La causa esterna tra funzione solutoria e debito di riconoscenza

La causa esterna tra funzione solutoria e debito di riconoscenza

È noto che in base all’art. 1325 del Codice Civile tutti i negozi giuridici debbano avere una causa in grado di giustificare validamente i trasferimenti di diritti patrimoniali. Non  sempre risulta agevole l’individuazione della suddetta ragione giustificatrice. Questo accade perché alcuni negozi presentano una causa esterna, da ricercare in un rapporto pregresso avente ad oggetto un “obbligo di dare”, inteso come obbligo di trasferire la proprietà attraverso un atto consensuale. L’atto in questione viene, dunque, in rilievo come “negozio di attribuzione patrimoniale” ed è denominato “adempimento traslativo” per la sua tipica funzione solutoria.

I caratteri dell’ adempimento traslativo risultano, però, ancora incerti. La sua funzione “solutoria” porterebbe a ritenere che si tratti di “atto dovuto” in cui la volontà privata non assume alcuna rilevanza. Se così fosse, anche soggetti incapaci d’intendere e di volere potrebbero porlo validamente in essere, mentre sarebbe da escludere l’assoggettamento all’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.. Può, nondimeno, osservarsi che l’operazione è realizzata “animo solvendi”, con un quoziente volitivo non trascurabile.

Allo stesso modo, non si può dire con certezza che l’ adempimento traslativo configuri un “negozio giuridico” perché la causa è “neutrale”, esterna ad esso e ciò rende se non altro dubbia tale qualificazione. In questo senso sembra essersi, invece, orientata la giurisprudenza della Cassazione (in particolare Cassaz. Sez. Civile sent. n. 9500/1987), che ha ricondotto l’adempimento traslativo ai contratti con obbligazioni del solo proponente ex art. 1333 c.c.

Fatto sta che nei “negozi” di attribuzione patrimoniale con causa esterna, vi è deroga al principio consensualistico ex. art. 1376 c.c. all’insegna del quale la vicenda traslativa deve scaturire immediatamente da un contratto “ad effetti reali”. Per questo motivo nella compravendita, l’acquirente è già proprietario al momento dell’accordo anche se la cosa non gli sia stata ancora consegnata. La consegna del bene, infatti, è un mero obbligo esecutivo (atto reale) e non ha nulla a che vedere con gli adempimenti traslativi. Allo stesso modo, l’obbligo di far acquistare la proprietà nelle cosiddette  “vendite obbligatorie” è meramente strumentale all’effetto traslativo, conseguenza del consenso legittimamente manifestato. Se, dunque, il principio consensualistico costituisce la regola nel nostro ordinamento (che si ispira al modello francese), in altri sistemi si opta maggiormente per il modello di stampo romanistico ispirato alla separazione tra “titulus e modus adquirendi”. Ne è prova il diritto britannico (in questo molto più fedele al diritto romano) in cui il trasferimento del diritto consegue all’adempimento di un’obbligazione traslativa da parte del venditore per il tramite di uno specifico impegno formalizzato nel “conveyancing deed” (dal verbo “to conveyance” che significa “trasportare” e che deriva dal latino “via” e dal francese “convoyer”). Analogamente, nell’ordinamento tedesco assume valenza decisiva la trascrizione a cui è riconosciuta valenza diversa dalla funzione tipica che il medesimo istituto assume nel nostro ordinamento.

Negli atti inter vivos, pertanto, la causa esterna si rinviene specialmente nel mandato senza rappresentanza avente ad oggetto beni immobili (art. 1706 c.c.), nei doveri morali o sociali da cui scaturiscono obbligazioni naturali (art. 2034 c.c.), nelle sentenze di condanna (art. 2058 c.c.), nel contratto di factoring  in cui i singoli atti di cessione di crediti d’impresa rivestono funzione solutoria in ordine ai corrispondenti impegni assunti con il contratto-quadro che, inoltre, attribuisce al “factor” legittimazione a riscuoterli. Negli atti mortis causa, particolare importanza assume il legato di cosa dell’onerato o di un terzo ex. art. 651 c.c..

Non necessariamente, tuttavia, la causa esterna si sostanzia in un “obbligo di dare” ancora insoluto tra le medesime parti. A differenza degli esempi fatti, è possibile individuare altre ipotesi di negozi di attribuzione patrimoniale (pagamenti traslativi) con causa esterna qualora il solvens sia già stato reso destinatario di un trasferimento di diritti patrimoniali e sia mosso da un interesse di riconoscenza nei confronti dell’autore. In questi casi, l’attribuzione è senza corrispettivo perché “è essa stessa il corrispettivo” di un precedente vantaggio già incamerato. Si è, allora, al di fuori della funzione solutoria perché la decisione è in effetti libera e consapevole.

Ricorre questo schema nella donazione rimuneratoria disciplinata dall’art. 770 c.c. come un classico esempio di “liberalità non donativa tipica”. La differenza (molto sottile) con l’adempimento di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c. consiste nel fatto che il donante agisce in via del tutto spontanea sentendosi “in debito di riconoscenza” verso il donatario.

Queste semplici considerazioni potrebbero forse risolvere il problema della natura giuridica dell’atto di conferma di testamenti nulli ex art. 590 c.c. o di donazioni nulle ex art. 799 c.c. su cui non si registrano ancora soluzioni condivise.

L’orientamento dominante ha per lungo tempo sostenuto che ci si trova in presenza di un’eccezione al principio generale per cui i negozi nulli sono insuscettibili di convalida. La conferma sarebbe, perciò, una convalida di un atto nullo eccezionalmente ammessa. Essa verrebbe realizzata, ad esempio, in caso di testamento nullo, dall’ erede testamentario in virtù della norma che attribuisce al solo soggetto che è stato parte di un negozio invalido, il potere di sanarlo.

Secondo altra ricostruzione, la conferma è ben diversa dalla convalida perché si struttura anch’essa come negozio di attribuzione patrimoniale con causa esterna rappresentata dalla volontà del de cuius ed è frutto di una libera scelta esercitata non dall’erede testamentario, ma dall’erede legittimo in favore di quest’ultimo. In mancanza di un valido testamento, infatti, si apre la successione legittima e gli eredi vocati potrebbero avvantaggiare gli istituiti attraverso l’atto di conferma.

Può osservarsi, tuttavia, che la volontà testamentaria si è comunque manifestata attraverso un atto nullo che non potrebbe giustificare l’atto di conferma neanche dall’esterno. Sembra, allora, che gli artt. 590 e 799 c.c. costituiscano esempi di “convalida sui generiseccezionalmente praticabile anche da soggetti del tutto diversi da quelli coinvolti nel testamento o nella donazione.

Diversamente argomentando, nell’atto di conferma potrebbero scorgersi  i presupposti di un “negozio gratuito atipico” avente struttura unilaterale e rifiutabile (secondo quanto previsto dall’art. 1333 c.c.), con causa non più esterna, ma interna perché costituita da un interesse patrimoniale di stampo “reclamistico” del disponente.


BIBLIOGRAFIA GENERALE
GAZZONI F. L’attribuzione patrimoniale mediante conferma, 1974, Milano.
CRISCUOLI G. Il contratto nel diritto inglese. Seconda edizione, 2001, Milano.

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Alessandro Baker

Laureato presso l'Università di Napoli Federico II con 110/110 e lode, praticante avvocato ed ex-tirocinante di giustizia ex. art. 73 D.L. 69/2013 nonché collaboratore presso la cattedra di Diritto Pubblico dell'Economia dell' Università Federico II.

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