. pen. sez. III, 10/05/2019, n.38009).
In relazione ai limiti applicativi, la disposizione legislativa ne riconosce l’applicabilità ai soli reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta, alla predetta.
Di recente, il Governo delegato ha modificato la disposizione ivi in analisi a seguito della dichiarazione di incostituzionalità n. 156 del 21 luglio 2020. Con tale pronuncia la Corte Costituzionale ha ritenuto parzialmente incostituzionale l’art. 131 bis c.p. “nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva”.
Con il decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022 (c.d. “Riforma Cartabia”) la fattispecie penale è stata modificata in conformità alla pronuncia di incostituzionalità. Il testo così mutato recita: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
In questo modo, è stata sanata l’intrinseca irragionevolezza della preclusione dell’applicazione dell’esimente della particolare tenuità del fatto per i reati che lo stesso legislatore, attraverso l’omessa previsione di un minimo di pena detentiva e la conseguente operatività del minimo assoluto di cui all’art. 23, primo comma, c.p., ha mostrato di valutare in termini di potenziale minima offensività.
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Giuliana Aprile
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