La causalità nell’omissione impropria e le concause interruttive

La causalità nell’omissione impropria e le concause interruttive

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il dibattito sull’interpretazione degli artt.40-41 c.p.: le regole della causalità materiale – 3. La causalità nell’omissione impropria: in particolare il settore medico nella giurisprudenza di legittimità

 

 

1. Introduzione

La ricerca della causalità nelle tante condotte penalmente rilevanti non è solo una rappresentazione empirica dei condizionamenti esistenti tra fenomeni naturali.

Essa, invero, lungi dal poter essere affidata a intuizionismi o arbitrarie creazioni soggettive richiede soprattutto di condurre un’indagine circa il grado di certezza con cui l’interprete può affermare che un evento è conseguenza necessaria di un fatto.

Se talvolta l’individuazione del nesso causale non lascia spazio a margini di opinabilità, rispondendo a una legge universale, nella maggior parte dei casi il grado di certezza assume carattere probabilistico, venendo condizionato da una pluralità di fattori ulteriori che possono più o meno incidere sull’accadimento dell’evento.

Ciò in particolare se si considera che la tematica in questione, in tutta la sua difficile decodificazione, si interseca con la “fattispecie omissiva” e con l’elemento della “colpa”, ambiti ove il grado di incertezza e la tendenza alla generalizzazione possono ritenersi parti integranti della loro struttura.

La ricerca di criteri efficaci, connotati da verificabilità empirica, che siano in grado di circostanziare al massimo il caso di specie e allo stesso tempo siano serventi al principio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, diventa una prerogativa per l’accertamento di quegli illeciti particolarmente settoriali e specialistici, come ad esempio la responsabilità medica o gli infortuni nei luoghi di lavoro.

Questi criteri consentono in particolare di verificare la sussistenza o meno di quei fattori causali alternativi che, ai sensi dell’art.41 comma 2 c.p., sono in grado di interrompere la serie causale, escludendo così l’integrazione della fattispecie per mancanza di uno degli elementi costitutivi che compongono la dimensione materiale del reato: il nesso eziologico.

L’intera questione va affrontata ricostruendo il concetto di causalità materiale, che trova il suo “poco esaustivo” referente negli artt.40-41 c.p.

2. Il dibattito sull’interpretazione degli artt.40-41 c.p.: le regole della causalità materiale

Il nesso causale o eziologico rappresenta ben più di un collegamento tra un fatto e un evento la cui individuazione è lasciata all’opinabile apprezzamento del giudice, come in passato si riteneva.

Grazie alla dottrina più eminente, invero, il nesso causale entra a far parte della condotta tipica quale elemento costitutivo e, poiché esso funge a spiegare la riconducibilità di un evento a una delle tante condizioni pregresse, deve essere ancorato a una regola nomologica, c.d. legge scientifica di copertura, che lo riesca a spiegare in termini di certezza.

La legge scientifica, di cui il giudice si serve senza poterla creare, rappresenta la garanzia mirata a conciliare l’accertamento del nesso eziologico ai principi di legalità e tassatività.

Talché, in virtù della scarna regola condizionalistica contenuta nell’art.41 comma 1 c.p. si può asserire che una condotta è causa dell’evento quando essa rappresenta la conditio sine qua non, ovvero quando eliminando mentalmente la condotta, l’evento non si sarebbe verificato, con la prerogativa che tale conditio deve essere ricondotta sotto una regola scientifica.

Questo meccanismo è definito giudizio controfattuale e viene condotto dal giudice ex post.

È pur vero che la regola condizionalistica pura è andata incontro a significative attenuazioni ad opera di una parte della dottrina, in particolare mediante il ricorso alla c.d. “teoria dell’aumento del rischio”.

Questa regola, non del tutto ripudiata dalla giurisprudenza, afferma che la condotta può dirsi causa dell’evento quando essa ha incrementato, anche di poco, il rischio di verificazione dello stesso.

La valutazione che il giudice dovrebbe condurre in forza della regola testé enunciata è una valutazione ex ante, eccessivamente ancorata a quelle generalizzazioni del senso comune che la teoria condizionalistica ha progressivamente ridotto in favore di un accertamento causale hit et nunc.

Posta per assodata nella giurisprudenza maggioritaria, già a partire dagli anni ’70, la sussumibilità del nesso causale sotto una legge condizionalistica, il problema maggiore attiene semmai ai criteri di accertamento, di cui però nulla si dice in seno al codice.

La ragione, come già affermato, risiede nel fatto che una legge, pur scientifica, rimarrebbe espressione  un’astratta generalizzazione del senso comune, se non si accompagna a una regola che hit et nunc descriva in termini di massimo rigore il nesso causale.

La ragione risiede nel fatto, più che evidente da un punto di vista naturalistico, che un certo evento può essere scientificamente riconducibile a una pluralità di condizioni, gran parte delle quali esulano dalla cognizione del giudice, egli dovendo dare per presupposto ciò che nemmeno la scienza sarebbe in grado di spiegare.

Pertanto, nell’alveo delle varie condizioni possibili, inizia a farsi strada l’esigenza che, fermo il giudizio controfattuale, il giudice deve isolare solo quegli aspetti rilevanti in grado di descrivere di nuovo il caso concreto.

L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale degli anni a seguire, mossa da un’esigenza sempre più incalzante di spiegare in termini di certezza l’evento hit et nunc, si è essenzialmente divisa su due fronti, la cui ultima composizione è figlia della celeberrima “sentenza Franzese” delle Sezioni Unite del 2002.

La due contrapposte tesi, superate entrambe dalle Sezioni Unite 2002, si interrogavano, proprio sul grado di rigore probabilistico da attribuire al nesso causale già sussunto sotto una legge scientifica.

Da un lato vi era chi, richiedendo il massimo rigore di certezza inferenziale, individuava un grado di probabilità statistica elevatissimo, vicino a 100; dall’altro lato, numerose sentenze, anche peccando per difetto, si accontentavano di un grado di probabilità inferiore al 50 per cento.

Cosicché, mentre la prima posizione si atteggiava in termini di favor rei, la seconda toccava punte di elevato pregiudizio tutte le volte in cui si perveniva all’imputazione del fatto illecito nonostante elevate probabilità di esclusione del nesso causale.

Al di là di tutto, ciò che accomuna la due posizioni, oltre al criterio controfattuale, è la verificabilità della sola probabilità statistica che, si per sé sola, continua a peccare di generalizzazione, astrattezza e si pone ex ante rispetto al fatto storico.

Per superare questa carenza, le Sezioni Unite del 2002, allo scopo di individualizzare al massimo l’accertamento e allo stesso tempo garantire un rigore processuale elevatissimo, “oltre ogni ragionevole dubbio”, hanno elaborato un nuovo criterio di accertamento condizionalistico del nesso, fondato sulla combinazione del “criterio della probabilità statistica” e il “criterio della probabilità logica”.

Quest’ultimo rappresenterebbe dunque il tassello mancante capace di focalizzare l’evento hit et nunc nel mare magnum delle generalizzazioni astratte.

Invero, afferma il Supremo Consesso, affinché possa dirsi sussistente un nesso eziologico tra la condotta e l’evento, oltre ogni ragionevole dubbio, non basta soltanto accertare la percentuale statistica di riconducibilità dello stesso sotto una legge scientifica, ma è altresì necessario che sia accertata in concreto l’assenza di fattori causali alternativi.

Ciò comporta che una bassa percentuale statistica di verificazione dell’evento potrà ritenersi sufficiente quando si possa escludere con certezza che vi siano state condizioni alternative a cui l’evento possa ricondursi; del pari non si avrà un nesso causale quando, nonostante una percentuale di condizionamento elevata, siano presenti cause alternative a cui imputare l’evento.

L’insegnamento impartito dal giudice di legittimità impone che i fattori causali alternativi devono essere accertati dal giudice sulla base delle risultanze probatorie in modo tale da pervenire a un giudizio di elevata “probabilità logica o credibilità razionale”.

3. La causalità nell’omissione impropria: in particolare il settore medico nella giurisprudenza di legittimità

Se quanto sin qui delineato si riferisce alla classica condotta attiva o “commissiva”, è altrettanto opportuno verificare l’applicabilità dei suddetti criteri di accertamento causale alla condotta “omissiva”, specificamente alla condotta definita “commissiva mediante omissione” o “impropria”.

Se non per altro, per il fatto che l’efficace criterio della probabilità logica è stato elaborato e applicato in “Franzese” proprio con riferimento alla condotta omissiva nell’attività medico sanitaria.

Il reato omissivo improprio rappresenta il frutto storico di quelle istanze solidaristiche recepite dal Codice Rocco del 1930 che, dapprima, si sono imposte al remoto sistema liberale improntato sul divieto ed eccezionalmente sul comando, e in fine sono culminate nell’art.2 della Costituzione.

L’omissione trova il proprio referente normativo nell’art.40 cpv c.p., il quale mediante una “clausola di equivalenza” sancisce il principio secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.

Ciò comporta che il reato omissivo è una fattispecie autonoma, frutto della combinata lettura tra la clausola di equivalenza e un reato di parte speciale, il quale deve necessariamente caratterizzarsi per la presenza di un evento e che lo stesso non sia a forma vincolata.

Affinché si possa parlare di reato omissivo è necessario delimitare il concetto di “obbligo giuridico di impedire l’evento”, stante l’esistenza nel nostro ordinamento costituzionale del principio di libertà personale, il quale impedirebbe di attribuire a chiunque un siffatto aggravio.

Per obbligo giuridico si intende quindi l’esistenza di una posizione di garanzia, ovvero di controllo, il cui fondamento deve essere rinvenuto nella legge o nel contratto.

Al fondamento normativo, necessario ma non sufficiente, si aggiunge la circostanza che la posizione di garanzia, facente capo al soggetto cui è affidata la protezione di un bene giuridico cui il titolare non è in grado di provvedere, deve essere seguita dall’effettivo affidamento e presa in carico del bene medesimo.

Si ritiene ad esempio che, ai fini dell’imputazione omissiva, non sarebbe sufficiente la presenza di un mero contratto a cui non segue la presa in carico del soggetto debole, come ad esempio nel caso della baby sitter che non si presenta all’appuntamento e i genitori decidono lo stesso di uscire  lasciando il bambino da solo.

Orbene, l’individuazione della posizione di potere-dovere, che fa sorgere sul garante l’obbligo d’attivazione in conformità a una certa regola cautelare, da vita a una problematica ulteriore, ovvero quella legata alla all’accertamento del nesso di causalità normativa, o colposa; elemento, questo, dotato di un minor grado di certezza.

La condotta omissiva richiede infatti una duplice verifica, che consiste nel sostituire all’omissione del garante la “condotta alternativa lecita”, ovvero la condotta conforme alla regola cautelare, e dunque verificare, se sostituendo tale condotta all’omissione, con quale probabilità l’evento si sarebbe escluso.

Questo doppio passaggio evidenzia come nell’omissione tendano a sovrapporsi “causalità della colpa” ex art.43 c.p., concernente il nesso tra la violazione di una regola cautelare e l’evento, e “causalità della condotta” che nei reati omissivi consiste nel mancato esercizio di una condotta materiale conforme alla regola cautelare.

Il problema non verte tanto sulla sovrapposizione, quanto sul grado di certezza nell’accertamento che deve investire siffatta tipologia di inferenza causale, in ispecie nei casi in cui il reato omissivo investe settori altamente specialistico-scientifici, quale quello medico-sanitario.

La verifica e la sostituzione della condotta alternativa lecita comporta necessariamente che il giudice compia una valutazione ex ante, dovendo accertare in termini prognostici con quale margine di certezza, sostituendo l’azione all’omissione, l’evento si sarebbe evitato.

Questa valutazione ex ante suscita perplessità se si considera che essa richiama il criterio dell’aumento del rischio, del quale si è già avuto modo di verificare l’inattendibilità dal punto di vista della certezza.

Sul punto la richiamata sentenza delle Sezioni Unite 2002 si è rivelata dirimente poiché ha affermato come il medesimo rigore previsto nell’accertamento del nesso causale per i reati commissivi debba essere tenuto anche per quelli omissivi impropri.

Ciò significa che, anche in un settore altamente probabilistico come quello medico, il giudice sarà tenuto a verificare “con elevata probabilità logica e credibilità razionale” la sussistenza di un nesso eziologico tra la mancata osservanza della regola cautelare e l’evento nefasto e quindi, sostituendo la condotta osservante all’omissione, con quale grado di certezza l’evento si sarebbe impedito.

La ricerca dell’elevata probabilità logica impone altresì di escludere che nel caso specifico vi sia stata l’insorgenza di fattori causali alternativi che possano dirsi interruttivi del nesso causale ai sensi dell’art.41 comma 2 c.p.

Il maggior problema concerne proprio i requisiti che detti fattori causali alternativi devono possedere affinché si possa fare applicazione dell’art.41 comma 2 c.p.

L’ambito di operatività della norma in questione è da sempre stato al centro di un importante dibattito dottrinale, alimentato dalla lacunosità della disposizione, la quale si limita a sancire che le sole concause interruttive sono quelle “da sole sufficienti a determinare l’evento”.

Dal punto di vista letterale la norma sembra innanzi tutto richiedere che il giudizio volto ad accertare le concause sopravvenute sia condotto ex post, in chiave condizionalistica e non anche ex ante, ovvero in chiave prognostica.

Tuttavia le teorie formulatesi sul punto sembrano aver accolto questa seconda chiave di lettura.

Due delle tesi elaborate, “teoria della causalità adeguata” e “dell’imputazione obiettiva dell’evento”, pur prevedendo una prima fase in cui si richiede al giudice di compiere una valutazione ex post mediante giudizio controfattuale, si fondano su una seconda fase improntata ad un accertamento ex ante, ove è necessario condurre un’indagine di conformità qualitativa e quantitativa del fatto all’evento.

In particolare, nella teoria della causalità adeguata si ritiene sussistere il nesso causale quando il fatto è idoneo a cagionare l’evento secondo l’id quod plerunque accidit, riconoscendosi dignità di fattori causali interruttivi solo a quegli elementi che si pongono in maniera atipica rispetto alla generalizzazione del senso comune.

Nella teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento, invece, dopo aver condotto un primo giudizio controfattuale ex post, il giudice sarà tenuto a verificare se quella condotta abbia aumentato o innescato un rischio di verificazione dell’evento “riprovevole” per l’ordinamento.

A titolo di esempio si prenda in considerazione la condotta di colui che convince un soggetto a prendere un aereo sperando che precipiti. In questo caso, pur essendovi un nesso di causalità materiale, non vi è stato l’innesco di un rischio riprovevole per l’ordinamento, non potendosi considerare tale la fugace speranza che una persona muoia per mano del fato.

Si guardi ancora all’ipotesi meno scolastica del soggetto che violando i limiti di velocità travolga e uccida un altro soggetto disteso in mezzo alla carreggiata perché caduto dal motorino.

Anche in questo caso la condotta è materialmente idonea a provocare l’evento, ma la serie causale è interrotta dal fatto che la violazione del codice della strada sull’eccesso di velocità non è una norma preordinata a impedire quel tipo di evento che si è in concreto verificato, dovendosi ritenere sussistente un’interruzione del nesso causale.

Il problema che è alla base di queste elaborazioni dottrinali, come evidente, è quello di fondarsi su una sovrapposizione tra la già richiamata causalità della colpa e causalità della condotta, poiché in ogni caso l’elemento mancante ai fini dell’esclusione del nesso è sempre la violazione di una regola cautelare che determina un aumento del rischio.

In tal senso, non è agevole comprendere quale sia il discrimen tra l’operatività dell’art.41 comma 2 c.p. e dell’art.43 c.p., che chiaramente sancisce ex se la regola della causalità normativa nei reati colposi ed apparirebbe perciò come un’inutile superfetazione.

Se quanto sin qui affermato può suscitare dubbi con riguardo alle condotte attive, ove la causalità materiale deve essere tenuta ben distinta quella colposa, la questione appare meno problematica nelle condotte omissive improprie, nel cui assetto strutturale le due forme di causalità tendono per natura a sovrapporsi.

Copiosa e lapidaria giurisprudenza, prima tra tutte Sezioni Unite “Thyssenkrupp”, si è servita di soluzioni legate al criterio dell’aumento del rischio al fine di verificare la sussistenza di concause interruttive “da sole sufficienti a determinare l’evento”.

Per vero, il criterio che è stato elaborato con Thyssenkrupp, per quanto fondato sul metodo dell’aumento del rischio, intende discostarsi tanto dalle due teorie sopra richiamate della causalità adeguata e dell’imputazione obiettiva dell’evento, quanto dall’apprezzabile teoria della “causalità umana”, la quale individua le concause interruttive negli eventi eccezionali e imprevedibili, del tutto incontrollabili e ingestibili dall’agente.

Quest’ultima, come evidente, è una teoria che cela in sé un’abrogazione tacita dell’articolo 41 comma 2 c.p., essendo pressoché impossibile ritenere che un evento non sia dominabile o prevedibile dall’uomo.

Il nuovo filone interpretativo dell’art.41 comma 2 c.p., ancora incalzante con le recentissime pronunce del 2019, si fonda invece sul c.d. “fattore eccentrico”, solo in presenza del quale può ritenersi operativo il meccanismo di interruzione del nesso causale.

Per fattore causale eccentrico la giurisprudenza di legittimità intende quell’elemento che non ha carattere eccezionale e imprevedibile, ma effettivamente “eccentrico”, abnorme, incommensurabile rispetto a quell’area di rischio che il garante, sia esso medico o datore di lavoro, è chiamato a governare.

Il nuovo requisito, calato nell’ambito sanitario, fa sì che il nesso causale, scaturito dalla condotta del medico che ha errato nella diagnosi, sarà interrotto dalla condotta dell’anestesista che ha innescato un nuovo fattore di rischio mortale, che si innesta sull’errore di base.

Eguale ragionamento può essere condotto con riguardo alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ove, pur in presenza di una condotta omissiva del datore di lavoro contraria alle regole cautelari, si avrà interruzione del nesso eziologico qualora si accerti che il lavoratore abbia tenuto una condotta abnorme, o eccentrica, affetta da negligenza, imprudenza o imperizia.

Una siffatta condotta della vittima esula dalla sfera di governabilità del rischio in capo al datore di lavoro e si rende idonea a innescare un nuovo fattore di rischio che escluderà l’imputazione dell’evento in capo a quest’ultimo.

Emerge con chiarezza come questa nuova tendenza giurisprudenziale fondata sul c.d. “rischio eccentrico” non sia riuscita ad affrancarsi dalla tendenza a sovrapporre “causalità della colpa” e “causalità della condotta”.

Una sovrapposizione, questa, che caratterizza il reato omissivo improprio e può dirsi insita nella sua struttura, portando con sé un maggior grado di incertezza circa l’effettiva derivazione causale dell’evento.

In definitiva, gli elementi sin qui raccolti e analizzati consentono di affermare che la condotta omissiva rende la verifica del nesso causale estremamente complessa a causa della sua stretta interrelazione con la colpa.

L’accertamento del nesso tra omissione e evento deve, invero, comporsi di due fasi, la prima volta a verificare con quale probabilità la sostituzione mentale della condotta alternativa avrebbe impedito il verificarsi dell’evento; la seconda, sulla base dei dati probatori acquisiti, dovrà essere finalizzata ad accertare con “ragionevole probabilità logica” che non vi sono fattori alternativi interruttivi della sequenza causale, ai sensi dell’art.41 comma 2 c.p.

Allorché ciò avvenga il requisito richiesto, allo stato maggioritario, al fine di attribuire valenza interruttiva al fattore in questione è dato dall’eccentricità dello stesso, esso consistendo in un fattore abnorme e incommensurabile rispetto al raggio di gestione del rischio governato dal garante.


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