La centralità degli effetti nelle donazioni indirette

La centralità degli effetti nelle donazioni indirette

Sommario: 1. Introduzione – 2. Una causa tipica priva di schemi – 3. L’indagine delle Sezioni Unite: la distinzione tra arricchimento e trasferimento – 4. L’azione di riduzione e l’azione di restituzione nelle liberalità non donative – 5. Conclusioni

 

1. Introduzione                             

Gli ordinamenti moderni tendono di solito a limitare fortemente gli atti gratuiti.

Sotto l’influenza del diritto mercantile, i rapporti onerosi sono la regola, mentre la gratuità rappresenta l’eccezione antieconomica [1]. La disciplina più stringente è applicata alle donazioni poiché, non solo atti gratuiti, ma soprattutto necessariamente spontanei. È fondamentale quindi che il donante sia cosciente di attuare l’altrui incremento patrimoniale, a proprio discapito.

L’attuale codice civile [2] – in linea col precedente [3] – impone una rigida forma all’atto di donazione, utile a rafforzare la consapevolezza “di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale, senza esservi costretti” [4].
Rispetto al codice del 1865 il formalismo, fino ad allora imposto alle donazioni, mostra un importante segno di apertura. Le liberalità non sono più attuabili esclusivamente col contratto di donazione.

Si tratta di un significativo cambiamento se si pensa che, per quasi un secolo, era stata in vigore la regola secondo cui “tutti gli atti di donazione debbono essere fatti per atto pubblico, altrimenti sono nulli” [7].

Con il nuovo codice, l’esigenza di dare risalto alla volontà del donante – e agli effetti voluti – piuttosto che alla forma dell’atto, fa  sì che l’intento liberale assuma da solo rilevanza giuridica [8].

2. Una causa tipica priva di schemi

Recenti pronunce giurisprudenziali, abbandonano il concetto precedente di causa come funzione economico sociale del contratto, astratta e tipica [9]. A prescindere dallo stereotipo contrattuale, essa diviene la sintesi non solo degli interessi realmente manifestati, ma anche degli effetti materialmente realizzati dalle parti [10]. Pur restando la funzione del contratto, essa non lo è più in modo astratto e legato al tipo contrattuale, bensì è connessa a quella precisa e singola fattispecie (cd. causa individuale) [11]. Ed è questo il modo in cui si atteggia concretamente la causa liberale dell’articolo 809 c.c. [12]

L’assenza di forma tipica nelle liberalità non donative, ha creato non pochi problemi agli interpreti, che – con numerose teorie – hanno tentato di spiegare la fenomenologia di tale figura. Tra le diverse dottrine susseguitesi, la più celebre è quella del cd. negozio indiretto.

Del negozio indiretto [13] – come del negozio in generale – non vi è definizione nell’attuale codice civile.

Si tratta di un procedimento [14] con cui le parti pongono in essere un atto, che produrrebbe tipicamente determinati effetti, ma  che – con l’inserimento di altre clausole o combinando diversi negozi – arriva a produrne di ulteriori. A tale definizione, altri aggiungono che il negozio indiretto è la risultante della combinazione tra un negozio – mezzo e un negozio – fine [15].

Il negozio mezzo è quello principale, formalmente posto in essere dalle parti. La sua causa è integrata mediante un patto aggiuntivo – il negozio fine – direttamente collegato al primo, con cui le parti si accordano colmando la differenza tra gli effetti prodotti normalmente dal negozio mezzo e quelli donativi realmente voluti. Il negozio indiretto – la donazione – è la risultante della combinazione tra i due precedenti. La teoria del negozio indiretto è criticabile nella misura in cui essa ritiene necessaria la combinazione di diversi negozi o l’aggiunta di clausole al negozio principale per ottenere gli effetti ulteriori.

Infatti – come sostenuto da altra tesi [16] –  non è necessariamente vero che occorre aggiungere altre clausole ad un contratto tipico, per raggiungere risultati diversi. Talvolta è già un contratto tipico che, con gli  effetti suoi propri, permette alle parti di  realizzare quanto concretamente voluto (es. contratto a favore del terzo) [17]. Se la  teoria in commento ha il pregio di ammettere che la liberalità sia ottenibile anche con contratti tipici, ha però il difetto di affermare che – in questi casi – le ulteriori intenzioni  dei contraenti attengano alla sfera dei motivi e, quindi – se leciti – essi restino giuridicamente irrilevanti.

L’articolo 809, tipizzando la causa liberale al di fuori del contratto donazione, vuole invece attribuire rilevanza giuridica autonoma a tale funzione.

È calzante l’osservazione di chi ritiene superfluo parlare di negozi indiretti negli ordinamenti moderni, ove è ormai possibile realizzare qualsiasi intento economico lecito, in qualunque forma giuridica [18]. Addirittura vi è chi si spinge oltre nel dire che l’ideologia stessa della causa del contratto, come strumento di controllo della sua utilità sociale, risulti ormai obsoleta [19]. Tuttavia, come si è visto, la causa liberale è già tipizzata dall’ordinamento e non necessita di un’ulteriore sanzione di liceità, a prescindere dalla forma contrattuale in cui si innesta. Così avviene per altri negozi in cui la forma cede il passo all’importanza degli effetti voluti e realizzati [20].

Dal dispositivo di una recentissima sentenza delle Sezioni Unite, si può evincere quanto sia complesso racchiudere le liberalità in commento,  in anche in una categoria negoziale generica come quella dei negozi tipici e atipici.

Così si pronuncia la Cassazione:

“Al fine di stabilire se un contratto atipico sia o meno soggetto al vincolo di forma, occorre procedere – secondo l’insegnamento di autorevole dottrina – con il metodo dell’analogia, ed accertare se il rapporto di somiglianza intercorra con un contratto tipico a struttura debole (tale essendo quello strutturato dal legislatore sui tre elementi dell’accordo, della causa e dell’oggetto, senza alcun requisito di forma) o con un contratto tipico a struttura forte (nel quale invece il requisito della forma concorre ad integrare la fattispecie), perché soltanto nel secondo caso anche per il negozio atipico è configurabile il requisito di forma” [21].

Non solo le liberalità in commento non possono dirsi atipiche, in quanto disciplinate da una norma ad hoc del codice, ma per di più non rispondono alla regola dell’analogia della forma del negozio di riferimento a struttura forte, vale a dire il contratto di donazione. E, se esistono contratti tipici astratti – in cui la causa non è essenziale  – non si vede perché non possano esserci cause tipiche prive di uno schema negoziale di appartenenza, giudicate comunque dall’ordinamento come meritevoli di tutela.

È in ogni caso necessario che tale funzione tipica si innesti in un negozio per produrre i suoi effetti pratici. L’indagine più delicata è quindi individuare gli atti “capaci” di liberalità.

3. L’indagine delle Sezioni Unite: la distinzione tra arricchimento e trasferimento nelle donazioni indirette

Nel 2017 una pronuncia giurisprudenziale sul tema [22] ha fornito alcuni validi strumenti per individuare gli atti liberali non donativi e per distinguerli dalle donazioni dirette.

Il petitum di primo grado riguardava il trasferimento di strumenti finanziari di cospicuo valore, devoluti ad un terzo su ordine impartito, alla banca, dal proprietario dei titoli. Pochi giorni dopo, alla morte dell’ordinante, la figlia di quest’ultimo agiva in giudizio contro il terzo beneficiario, in qualità di erede legittimaria. Il fine era evidentemente quello di ottenere la restituzione dei valori e la reintegrazione dell’asse ereditario. Dinanzi al Tribunale, l’attrice chiedeva la nullità del trasferimento, in quanto donazione diretta attuata senza la necessaria forma solenne. Il giudice di prime cure accoglieva la domanda, dichiarando nulla la cessione gratuita dei valori mobiliari. Poiché l’ordine di bancogiro è – di per sé – un atto privo di causa (atto neutro) – ciò che è rilevante è il negozio direttamente intercorrente tra disponente e beneficiario, in cui si manifesta l’intento liberale, poiché produttivo dell’altrui arricchimento [23]. La liberalità avrebbe dovuto rispondere, peraltro, alla disciplina tipica della donazione rimuneratoria [24], poiché fatta dal donante in riconoscenza delle cure prestate dalla donataria, fino alla morte di lui.

La Corte d’Appello giungeva a conclusioni diametralmente opposte.

L’ordine impartito alla banca è da considerarsi un negozio autonomamente idoneo a raggiungere lo scopo pratico voluto dal donate, seppur indirettamente. Trattasi quindi di un negozio-mezzo capace di veicolare lo spirito di liberalità, tale da doversi applicare l’art. 809 del codice civile.

Approdata la causa in Cassazione, le Sezioni Unite ribaltano totalmente la decisione di secondo grado, riprendendo il ragionamento giuridico del Tribunale e ripercorrendo numerose pronunce giurisprudenziali in tema di donazione indiretta. In particolare vengono scandagliate varie ipotesi riconducibili a tale figura. Tra queste vi è il contratto a favore del terzo, consistente nell’accordo tra stipulante e promittente, con l’intento del primo di deviare gli effetti in favore di un terzo e reale beneficiario del contratto. La causa del contratto dipende, volta per volta, dal negozio principale voluto dalle parti (es. vendita, costituzione di un diritto reale…), deviando gli effetti con clausola apposita.

Se da un lato, si verifica un arricchimento economico del beneficiario e dall’altro vi è l’impoverimento dello stipulante – dice la Cassazione – il contratto avrà una causa donandi e si configurerà come una donazione indiretta. Anche perché il terzo non è parte del contratto [25] e la dichiarazione di voler profittare della stipulazione in suo favore non è paragonabile ad un’accettazione contrattuale ai sensi dell’articolo 1326 del codice civile. Pertanto non vi è un trasferimento diretto dal donante al donatario, così come invece per la cessione di strumenti finanziari, oggetto della causa. Il patrimonio del promittente è direttamente coinvolto nel processo attributivo e non si configura come mera zona di transito tra lo stipulante e il terzo (com’è invece il patrimonio dell’istituto di credito, nel bancogiro).

Le Sezioni Unite in commento provano poi a racchiudere in quattro classi, le principali tipologie di atti capaci di liberalità.

Essi possono essere: atti diversi dal contratto (rinuncia abdicativa o adempimento del terzo); contratti non stipulati tra donante e donatario, con deviazione degli effetti  in favore di  quest’ultimo (contratto a favore del terzo); contratti caratterizzati dalla corrispettività delle attribuzioni patrimoniali (vendita di un bene a prezzo diverso del suo reale valore, a vantaggio dell’altro contraente); combinazione di più negozi. Per quest’ultima ipotesi la Corte propone l’esempio dell’intestazione di beni in nome altrui, su cui vale la pena soffermarsi.

La fattispecie in commento è stata oggetto di un’altra, celebre, sentenza a Sezioni Unite della Cassazione [26]. Il caso era quello dell’acquisto di un immobile intestato al figlio, con denaro proprio del padre. Il Supremo Collegio distingue due possibili ipotesi. In entrambe il figlio è parte del contratto di compravendita del bene, ma – nel primo caso – il padre interviene direttamente in atto, adempiendo in suo luogo all’obbligazione del pagamento del prezzo; nel secondo caso il padre trasferisce il denaro al figlio, prima della stipula del contratto di acquisto, che sarà perfezionato con la sola presenza di acquirente (figlio) e venditore (terzo). La prima fattispecie – dice la Corte – è una donazione indiretta dell’immobile. Essa è attuata mediante una combinazione di negozi: da un lato la compravendita, dall’altro l’adempimento del terzo. Il denaro non entra mai nel patrimonio dell’acquirente, nel quale è trasferito il solo immobile. La concreta volontà del disponente è evidentemente quella di arricchire l’altra parte permettendogli di acquistare gratuitamente il bene da un terzo.

La conclusione a cui pervengono le Sezioni Unite nel 1992 è l’emblema della funzione pratica delle liberalità non donative:

 “Non va confuso l’arricchimento, che è una nozione economica, con il trasferimento, che è una nozione giuridica. Non è detto che l’arricchimento possa essere soltanto il risultato del trasferimento dal donante al donatario, perché, nella donazione indiretta, il donante può procurarlo anche ottenendo a favore del donatario il trasferimento da parte di un terzo” [27].

Vi è dunque differenza  tra l’atto giuridico del trasferimento – dal terzo al donatario –  e l’arricchimento economico voluto dal donante. Il trasferimento è il mezzo, la causa liberale è lo scopo perseguito, l’arricchimento è l’effetto tangibile attuato. La seconda ipotesi – dazione del denaro direttamente dal donante al donatario, prima dell’acquisto – costituisce, invece, una donazione diretta delle somme. In questo caso, l’atto giuridico del trasferimento del bene (il denaro) e l’arricchimento economico si verificano nello stesso momento e, soprattutto, con una transizione dei valori direttamente dal patrimonio del donante a quello del donatario [28].

Sul solco di questa interpretazione, tra le ipotesi di donazione diretta, le Sezioni Unite del 2017 individuano l’accollo interno. Essendo un negozio astratto, ossia privo di una causa tipica, la causa liberale diviene in esso la funzione unica del contratto, per cui esso deve necessariamente assumere forma solenne, a pena di nullità [29]. Per spiegare ciò, la Corte riporta la fattispecie dell’accollante che si impegna direttamente verso un proprio familiare a pagare, all’istituto di credito mutuante, le rate del finanziamento gravante sull’accollato. Caso diverso è quello del mutuo cointestato a due soggetti per l’acquisto dell’immobile da intestare ad uno solo di loro: esso costituisce donazione indiretta dell’immobile, perché è tale bene che materialmente arricchisce l’intestatario, pur non essendo trasferito dal donante.

4. L’azione di riduzione e l’azione di restituzione nelle liberalità non donative

Se è evidente che le liberalità dell’articolo 809 presentino delle differenze rispetto alla donazione diretta, è altresì ovvio che tali figure abbiano più di una similitudine con la loro controparte più formale.

L’articolo 809, infatti, applica anche alle liberalità non donative le disposizioni sulla revocazione della donazione per ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché quelle sull’azione di riduzione dei legittimari [3o]. Ad eccezione della revocazione per ingratitudine, il resto delle norme richiamate sono poste a tutela di terzi. Un atto liberale può infatti essere dannoso a prescindere dalla sua forma. L’azione di riduzione  attivabile dai legittimari – in particolare – si atteggia differentemente in caso di liberalità non donative.

È noto che nel 2005 [31], sono stati riformati gli articoli 561 e 563 del codice civile. Entrambi disciplinano gli effetti reali dell’azione di riduzione, che si risolvono nell’obbligo di restituzione dei beni oggetto di donazione, a carico del donatario o dei terzi suoi aventi causa.

La prima delle due norme impone che i cespiti siano restituiti dal donatario liberi da ogni peso [32] o ipoteca concessi in favore di soggetti terzi (es. banche o altri istituti di credito), con la conseguente perdita di ogni diritto da parte di questi ultimi. La seconda norma assicura al legittimario la possibilità di aver restituita la proprietà del bene che il donatario abbia nel frattempo alienato a terzi, previa escussione del donatario stesso e con la possibilità per i terzi di restituire il tantundem in denaro, in modo da evitare di dover restituire il cespite.

Sulla scorta di quest’ultima norma, la dottrina più attenta [33] ha osservato che in realtà esistono tre possibili azioni attivabili dal legittimario: l’azione di riduzione, l’azione di restituzione contro donatari o legatari e l’azione di restituzione contro i terzi aventi causa. La prima delle tre – presupposto necessario delle altre due – ha natura di accertamento costitutivo [34], nel senso che verifica l’effettiva lesione della legittima e, in caso di esito positivo, reintegra il legittimario nei diritti che gli spettano.

In poche parole, il legittimario “domanda la legittima in veste di terzo e la prende come erede” [35].

L’azione di riduzione ha quindi il solo scopo di ripristinare la posizione giuridica sottratta al legittimario, rendendo inefficace la donazione fatta dal de cuius al donatario soccombente e, di conseguenza, i diritti eventualmente trasferiti o costituiti in favore di terzi. Tale azione non ha però il fine di far riacquistare materialmente il bene sottratto [36]. All’uopo esiste l’azione di restituzione, che è il mezzo per attuare il cd. effetto retroattivo reale dell’azione di riduzione, con facoltà dell’erede di richiedere il bene sottratto rivolgendosi contro il donatario ed i suoi aventi causa. Questi ultimi – come detto – possono essere titolari sui beni stessi, tanto di diritti reali minori – pesi e ipoteche ex art. 561 c.c. – quanto del diritto di proprietà– ex art. 563 c.c.

Le norme citate sono accostabili, ma non del tutto sovrapponibili. Non è mancato infatti chi ha criticato il legislatore [37], per non aver saputo coordinare il contenuto delle disposizioni, in occasione della riforma del 2005. È evidente, infatti, il differente trattamento tra la categoria di terzi dell’articolo 561 rispetto a quella  dell’articolo 563. Quest’ultima norma prevede che il legittimario vittorioso debba escutere prima il patrimonio del donatario e solo dopo – in caso di incapienza – il terzo avente causa, sottraendogli il diritto acquisito. La norma attribuisce però al terzo la possibilità di liberarsi dall’obbligo di restituzione del bene, pagando l’equivalente in denaro.

Di contro, l’articolo 561 c.c. non attua alcuna di queste tutele per coloro che abbiano acquistato altri diritti reali sull’oggetto della donazione, con la conseguenza che – in caso di vittoria dell’azione di riduzione –  l’erede potrà pretendere la restituzione dell’immobile, libero da pesi e ipoteche concesse a garanzia di terzi. In altre parole, si assiste ad una discriminazione immotivata tra acquirenti di diritti di proprietà e acquirenti di altri diritti reali,  che – come detto –  il legislatore non è riuscito ad appianare.

Per i rischi derivanti dall’acquisto di proprietà o di garanzia su beni oggetto di donazione diretta, sono state approntate alcune tutele. Tra queste la stipula di polizze assicurative, che schermino il donatario e i suoi aventi causa, da pregiudizi patrimoniali potenzialmente derivanti dall’azione di riduzione.

La sottoscrizione di una polizza può essere necessaria [38], in particolare, per i creditori che abbiano iscritto ipoteca sull’immobile donato. Ciò vale specialmente se nella posizione di mutuatario vi sia il donatario stesso, il quale – come detto – ai sensi dell’art. 561 c.c. deve necessariamente restituire il bene ai legittimari libero da ogni ipoteca [39].  Se i mutuatari fossero i terzi acquirenti, invece, l’ipoteca sarebbe a rischio per effetto della restituzione ex articolo 563, ma gli aventi causa del donatario potrebbero evitarla pagando l’equivalente in denaro al legittimario e l’acquisto sarebbe salvo, unitamente all’ipoteca concessa.

La retroattività reale dell’azione di riduzione ha però senso se il bene restituito è materialmente fuoriuscito dal patrimonio del donante. E – come si è visto – non è ciò che accade nelle liberalità non donative. Se da un lato, nel contratto di donazione, il donante dispone materialmente di un diritto che entra immediatamente nel patrimonio del donatario, nelle liberalità ex articolo 809 c.c. ciò che fuoriesce dal patrimonio del disponente non coincide con quanto acquistato nell’altrui patrimonio. In altri termini, viene meno la giustificazione del recupero reale della titolarità del cespite [40] e non si applica il principio del ripristino della quota legittima in natura, come affermato anche in giurisprudenza [41].

Taluni [42] – probabilmente in accordo con la teoria del negozio indiretto – hanno provato a spiegare il perché di questi effetti dell’azione di riduzione sulle liberalità non donative. Nella donazione diretta, è il contratto stesso ad essere invalidato dall’azione di riduzione. Venendo meno quest’ultimo, unitamente all’effetto attributivo, si  genera un effetto restitutorio reale.

Nelle liberalità non donative invece, l’effetto attributivo stesso non è generato dal contratto principale,  ma dall’accordo ulteriore tra disponente e beneficiario, che è l’unico ad essere colpito da inefficacia. Resta valido il negozio – mezzo, con cui materialmente è stato effettuato il trasferimento in favore del donatario. Di conseguenza il bene non va restituito. Tuttavia, il fatto che il bene non sia mai transitato dal patrimonio del donante, fa propendere verso quella dottrina [43] secondo cui, in caso di liberalità non donative, la tutela del legittimario sia meramente obbligatoria. Se l’erede succede nella posizione del de cuius, e quest’ultimo non è mai stato titolare di quanto acquisito dal beneficiario della liberalità, ne consegue che andrebbe contro ogni logica giuridica che il legittimario diventasse proprietario del cespite a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. Anzi, con la restituzione del bene, l’erede diverrebbe paradossalmente un  avente causa del donatario e non del de cuius [44].

Pertanto egli non ha alcun diritto di pretendere la restituzione materiale del bene né dai terzi, né dal donatario e, conseguentemente, in questo caso sono salvi anche i pesi e le ipoteche su di esso gravanti. Il diritto di credito ha ad oggetto il tantundem del valore del bene indirettamente donato, cioé l’arricchimento economico, come unico effetto diretto intercorso tra donante e donatario.

Tale tutela non esula da quanto già presente nella logica nel codice civile. L’articolo 562 prevede ad esempio che, ove la cosa donata non possa essere restituita – poiché perita per causa imputabile al donatario o ai suoi aventi causa – resta un diritto di credito a carico del donatario ed in favore dei legittimari. La stessa tutela per equivalente si riscontra nel già citato art. 563, nella parte in cui permette ai terzi di liberarsi dall’obbligazione restitutoria, o ancora nell’art. 560 comma 2° in cui è previsto che – in caso di lesione che non ecceda di oltre un quarto la disponibile e di immobile non comodamente divisibile – donatari e legatari possano tenere l’immobile e compensare in denaro i legittimari, per il solo il valore eccedente la disponibile.

In poche parole – in tutti questi casi – così come per la riduzione delle liberalità non donative, è attuata una forma di risarcimento in forma specifica in favore del legittimario, finalizzato sì al ripristino della situazione ante-depauperamento del patrimonio del de cuius, ma solo mediante un reintegro quantitativo della quota legittima.

5. Conclusioni

Donazione e liberalità non donativa convivono nel medesimo ordinamento, mostrandosi come due facce di una stessa moneta. Entrambe rispondono all’esigenza di dare rilevanza allo spirito liberale di cui possono caratterizzarsi i fatti umani, seppur con risposte differenti.

Come ben sintetizzato da taluno, infatti, “il mezzo può essere diverso ma il colore è sempre lo stesso, l’animus donandi” [45]. Lo scopo è ben identificato nella causa liberale, che non viene incastonata in alcuno schema contrattuale, ma che assume rilevanza guardando agli effetti economici del rapporto, senza i quali la liberalità non verrebbe alla luce nel programma negoziale elaborato dalle parti.

La donazione indiretta viene quindi identificata principalmente grazie all’arricchimento realizzatosi nel patrimonio di una delle parti, purché gratuito per il ricevente. Si potrebbe dire una rivoluzione copernicana: laddove nella donazione tipica è la forma a qualificare il contratto, nelle liberalità non donative la centralità spetta senza dubbio agli effetti tangibili del negozio.

 

 

 

 


[1] “Il mercato è il luogo degli scambi, cioè delle relazioni in cui ciascuna parte dà all’altra e riceve dall’altra, o meglio dà in quanto e perché riceve. Il mercato, come unità giuridica delle relazioni di scambio, si traduce nello schema del contratto a titolo oneroso, che sulle orme di Pothier e del Code Napoléon, era perspicuamente definito nell’art. 1101 cod. civ. del 1865 come il contratto “nel quale ciascuno dei contraenti intende, mediante equivalente, procurarsi un vantaggio”. Il concetto giuridico di mercato respinge, dunque, all’esterno gli atti di liberalità, o, più in generale, gli atti a titolo gratuito destinati a procurare un vantaggio senza equivalente.” Così, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma – Bari, 2004, cit. pagg. 113 e segg. citato in Studio n. 107-2009/C di M. Krogh, 22 aprile 2009, nt. 11.
[2] Articolo 782 codice civile – “Forma della donazione
La donazione deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena di nullità. Se ha per oggetto cose mobili, essa non è valida che per quelle specificate con indicazione del loro valore nell’atto medesimo della donazione, ovvero in una nota a parte sottoscritta dal donante, dal donatario e dal notaio. 
L’accettazione può essere fatta nell’atto stesso o con atto pubblico posteriore. In questo caso la donazione non è perfetta se non dal momento in cui l’atto di accettazione è notificato al donante. Prima che la donazione sia perfetta, tanto il donante quanto il donatario possono revocare la loro dichiarazione”.
La presenza dei testimoni non è espressamente richiesta dal codice civile, la cui disciplina è integrata dall’articolo 48, Legge 16 Febbraio, 1918 n. 89 (Legge Notarile): “Oltre che in altri casi previsti per legge, è necessaria la presenza di due testimoni per gli atti di donazione, per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni e per le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni nonché qualora anche una sola delle parti non sappia o non possa leggere e scrivere ovvero una parte o il notaio ne richieda la presenza. Il notaio deve fare espressa menzione della presenza dei testimoni in principio dell’atto”.
[3] D. Grandi, Relazione al Codice Civile, presentata all’udienza del 16 marzo 1942  per l’approvazione del testo del Codice civile, Libro II Delle Successioni, par. 371, pag. 79.
[4] D. Grandi, Relazione al Codice Civile, presentata all’udienza del 16 marzo 1942  per l’approvazione del testo del Codice civile, Libro II Delle Successioni, par. 372, pag. 79.
[5] D. Grandi, Relazione al Codice Civile, presentata all’udienza del 16 marzo 1942  per l’approvazione del testo del Codice civile, Libro II Delle Successioni, par. 385, pag. 79.
[6] V. R. Casulli ipotizza una definizione più diretta ed efficace: “le liberalità tra vivi che non costituiscono contratto di donazione”, in Donazioni indirette e rinunzie ad eredità o legati, Roma, 1950, pagg. 100-101,
[7] Codice civile Italiano del 1865, Libro III, Titolo III, Capo II, Articolo 1056.
[8] L’articolo 809 non è tuttavia una norma così moderna. Non esistendo un contratto di donazione tipico, nel diritto romano classico la causa donationis esisteva a prescindere da un negozio di appartenenza, potendosi adattare a diversi atti.
La rigidità formale fu richiesta ad substantiam in età costantiniana, con la cosiddetta insinuatio apud acta.
[9] La teoria  della cd. causa oggettiva, fa corrispondere quest’ultima alla funzione obiettiva che lo schema contrattuale è astrattamente portato ad assolvere e che la legge ha già sanzionato come lecita, prescindendo così da qualsiasi intento pratico.
[10] Ex multis Cass. civ. Sez. III, sentenza n. 10490 dell’8 maggio 2006; cfr. Tribunale di Vicenza, sentenza del 17 aprile 2020, secondo cui:“Il giudice, nel procedere all’identificazione del rapporto contrattuale, alla sua denominazione ed all’individuazione della disciplina che lo regola, deve procedere alla valutazione in concreto della causa”; cfr. anche Cass. civ. Sez. VI – 2, Ordinanza n. 19749 del 22 settembre 2020, per la quale la funzione economico sociale è assolta direttamente dal bene con le proprie qualità. Nella specie si conferma la necessità del certificato di abitabilità come requisito giuridico essenziale del bene affinché possa servire allo scopo per il quale è acquistato, ossia l’essere adibito ad abitazione.
[11] Cass. civ. Sez. III, sentenza n. 10490 dell’8 maggio 2006.
[12] M. Krogh, Studio n. 107-2009/C, 22 aprile 2009, pag. 12.  
[13] Il dibattito sulla configurabilità del negozio indiretto sorge a partire dalle cd. società di comodo, ossia società atte a far concentrare tutte le partecipazioni in mano al socio unico e fargli comunque godere della responsabilità limitata.
Se – inizialmente – trattavasi di un contratto in frode di legge, dall’altro lato il negozio indiretto si mostra come mezzo per rimediare ad una lacuna legislativa successivamente colmata – con le società unipersonali – risolvendosi in uno “strumento di evoluzione del diritto”. Così S. Romano, in Donazione diretta e negozio indiretto a confronto, Milano, 2008.
[14]Viene chiamato “procedimento negoziale indiretto” in Manuale di Diritto Privato di A. Torrente – P. Schlesinger, Milano, 2017, pag 668.
[15] È la teoria del cd. “collegamento negoziale” esposta in G. Capozzi, Successioni e donazioni – Tomo II, Milano, 2015, pag. 1655
[16] D. Barbero ed F. Gazzoni preferiscono parlare di “procedimento indiretto”, piuttosto che di negozio indiretto, ma nel solo caso in cui sia necessario combinare più negozi o più clausole per ottenere effetti ulteriori da un contratto tipico. Viceversa vale quanto detto nel testo.
[17] Si pensi al caso di una compravendita ad un prezzo irrisorio, che rispetti lo schema negoziale dello scambio di cosa contro prezzo e, senza clausole ulteriori, raggiunga comunque l’effetto donativo desiderato.
[18] F.M. Dominedò, La costituzione fittizia delle anonime, in Studi di diritto commerciale in onore di Cesare Vivante, Roma, 1931, pag. 695.
[19] Cass. civ. Sezione II,  sentenza n. 26983 del 12 novembre 2008. La fattispecie risolta dalla Corte era quella di una cointestazione di un libretto di risparmio, le cui somme erano per intero versate da uno solo dei cointestatari, alla morte del quale, l’altro diventava proprietario di tutti i valori. La Corte ha stabilito che in questi casi vada apprezzata la ragione concreta del regolamento contrattuale, come sintesi degli interessi reali di una o di entrambe le parti, che il negozio intende realizzare. In questo caso, il Supremo Collegio identificava tale interesse nell’esistenza dell’animus donandi, accertando che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
[20] In tema di negozio fiduciario le Sezioni Unite, con sentenza n. 6459 del 6 marzo 2020, si sono pronunciate a favore della non necessità di una forma ad substantiam del negozio fiduciario, riconoscendone in ogni caso gli effetti pratici:“[il negozio fiduciario] rientra nella categoria più generale dei negozi indiretti, caratterizzati dal fatto di realizzare un determinato effetto giuridico non in via diretta, bensì indiretta: il negozio, che è realmente voluto dalle parti, viene infatti posto in essere in vista di un fine pratico diverso da quello suo tipico, e corrispondente in sostanza alla funzione di un negozio diverso”.
[21] Sezioni Unite, sentenza n. 6459 del 6 marzo 2020.
[22] Sezioni Unite, sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017.
[23]Il trasferimento scaturente dall’operazione di bancogiro è destinato a rinvenire la propria giustificazione causale nel rapporto intercorrente tra l’ordinante-disponente e il beneficiario, dal quale dovrà desumersi se l’accreditamento (atto neutro) è sorretto da una fusta causa: di talché, ove questa si atteggi come causa donandi, occorre, ad evitare la ripetibilità dell’attribuzione patrimoniale da parte del donante, l’atto pubblico di donazione tra il beneficiante e il beneficiario, a meno che si tratti di donazione di modico valore” Sezioni Unite, sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017.
[24] Articolo 770 codice civile – “Donazione rimuneratoria: È donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale rimunerazione. Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi.”
[25] G. Cian-A.Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile,  sub art. 1411, Padova, 2016.
[26] Sezioni Unite , sentenza n. 9282 del 5 agosto 1992.
[27] Sezioni Unite , sentenza n. 9282 del 5 agosto 1992.
[28] La donazione diretta di denaro – se non di modico valore – deve rispettare le forme dell’art. 782. Così M. Krogh, Studio n. 107-2009/C, 22 aprile 2009: “Nel caso in cui venga utilizzato un assegno (bancario, postale, circolare) è da ritenersi che oggetto della donazione non sia la somma di denaro ma il titolo all’ordine e, quindi, l’ordine di pagamento rivolto all’Istituto bancario (o Poste Italiane) cartolarizzato nel relativo titolo; di conseguenza, sarà necessario, in questo caso, descrivere il titolo nel contratto di donazione stesso, al fine di soddisfare gli oneri formali richiesti dall’art. 782 c.c. ed il donatario acquisterà non solo il diritto ad ottenere dalla banca la disponibilità della somma indicata nel titolo, ma tutti i diritti inerenti al titolo stesso”. Cfr. anche Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 7507  del 30 marzo 2006.
[29] Cass. civ., Sez.II, sentenza n. 7507 del 30/03/2006.
[30] Articolo 801 codice civile – “Revocazione per ingratitudine:
La domanda di revocazione per ingratitudine non può essere proposta che quando il donatario ha commesso uno dei fatti previsti dai numeri 1, 2 e 3 dell’art. 463, ovvero si è reso colpevole d’ingiuria grave verso il donante o ha dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio di lui o gli ha rifiutato indebitamente gli alimenti dovuti ai sensi degli articoli 433, 435 e 436”.
Articolo 803 codice civile – “Revocazione per sopravvenienza dei figli:
Le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l’esistenza di un figlio o discendente del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio, salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell’esistenza del figlio.
La revocazione può essere domandata anche se il figlio del donante era già concepito al tempo della donazione.
Articolo 553 codice civile – “Riduzione delle porzioni degli eredi legittimi in concorso con i legittimari:
Quando sui beni lasciati dal defunto si apre in tutto o in parte la successione legittima, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi ultimi si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari, i quali però devono imputare a questa, ai sensi dell’art. 564, quanto hanno ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati.”
[31] Legge 14 maggio 2005, n. 80 – di conversione del Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35 – modificata dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 263.
[32] I pesi sono non solo quelli “in senso tecnico, quali le servitù e gli oneri reali” ma anche “i diritti, reali o personali, di godimento o di garanzia, anche se costituiti senza la volontà del legatario o del donatario (sequestro, pignoramento, ecc.)” così A. Torroni, in “Azione di riduzione ed azione di restituzione: alcune riflessioni intorno al dogma della retroattività (sempre meno) reale dell’azione di riduzione nell’ottica della circolazione dei beni”- Relazione svolta all’incontro di studio organizzato dal Comitato interregionale dei Notai del Triveneto a Cortina il 23 febbraio 2011.
[33] G. Capozzi, op. cit.
[34] G. Capozzi, op. cit., il quale la definisce come un’azione: di inefficacia relativa sopravvenuta (che rende inefficace l’atto di disposizione colpito da riduzione); personale (non diretta erga omnes ma solo contro i destinatari delle disposizioni impugnate); ad effetti retroattivi reali (che retroagiscono al momento dell’apertura della successione).
[35] L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, Milano, 2000, pag. 237.
[36] Per il valore dei beni occorre far riferimento agli articoli: 746 c.c. per determinare il valore dei beni immobili; 750 c.c. per quello dei beni mobili; 751 c.c. per quello del danaro.
[37] G. Cian-A.Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile,  sub artt. 561 o 563, Padova, 2016.
[38] Ipoteca su immobile proveniente da donazione sia “diretta” che “indiretta” – Le cautele a disposizione della banca per mitigare i rischi di una azione di riduzione e perdita della ipoteca, 8 settembre 2020, in www.tidonagiuridica.it.
[39] I pesi e le ipoteche sono comunque salvi se la riduzione è domandata dopo vent’anni dalla trascrizione della donazione.
[40] A. Torroni, op. cit.
[41] Cass. civ., Sez. I,  sentenza n. 11496 del 12 maggio 2010 così dispone: “la riduzione delle donazioni indirette non mette, infatti, in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano dalla circolazione dei beni. Viene quindi a mancare il meccanismo di recupero reale della titolarità del bene; ed il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta, dev’essere ottenuto dal legittimario sacrificato con le modalità tipiche del diritto di credito”.
[42] L. Mengoni, op. cit., pag. 251 ss.; G. Amadio, Anticipata successione e tutela dei legittimari, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano,  2004, pagg. 653 e ss.
[43] G. Amadio, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donativeStudio n. 17-2009/C, 2009.
[44] A. Torroni, op. cit.
[45] G. Cian-A.Trabucchi, citando A. Checchini, Liberalità in Enc. Treccani, in Commentario breve al Codice Civile,  sub articolo 809, Padova, 2016.

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Clelia Piscopo

Laureata in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Palermo, con Diploma di Specializzazione delle Professioni Legali. Ha svolto sia la pratica notarile che forense, frequentando diversi corsi per la preparazione al Concorso Notarile. Ha già pubblicato due articoli sulla rivista giuridica "Giuricivile.it". Attualmente lavora come consulente legale presso un Istituto Bancario.

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