La collocazione paritetica del minore come fattore di equilibrio

La collocazione paritetica del minore come fattore di equilibrio

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Palmi in data 22.02.2021, avente ad oggetto la modifica delle condizioni  di separazione tra due coniugi, affronta la delicata questione dell’affidamento, della collocazione e del mantenimento del  minore e costituisce un’ulteriore conferma della nuova impostazione giurisprudenziale, volta alla realizzazione di una forma di bigenitorialità effettiva – e non solo nominale – anche dopo la separazione.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un padre che, lamentando gli ostacoli frapposti dalla moglie al proprio diritto di visita al figlio, invocava “una corretta declinazione dell’affido condiviso”.

Principio che, com’è noto, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge n. 54/06 ed, a far data da allora,  è stato applicato in modo pressoché costante, con la sola esclusione delle ipotesi di contrasto con il preminente interesse alla tutela del minore.

In tempi recenti, alcune pronunce della giurisprudenza di merito (Trib. Rieti, 11.10.18 n. 489; Trib. Firenze, 2.11.18 n. 2945; App. Lecce 5.10.18 n. 1696; Trib. Roma, 26.03.19 n. 6447), rimaste peraltro piuttosto isolate, avevano già posto in evidenza il carattere  meramente teorico dell’applicazione che a tale principio si è data nel corso degli anni.

E’ noto infatti che un figlio, pur se affidato ad entrambi i genitori, viene di regola collocato prevalentemente presso uno solo dei medesimi, al quale viene per lo più assegnata la casa familiare,

E’ altrettanto noto, tuttavia, che l’altro genitore, a carico del quale solitamente grava l’obbligo di provvedere al versamento di un assegno di mantenimento in favore del figlio, potendo frequentarlo in orari limitati e, di consueto, “ludici”, non ha effettiva contezza delle necessità economiche –  e non solo – del medesimo (cfr. Trib. Catanzaro, 28.02.19 n. 443).

Emergeva pertanto dalle sopracitate pronunce l’opportunità di ricorrere, in difetto di serie ragioni ostative, da valutarsi caso per caso, al diverso regime della cosiddetta “shared residence” o “joint or shared physical custody”, pacificamente riconosciuto come valido da fonti sovranazionali (Convenzione ONU 1989; art. 24 c.3 Carta di Nizza; Ris. Consiglio d’Europa 2015 n. 2079) e già ampiamente applicato, sia  in Europa, sia negli Stati Uniti .

La conformità del medesimo alla legislazione italiana in materia, nonché all’interesse dei minori, è stata infine affermata anche dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva peraltro espresso in precedenza alcune riserve in merito al possibile ”effetto destabilizzante” della continua modifica della propria casa di abitazione (cfr. Cass. Civ., sent. n. 4060 del 15.02.2017).

La Corte di Cassazione, Sez. I Civile, con la sentenza n. 19323 del 17.09.2020, superando tali perplessità, ha invece dichiarato che l’affido condiviso comporta una “frequentazione dei genitori tendenzialmente paritaria, in difetto di “serie ragioni ostative”, quali la distanza tra i luoghi di residenza dei genitori.

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Palmi il 22.2.21, richiamando nella propria motivazione il principio affermato dalla Suprema Corte nella sopracitata sentenza,  aderisce al nuovo orientamento giurisprudenziale in materia di shared residence, fornendo ulteriori motivazioni a supporto del medesimo.

In primo luogo, il Giudice precisa che quello alla bigenitorialità è, anzitutto, un diritto del minore, declinato nell’art. 337 ter cc”, ai sensi del quale “è compito del Tribunale valutare (…)  i tempi e le modalità di permanenza della prole presso ciascun genitore”.

In secondo luogo, sottolinea la necessità che il figlio abbia lo “stesso apporto in termini di affettività, di tempi, di presenza, di vissuto quotidiano, di acquisizione di consuetudini di vita ecc”, al fine di garantire al medesimo di ricevere da ciascun genitore “cura, educazione, istruzione e assistenza morale” nonché di  avere con ognuno di essi un rapporto effettivamente “equilibrato e  continuativo”, precisando che tale risultato ben può garantirsi solo mediante una “suddivisione paritetica dei tempi di permanenza” presso il padre e presso la madre.

La particolarità della pronuncia in oggetto, rispetto a quelle che, in precedenza, che avevano affrontato lo stesso tema, è il fatto di porre in rilevo che il collocamento prevalente presso un solo genitore, di regola disposto in tutti i casi di affidamento condiviso, genera una relazione sbilanciata “ non solo in termini di minore apporto (…) che viene garantito al figlio da parte del genitore non collocatario, ma altresì in termini di significativo aggravio della posizione del genitore collocatario, di fatto responsabile della maggior parte della gestione quotidiana del minore e quindi più significativamente inciso nella possibilità di condurre scelte quotidiane (in termini di lavoro, di svago, di vita privata)”.

Aspetto, quest’ultimo, normalmente trascurato in quanto ritenuto del tutto secondario rispetto al preminente interesse alla tutela del minore, ma che deve essere invece valutato, in quanto funzionale al medesimo, come appare evidente non appena si osservi che la frustrazione del genitore che sente gravare su di sé tutte le responsabilità relative alla cura della prole ed è, nel contempo, limitato nelle decisioni inerenti la propria persona, è spesso fonte di contrasti tutt’altro che salutari per la prole medesima.

Alla luce di quanto sopra, nonché del fatto che la  collocazione paritetica del minore comporta, ovviamente, una netta riduzione dei possibili conflitti  in materia di assegnazione di casa familiare e di assegno di mantenimento, si ritiene di potersi concludere che tale regime, lungi dall’avere l’effetto destabilizzante in passato temuto dalla Suprema Corte, rappresenta, in realtà, un fattore di equilibrio, con effetti positivi sia per il figlio, sia per i genitori separandi.


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