La cessione di portafogli di crediti pecuniari tra banche e la tutela dei debitori in sede giudiziaria
Oggigiorno è sempre più frequente che le banche cedano, in blocco, ad altri intermediari finanziari portafogli di crediti pecuniari in sofferenza e, conseguentemente, la cessionaria agisca, poi, per il recupero del credito nei confronti dei debitori.
Accade altrettanto frequentemente che le cessioni da un intermediario finanziario all’altro si susseguano più volte prima che venga avviata l’azione nel confronti del cliente debitore, tanto da rendere questi passaggi una c.d. “scatola cinese”.
I clienti, dunque, sostanzialmente vengono a conoscenza della cessione del loro rapporto solo nel momento in cui l’intermediario “finale” agisce – spesso in sede giudiziaria – per il recupero del credito, trovandosi, così, costretti o a pagare il loro debito o a difendersi nelle sedi competenti.
La società cessionaria che agisce per il recupero del credito è tenuta, tuttavia, a dimostrare la regolarità della cessione del credito ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario e di esserne titolare. Il comma 2 del citato articolo espressamente prevede che “la banca cessionaria dà notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana “. Esiste, pertanto, un doppio obbligo in capo alla cessionaria che agisce per il recupero del credito: oltre alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, deve dimostrare l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese, dispensando così il cessionario dall’onere di provvedere alla notifica di cessione.
Più precisamente, la pubblicazione dell’atto di cessione sostituisce la notificazione dell’atto stesso al debitore ceduto, ponendosi sullo stesso piano degli oneri prescritti dall’art. 1264 cc, realizzandone di fatto il medesimo effetto di pubblicità.
Quindi, nell’ipotesi di cessione di azienda bancaria e di cessione di crediti oggetto di cartolarizzazione, la pubblicazione dell’atto di cessione sulla Gazzetta Ufficiale sostituisce la notificazione dell’atto stesso, o l’accettazione da parte del debitore ceduto, con la conseguenza che, mentre secondo la disciplina ordinaria è sufficiente per il cessionario provare la notificazione della cessione o l’accettazione da parte del debitore ceduto, la disciplina speciale richiede solo la prova che la cessione sia pubblicata in Gazzetta Ufficiale (Cfr., Cass. civ. n. 13954 del 2006).
Spesso accade, però, che la cessionaria che agisce in giudizio non dimostri l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese: in tal caso non è dimostrata la titolarità del credito e la domanda giudiziaria non può che essere rigettata.
Invero, l’estratto pubblicato in Gazzetta Ufficiale non può da solo essere sufficiente ad integrare la prova richiesta in capo alla cessionaria del credito in quanto costituisce solo il primo dei due adempimenti pubblicitari che sostituiscono la notifica al debitore ceduto di cui all’art. 1264 comma 3 c.c., essendo essenziale anche la iscrizione della cessione dei crediti in blocco nel Registro delle Imprese.
Quanto sopra è stato confermato anche dai più recenti orientamenti giurisprudenziali, elaborati non solo in sede di merito ma anche di legittimità, i quali, a conferma della necessaria ricorrenza di entrambi i requisiti menzionati ex art. 58 TUB, hanno affermato che “il perfezionamento del contratto non può essere indirettamente dedotto dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione”. Pertanto, “la società che affermandosi successore (a titolo universale e particolare) della parte originaria e, assumendo di essere cessionaria di crediti bancari in blocco di altra società, in tale qualità intenda costituirsi in giudizio di legittimità in corso, ha l’onere di produrre, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., i documenti idonei a dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco ex art. 58 D. Lgs. n. 385 del 1993, dovendo fornire la prova documentale della propria legittimazione” (Cass. 10518 del 2016 e Cass. 2/03/2016 n. 4116).
In questi casi, il Tribunale deve dichiarare il difetto di titolarità del credito in capo alla cessionaria o il difetto di legittimazione attiva in suo capo e rigettare le pretese dell’istituto finanziario.
Tale eccezione, peraltro rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado, risponde al principio sancito dalla Corte di Cassazione a SS.UU. con la già richiamata sentenza n. 2951 del 16/02/2016 la quale ha affermato che “la parte che promuove un giudizio deve prospettare di essere parte attiva del giudizio (ai fini della legittimazione ad agire) e deve poi provare di essere titolare della posizione giuridica soggettiva che la rende parte”. Ha ritenuto la Suprema Corte, con detta sentenza, che “la legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare” e che “la sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”.
In conclusione, considerato che molto spesso la cessionaria che agisce in giudizio pecca dell’obbligo di dimostrare l’avvenuta iscrizione nel registro delle imprese della cessione dei portafogli di credito, numerose pretese giudiziarie azionate in tal senso devono (e possono) essere rigettate e il credito non può più essere azionato. Tutela, questa, utile per il cliente-debitore.
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