La clausola “claims made”

La clausola “claims made”

Sommario: 1. Introduzione – 2. Le varianti delle clausole claims made – 3. L’intervento delle Sezioni Unite – 4. Il superamento del controllo di meritevolezza

 

1. Introduzione

La clausola c.d. claims made, letteralmente “clausole a richiesta fatta”, apposta al contratto di assicurazione della responsabilità civile, limita la copertura ai sinistri per i quali la richiesta di risarcimento da parte del terzo interviene nel periodo di operatività della polizza.

Il contratto di assicurazione per responsabilità civile con clausola claims made si caratterizza infatti per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, o anche in un delimitato arco temporale successivo ove sia pattuita la c.d. “sunset dose”, laddove, secondo lo schema denominato “loss occurrence”, o “insorgenza del danno”, sul quale è conformato il modello delineato nell’art. 1917 c.c. ai sensi del quale “l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto quesi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”.

Ne consegue che la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto.

2. Le varianti delle clausole claims made

Nonostante la variegata tipologie di clausole claims made offerte dalla prassi commerciale esse possono essere distinte in due grandi categorie: miste o impure e pure.

Le clausole c.d. miste o impure, prevedono l’operatività della copertura assicurativa solo quando sia il fatto illecito che la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, alle condotte poste in essere anteriormente, in genere due o tre anni dalla stipula del contratto.

Le clausole c.d. pure sono, invece, destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito.

La divergenza del contratto rispetto allo schema originario ha fatto dire a buona parte della giurisprudenza che il suddetto contratto fosse atipico, in quanto ci si discostava la modello previsto dall’art. 1917 c.c.

Tali clausole, pertanto, sono state oggetto di un vivace dibattito sorto negli ultimi anni in dottrina e giurisprudenza, che si sono interrogate sulla loro ammissibilità e sulla loro natura.

La questione centrale riguarda la loro portata e la relativa attitudine a snaturare la causa tipica del contratto di assicurazione.

Viene, quindi, in rilievo non tanto un problema di applicabilità dell’art. 1229 c.c., quanto, piuttosto il limite dell’autonomia negoziale, ossia la meritevolezza di tali clausole e la loro attitudine a rendere i contratto di assicurazione atipico, distante dalla funzione normativa e sociale, quale quella di tenere indenne, nei limiti del massimale, l’assicurato dai sinistri e danni che, durante il periodo di vigenza del contratto, egli possa aver cagionato per colpa a se stesso o a terzi danneggiati.

A dirimere un contrasto interpretativo emerso su plurimi aspetti sono intervenute le Sezioni Unite dapprima nel 2016 e, successivamente, nel 2018.

3. L’intervento delle Sezioni Unite

Nel caso sottoposto all’esame delle Sezioni Unite nel 2016 l’assicurato, un’azienda ospedaliera, era stato chiamato in giudizio da un paziente dichiaratosi vittima di un errore medico.

L’ospedale, quindi, ha chiamato in giudizio le Assicurazioni garanti per la responsabilità professionale, le quali costituendosi hanno contestato l’obbligo all’indennizzo in virtù della presenza della clausola claims made, poiché le richieste di risarcimento sono state formulate dopo la fine del contratto di assicurazione.

All’esito del giudizio di primo grado il giudice accoglie la domanda e nel condannare l’ente al pagamento della somma liquidata al paziente a titolo di ristoro dei pregiudizi patiti, dichiara le compagnie assicuratrici chiamate in causa dal convenuto tenute a manlevare la responsabile-assicurata nei limiti previsti dalle rispettive polizze.

Secondo il Tribunale la clausola claims made inserita nel contratto era una clausola vessatoria e non essendovi sottoscrizione autonoma e distinta, ex art. 1341 co. 2 c.c., era inefficace.

Propongono appello le società assicuratrici sostenendo che il convincimento del decidente in ordine alla inoperatività della clausola era stato determinato da un errato inquadramento della stessa.

La pattuizione intitolata “Condizione speciale – Inizio e Termine della Garanzia”, in base alla quale la manleva valeva per le istanze risarcitorie presentate per la prima volta nel periodo di efficacia dell’assicurazione, purché il fatto che aveva originato la richiesta fosse stato commesso nello stesso periodo o nel triennio precedente la stipula, era volto a delimitare l’oggetto del contratto e non a stabilire una limitazione della responsabilità.

Dunque, la clausola claims made era pienamente valida ed efficace, anche in assenza di una specifica sottoscrizione.

La Corte di Appello aderisce alla linea difensiva delle società assicuratrici rigettando la domanda di manleva dell’ente ospedaliero.

L’Ospedale, pertanto, ricorre in cassazione argomentando che la clausola claims made è da ritenersi vessatoria perché limita la responsabilità della compagnia di assicurazione.

Sul piano fattuale occorre evidenziare che: che il sinistro si era verificato nell’agosto del 1993; l’arco temporale di vigenza della polizza dedotta in giudizio andava dal 21 febbraio 1996 al 31 dicembre 1997, con effetto retroattivo al triennio precedente; la copertura assicurativa era in ogni caso limitata alle richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato durante il periodo di operatività dell’assicurazione, e quindi entro il 31 dicembre 1997; nella fattispecie la domanda del paziente era stata avanzata nel giugno del 2001.

Le Sezioni Unite, dunque, avevano a che fare con un fatto generatore di responsabilità che astrattamente rientrava nella copertura assicurativa in forza della retrodatazione triennale prevista dalla clausola, ma che, sempre in forza dell’operatività della medesima clausola, contestualmente ne fuoriusciva, in quanto la richiesta di risarcimento era stata avanzata oltre il periodo di operatività dell’assicurazione.

La Suprema Corte, rilevato che sulla natura di tali clausole vi sono pronunzie di segno opposto, ha invocato l’intervento delle Sezioni Unite.

Uno degli orientamenti registrati è quello che ritiene le clausole claims made nulle per rischio putativo.

L’assicurabilità di fatti generatori di danno verificatisi prima della stipula del contratto, ma ignorati dall’assicurato, è stata fortemente osteggiata da coloro che ravvisano nella clausola claims made una sostanziale mancanza dell’alea richiesta, a pena di nullità, dall’art. 1895 c.c.

E invero, si sostiene, posto che il rischio dedotto in contratto deve essere futuro e incerto, giammai il rischio putativo potrebbe trovare copertura.

Al riguardo, le Sezioni Unite non hanno aderito a tale orientamento rilevando che la circostanza della previsione di una copertura assicurativa retroattiva non fa decadere la validità del contratto a condizione che i contraenti alla conclusione della polizza non conoscevano l’esistenza del sinistro.

In proposito sono stati considerati dirimenti i seguenti rilievi: l’estensione della copertura alle responsabilità dell’assicurato scaturenti da fatti commessi prima della stipula del contratto non fa venir meno l’alea e, con essa, la validità del contratto, se al momento della stipula le parti, in specie l’assicurato, ne ignoravano l’esistenza, potendosi, in caso contrario, opporre la responsabilità del contraente ex artt. 1892 e 1893 cod. civ. per le dichiarazioni inesatte o reticenti; il rischio dell’aggressione del patrimonio dell’assicurato in dipendenza di un sinistro verificatosi nel periodo contemplato dalla polizza, si concretizza progressivamente, perché esso non si esaurisce nella sola condotta materiale, cui pur è riconducibile causalmente il danno, occorrendo anche la manifestazione del danneggiato di esercitare il diritto al risarcimento; il rischio putativo è espressamente riconosciuto nel nostro ordinamento dall’art. 514 del codice della navigazione, con disposizione che non v’è motivo di ritenere eccezionale.

Da tanto il collegio ha dunque dedotto che la clausola claims made con garanzia pregressa è lecita perché di mancanza di alea potrebbe al più parlarsi con riferimento a uno solo degli elementi del rischio garantito, la condotta colposa posta già in essere e peraltro ignorata, restando invece impregiudicata l’esistenza dell’alea con riferimento all’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiante-assicurato: la richiesta di danni da parte del danneggiato.

Altro orientamento registrato è quello che ritiene le clausole claims made nulle per alterazione del sinallagma contrattuale.

Anche qui i giudici contestano tale tesi riconoscendo che i contraenti hanno piena autonomia e libertà nella stipulazione dei contratti.

La tesi dell’intangibilità del modello codicistico si scontra con il dato testuale dell’art. 1932 c.c., che tra le norme inderogabili non menziona il primo comma dell’art. 1917.

Di conseguenza, rientra nella piena disponibilità dei contraenti modulare l’obbligo di garanzia con le modalità che ritengano più opportune.

Altro orientamento registrato è quello che ritiene le clausole claims made pienamente valide ma vessatorie. Anche questa tesi non viene condivisa dal momento che tali clausole circoscrivono l’oggetto del contratto e non la responsabilità dell’Assicuratore.

In linea generale, per clausole limitative della responsabilità si intendono quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto le clausole che riguardano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito (Cass., Civ., n. 17783/2014; Cass., Civ., n. 8235/2010; Cass., Civ., n. 23741/2009).

Le Sezioni Unite, dopo aver evidenziato che il fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione di cui parla l’art. 1917 c.c. non può essere indentificato con la mera richiesta di risarcimento, ma si riferisce alla vicenda storica di cui l’assicurato deve rispondere(Cass., Civ., n. 5624/2005), ha escluso che tanto possa suffragare l’assunto secondo cui anche la clausola claims made mista, che era quella dedotta in giudizio, inciderebbe sulla tipologia stessa del rischio garantito nel senso che questo non darebbe più la responsabilità tout court, ma la responsabilità reclamata.

Considerato che il patto mira a circoscrivere la copertura assicurativa in dipendenza di un fattore temporale aggiuntivo, rispetto al dato costituito dall’epoca in cui è stata realizzata la condotta lesiva, e quindi, in definitiva a stabilire quali siano, rispetto a quanto stabilito dall’art. 1917 c.c., i sinistri indennizzabili, si è ritenuto che esso si inscriva nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, entro i quali, a norma dell’art. 1905 c.c, l’assicuratore è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’assicuratore, venendo a delimitare l’oggetto, piuttosto che la responsabilità.

Un ultimo orientamento registrato è quello che ritiene le clausole claims made valide ma da analizzarsi con meritevolezza.

Il controllo di meritevolezza è volto a stabilire se la deroga al regime legale, contrattualmente stabilita attraverso la clausola, sia meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 c.c., pacificamente applicabile anche al singolo patto atipico inserito in un contratto tipico.

Al riguardo le Sezioni Unite abbracciano quest’ultimo orientamento, rilevando che tale valutazione deve essere svolta in concreto per ogni singolo caso.

Ne consegue il seguente principio di diritto: “che nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l’operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia di tempo, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati, c.d. clausola claims made mista o impura, non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero, ove applicabile la disciplina del d.lgs. n. 206/2005, per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti ed obblighi contrattuali. La relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata” (Cass., civ. SS. UU., n. 9140/2016).

Qualora venisse accertata l’immeritevolezza della clausola, le Sezioni Unite sostengono che “esse non possono avere carattere reale, con l’applicazione dello schema legale del contratto di assicurazione della responsabilità civile, e cioè della formula loss occurrance”.

Le Sezioni Unite escludono la immeritevolezza delle clausole c.d. pure che, non prevendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito.

4. Il superamento del controllo di meritevolezza

Successivamente, però, i contratti di assicurazione con clausola claims made hanno trovato riconoscimento anche nel nostro ordinamento, ed in particolare nella l. 8 marzo 2017, n. 24, art. 11 e d.l. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), come novellato dalla l. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26.

Una tale modifica ha inciso sulla qualificazione dei contratti contenenti la clausola in questione, stante che l’espressa previsione legislativa di tali clausole comporta che il contratto che le contiene non può definirsi atipico.

Ed infatti Cass., civ., Sez. Un., 24 settembre 2018, n. 22437 ha ritenuto che il contratto contenente la clausola claims made è perfettamente valido ma sottoposto alla verifica causale così come qualunque altro contratto, al fine di evitare i c.d. buchi assicurativi.

Il Supremo Collegio avvia il proprio iter argomentativo, rilevando, preliminarmente, che il modello claims made si inserisce nell’area di tipicità legale e costituisce un modello praticato “per la copertura dai rischi per danni da eziologia incerta e/ da lungolatenza”.

Ritenuto che il modello contrattuale basato sulle claims made rientra nell’assicurazione della responsabilità civile e rappresenta una deroga pattizia all’art. 1917, co.1, c.c. e rilevato che siffatto meccanismo avrebbe ormai trovato copertura positiva, la Corte afferma che sia naturale conseguenza di quanto rappresentato il superamento del giudizio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c., giacché quest’ultimo è ancorato al presupposto dell’atipicità contrattuale, mentre il modello assicurativo basato sulle claims made è ormai tipizzato.

Al contrario “occorre indagare, con la lente del principio della buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale “on claims made basis” presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazione contro danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo”.

Ne deriva, pertanto, che è possibile indagare la causa concreta, affinché emergano squilibri tra interessi a cui sia possibile porre rimedio.

In mancanza di corrispettività, stante la tutela generale che l’assicurazione vuole garantire vale a dire la tutela del terzo, il giudice dovrà dichiarare la nullità ex art. 1418 c.c. della clausola in questione, garantendo l’equo contemperamento degli interessi in forza della norma di cui all’art. 1418, comma 2, c.c. così da integrare lo statuto negoziale sulla base della stessa regolamentazione legislativa.

Regolamentazione, che per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura”, orientare a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell’assicurato, oltre che delle istanze sociali.

Da ultimo, i principi affermati dalle Sezioni Unite sono stati ripresi da Cass., civ., Sez. III, 13 novembre 2019, n. 29365, secondo cui il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale.

Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto, sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale e quella dell’attuazione del rapporto, con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati, ossia: responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva come, ad esempio, recesso in caso di denuncia di sinistro.


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