La clausola floor nei contratti di mutuo

La clausola floor nei contratti di mutuo

Una disamina alla luce della decisione ABF, Collegio di coordinamento, n. 4137/2024

di Michele Di Salvo

La “clausola floor” può essere inserita nei contratti di finanziamento stipulati con consumatori, volta a parametrare la prestazione del cliente mutuatario, fissando una soglia minima (floor) del tasso di interesse previsto dal contratto.Questa consente all’intermediario di garantirsi una remunerazione minima indipendentemente dalla fluttuazione dei tassi di interesse: ove l’andamento dei tassi sia tale da ridurre il costo del denaro, la clausola floor permette all’intermediario di evitare di dover continuare a finanziare il cliente per un corrispettivo, parametrato al tasso di interesse sul capitale finanziato, non adeguato.

In questo senso è l’opposto della “clausola cap” che pone un limite “superiore” inteso come limite massimo al tasso, e che tutela il cliente rispetto a eccessive fluttuazioni di mercato.

In genere gli istituti di credito inseriscono la clausola floor in via discorsiva nei propri contratti senza renderla specificamente evidente, mentre omettono quasi sempre una clausola cap, facendo affidamento tacito sul fatto che esistono soglie massime usuraie (comunque molto alte ed onerose).

La clausola floor è la protagonista della decisione in analisi (ABF, Collegio di coordinamento, decisione n. 4137/2024) e del dibattito che per anni ha coinvolto dottrina, giurisprudenza e l’ABF.

I punti caldi del dibattito, da leggersi nell’ottica garantistica del Codice del Consumo di cui agli artt. 33 e 34, riguardano la qualificazione della clausola floor.

Il focus deve porsi sulla questione se tale clausola sia da intendersi come elemento essenziale del contratto, e dunque quale patto che accorre a determinare l’oggetto e/o l’adeguatezza del corrispettivo, o meno. In caso di risposta affermativa, la clausola sarebbe esclusa dal vaglio di vessatorietà imposto dal Codice del Consumo. Al contrario, a tale controllo non potrebbe sfuggire, e dovrebbe valutarsi se l’inserimento della stessa provoca uno squilibrio significativo a carico del consumatore.

Nel caso concreto che ha spinto l’ABF ad appellarsi al Collegio di Coordinamento il ricorrente affermava di aver stipulato con un intermediario un mutuo fondiario da restituirsi mediante il pagamento di rate mensili. Con il medesimo contratto si obbligava a corrispondere gli interessi ad un tasso variabile. Lamentava che l’art. 5 del contratto, disponendo che il tasso d’interesse applicato non poteva “scendere al di sotto del valore dello spread applicato e pari a 2,50% (clausola floor)”, annullava qualsiasi beneficio per il mutuatario. Affermava dunque la nullità e vessatorietà della clausola floor, in quanto il mutuo corredato di tale clausola determinerebbe, a carico del consumatore, un esagerato squilibrio giuridico e normativo.

L’intermediario resistente eccepiva che le condizioni del mutuo erano consacrate nel contratto stipulato per atto pubblico. Rilevava che una clausola siffatta “non risulta contrastare con alcuna norma inderogabile e la giurisprudenza dell’ABF ha escluso la possibilità di considerarla invalida, salvo il caso in cui essa sia formulata in modo oscuro e poco comprensibile e (o) assuma natura vessatoria (cfr. Collegio di Roma, 18479/20; Collegio di Bologna 17910/19)”. Sul punto, richiamava l’ordinanza n. 18275 del 25/06/2021, Cass., Sez. II, Pres. Manna, Rel. Giusti, secondo cui “le clausole contenute in contratto di mutuo stipulato tramite rogito notarile sono da considerarsi chiare e conosciute perché oggetto di trattazione tra le parti…”.

Infine, eccepiva che l’art. 1341 c.c. non trovasse applicazione nel caso di specie, in quanto l’elenco in esso contenuto deve intendersi come tassativo. Alla luce di ciò, ha domandato il rigetto del ricorso.

I dubbi dell’ABF ineriscono alla dicotomia tra i due orientamenti che si sono pronunciati sul punto: da un lato quello maggioritario dell’ABF, da sempre univoco nel senso di escludere la soggezione della clausola floor al vaglio di vessatorietà ex art. 34 Cod. Cons.. Dall’altro, quello della Corte d’Appello di Milano, di cui alle pronunce 6/09/2022, n. 2836; 24/03/2022; 17/02/2023, n. 558; 19/09/2023, n. 2691, isolato rispetto al pensiero della giurisprudenza di merito, che si pone in netta contrapposizione al pensiero dell’ABF, deponendo per la vessatorietà e conseguente nullità della clausola de qua.

Per tale divergenza, al fine di evitare il sorgere di contrasti interpretativi tra i Collegi territoriali dell’ABF, il Collegio ha valutato un “ripensamento” del proprio orientamento.

L’orientamento seguito dalla Corte milanese vede la clausola floor come accessoria al contratto di mutuo, sulla base del fatto – questo pacifico – che tale schema negoziale, in generale, ben può esistere senza la presenza della stessa. Così ragionando, la Corte esclude che questa previsione incida sulla determinazione dell’oggetto e/o della portata della prestazione del mutuatario.

Il ragionamento della Corte prende le mosse dal disposto dell’art. 34, II comma, Cod. Cons., che esclude dal controllo di vessatorietà le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto. Esclusione che va letta in senso restrittivo, come vuole la CGUE (cfr. sentenza Corte di Giustizia 30/04/2014 Kasler C-26/13), e che dunque non si applica alle clausole accessorie di un contratto.

Seguendo questo pensiero, la clausola floor non può sottrarsi al vaglio di vessatorietà. L’epilogo di tale controllo è che la clausola, ove non compensata da un c.d. “correttivo”, come una clausola cap o una riduzione dello spread, determina di per sé uno squilibrio ai danni del consumatore, relativo ai diritti e obblighi di cui al contratto, che dunque ne rivelerebbe la vessatorietà.

Di altro ed opposto avviso è l’orientamento granitico dell’ABF, immutato anche a seguito delle pronunce della Corte d’Appello di Milano, il quale esclude tout court la vessatorietà della clausola floor inserita nei mutui a tasso variabile.

Ciò sulla base di due ragionamenti: a) tale clausola non rientra nell’elenco tassativo di cui all’art. 1341 c.c., e perciò non potrebbe essere qualificata vessatoria in guisa alla normativa codicistica; b) la clausola floor è inerente alla determinazione dell’oggetto principale del contratto, e deve perciò annoverarsi tra le clausole essenziali (ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 4239 del 3/05/2023). Seguendo tale orientamento, la clausola floor, se formulata in maniera chiara e comprensibile, non comporta mai quel “significativo squilibrio” ai danni del consumatore tale da renderla vessatoria (ABF, Collegio di Napoli, n. 7355 del 16/09/2015), e quindi beneficia dell’esenzione dal vaglio di vessatorietà. Ciò, anche se “a compensazione” non viene previsto alcun correttivo (ABF, Collegio di Milano, Decisione n. 4239 del 23/05/2023).

Ampliando la visuale anche la giurisprudenza di merito si pone in contrasto con il pensiero della Corte d’Appello di Milano. Infatti, le nostre Corti riconducono la clausola floor nel novero delle clausole essenziali di un contratto di mutuo ed escludono, di conseguenza, la sua assoggettabilità al controllo di vessatorietà, salvo che sia formulata in modo non chiaro e comprensibile.

Sul punto anche la dottrina è divisa in due: l’orientamento maggioritario vede la clausola floor rientrare appieno nell’esclusione di cui all’art. 34, II comma, Cod. Cons., in quanto elemento essenziale del contratto. Minoritario l’indirizzo che ritiene che la clausola de quo “…non dovrebbe essere annoverata tra le clausole essenziali, non avrebbe funzione remunerativa, né tantomeno atterrebbe all’entità del prezzo”.

Con la decisione di cui ci occupiamo oggi il Collegio di Coordinamento dell’ABF ha messo un punto ai dubbi dell’ABF: “la clausola floor attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e/o all’adeguatezza del corrispettivo e, pertanto, è esclusa dal vaglio di vessatorietà ai sensi dell’art 34, comma 2°, del codice del consumo, se formulata in maniera chiara e comprensibile”.

Il dato nuovo non è l’orientamento “in sé” ma quanto specificato da ABF: il Collegio, pur conscio che la clausola floor non rientri nei c.d. “essentialia negotii”, essendo pacifico che un mutuo possa esistere pur senza che questa sia prevista, statuisce che, laddove tale clausola venga inserita all’interno di un mutuo, è innegabile che vada a determinare la portata della prestazione di una delle parti. In particolare, contribuisce a circoscrivere la misura minima di un elemento essenziale del contratto, il tasso di interesse. 

Inoltre l’utilizzo della forma solenne dell’atto pubblico valga di per sé ad escludere l’applicabilità della disciplina ex artt. 1341 e 1342 c.c.. La motivazione deve ricercarsi nel fatto che la forma dell’atto pubblico, e l’intervento di un pubblico ufficiale, dovrebbero assicurare la piena conoscenza da parte del “contraente debole” di tutte le condizioni e clausole contrattuali, ivi compresa, dunque, la clausola floor. 

È innegabile che tutte le clausole previste debbano essere oggetto di trattativa tra le parti e che, dunque, anche il contraente “più debole” ne debba accettare integralmente il contenuto. Una clausola di tale portata si pone come meramente eventuale, dipendente da oscillazioni del mercato, e non certo da un’imposizione o un’iniziativa arbitraria del mutuante. Tutto ciò va ad escludere, a priori, qualsivoglia profilo di vessatorietà.

La menzionata sentenza della CGUE 30/04/2014 Kasler C-26/13, che precisa che per “clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto» ai sensi di tale disposizione devono intendersi (…) quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano”, ed anche che “spetta al giudice del rinvio valutare, dati la natura, l’economia generale e le stipulazioni del contratto di mutuo, nonché il suo contesto giuridico e fattuale, se la clausola che determina il tasso di cambio delle rate mensili costituisca un elemento essenziale della prestazione del debitore consistente nel rimborso dell’importo messo a disposizione dal creditore”.

Da ciò ne viene che possono qualificarsi come essenziali anche le clausole che esulano dalla disciplina legale del contratto stesso, come quelle frutto di una trattativa tra le parti, le quali, inserendole in contratto, le ritengono, appunto, imprescindibili.

Anche l’assetto contrattuale e la qualificazione delle clausole ivi inserite, deve essere fatta caso per caso, valutando il contesto socio-economico in cui tale negozio va ad inserirsi. Ciò dovrebbe avvenire tuttavia nel senso univoco e chiaro di assicurare una maggior tutela non solo al contraente debole, ma anche all’intero assetto negoziale, che si pone quale risultato di un incontro della volontà delle parti.

Tutto ciò tuttavia si scontra troppo spesso con la stragrande maggioranza dei casi di mutui, in cui la banca propone un contratto per tabulas, non negoziabile, “prendere o lasciare” ovvero “tutto o niente”. In questo caso – concreto – le disamine anche da parte dell’ABF e della giurisprudenza trovano poca aderenza con una tutela effettiva, laddove – sempre ragionando in concreto – vi sono pochi o nessun margine per una effettiva negoziazione, ed anche la minima richiesta di modifica porta al diniego della stipula contrattuale da parte del “soggetto forte”.

Addirittura è esperienza comune che clausole ontologicamente accessorie – polizza vita, assicurazioni aggiuntive, omissione di clausole cap etc – si trasformano in “obbligatorie di fatto”, nel senso che senza la loro sottoscrizione il contratto di mutuo non viene stipulato.

In sintesi quindi – ben oltre la disamina di una clausola e il suo corretto inquadramento giuridico – sarebbe essenziale la verifica ex-ante di un contratto “minimo” comunque stipulabile, e la definizione di chiara di queste clausole accessorie come comunque facoltative e negoziabili senza che ciò impedisca ex-post la stipula in sé, valutando il tasso di interesse come strumento di remunerazione che varia anche in funzione delle clausole scelte e negoziate.


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