La compensatio lucri cum damno
L’istituto della “compensatio lucri cum damno” trae spunto dalla natura prettamente risarcitoria della responsabilità civile, la quale assume nel nostro ordinamento una funzione essenzialmente reintegratoria, essendo diretta a ripristinare la situazione patrimoniale che il danneggiato vantava prima della verificazione dell’evento dannoso.
Ciò, in particolare, esclude la possibilità che il danneggiato possa trovarsi, a seguito del risarcimento, in una situazione economicamente migliore di quella in cui si trovava prima dell’evento di danno, conseguendo altrimenti un ingiustificato arricchimento.
E’ in quest’ottica che assume rilevanza l’istituto in parola, il quale impone di considerare, nella determinazione del risarcimento, i vantaggi che il danneggiato può eventualmente aver conseguito a seguito dell’evento lesivo.
Se dall’atto dannoso deriva anche un vantaggio, dunque, questo deve essere calcolato in diminuzione del risarcimento, posto che la sua misura deve coincidere con quella dell’interesse leso.
La “compensatio” trova quindi il proprio fondamento logico nella concezione di danno quale valutazione globale di tutti gli effetti scaturiti dalla condotta illecita, compresi quelli eventualmente favorevoli.
Sebbene nessuna norma lo preveda espressamente, l’operatività dell’istituto non può pertanto essere messa in dubbio, discendendo dalla natura della responsabilità civile e dalla funzione che il risarcimento del danno assume nel nostro ordinamento.
Ciò nonostante, controverso è stato il suo ambito di applicazione ed, in particolare, le condizioni entro le quali la stessa può trovare effettivo riconoscimento.
Inizialmente si riteneva che a tal fine fosse necessario che le voci poste in compensazione, ovvero il pregiudizio e l’incremento patrimoniale, discendessero in via diretta ed immediata dal medesimo evento dannoso, nonché avessero la medesima natura giuridica.
Di diverso avviso è la giurisprudenza più recente, la quale esclude in primo luogo la necessità che le poste in compensazione abbiano carattere omogeneo.
D’altra parte, quanto all’immediatezza del nesso causale e all’unicità dell’evento, si accoglie una nuova concezione del nesso di causalità fondata su di un’interpretazione estensiva dell’art. 1223 c.c., la quale impone di considerare nel risarcimento anche le conseguenze solo mediate ed indirette dell’illecito.
Tanto premesso, l’istituto della “compensatio lucri cum damno” trova indiscussa applicazione in tutte quelle ipotesi che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta lesiva, il quale è obbligato a provvedere al risarcimento sulla base di un unico titolo.
Trattasi, nello specifico, del caso in cui la stessa condotta abbia cagionato un pregiudizio e contestualmente un vantaggio nella sfera giuridica del danneggiato, nella quale è certamente necessario, ai fini della determinazione del danno, prendere in considerazione l’entità dei vantaggi conseguiti dalla vittima per effetto dell’illecito.
Sotto il profilo strutturale, infatti, si evidenzia la sussistenza di un’unica causa giustificativa, mentre sul piano funzionale, si osserva, la compensazione è essenziale per evitare che il danneggiante sia costretto a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare il patrimonio leso.
Maggiori dubbi sono invece sorti con riferimento a quelle fattispecie dalle quali, per effetto della condotta lesiva posta in essere dall’agente, scaturiscono, sulla base di titoli diversi, due obblighi risarcitori in capo a soggetti differenti.
Tali ipotesi si verificano, in particolare, nell’eventualità in cui l’ordinamento imponga, quale conseguenza del fatto illecito, accanto all’obbligo di risarcire il danno in capo all’autore della condotta lesiva, anche quello di corrispondere un’indennità in capo ad altro soggetto specificatamente individuato.
Si pensi, nello specifico, a tutte quelle forme di assicurazione privata, nelle quali è fatto obbligo all’assicuratore di tenere indenne il soggetto assicurato dei danni patiti in conseguenza della verificazione di un sinistro, ovvero a quelle c.d. di assicurazione sociale, disciplinate da leggi speciali, le quali assicurano ai lavoratori una tutela contro gli infortuni e le malattie professionali o, ancora, a quelle che garantiscono ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per provvedere al proprio sostentamento una tutela assistenziale, come per esempio l’indennità di accompagnamento.
Le fattispecie in parola si connotano per la presenza di duplici rapporti giuridici bilaterali: anzitutto, la relazione tra l’autore dell’illecito e la parte danneggiata; d’altra parte, la relazione tra quest’ultima ed il soggetto obbligato a titolo diverso.
Un primo orientamento esclude che in siffatte ipotesi possa trovare applicazione l’istituto della “compensatio”, dovendo al contrario ammettere il cumulo tra le differenti voci risarcitorie.
A sostegno di tale conclusione si osserva che la diversità dei titoli delle obbligazioni, e dunque dei rapporti giuridici scaturenti dall’illecito, costituisce certamente, sul piano strutturale, idonea causa giustificativa delle differenti attribuzioni patrimoniali, nonché, sotto l’aspetto funzionale, impedisce di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno.
Di contrario avviso è invece la giurisprudenza più recente, la quale propende anche in questo caso per l’applicazione della compensazione.
In primo luogo, si afferma, la diversità dei titoli delle obbligazioni non è in realtà suscettibile di giustificare un cumulo tra le voci risarcitorie, stante l’unicità della condotta causativa e dunque della fonte dalla quale tali obbligazioni sono scaturite.
A tal riguardo si evidenzia la necessità di pervenire ad un’interpretazione omogenea dell’art. 1223 c.c., il quale non può certo condurre a conclusioni differenti a seconda che si tratti di accertare il danno o il vantaggio. In entrambi i casi, infatti, occorre prendere in considerazione, oltre alle conseguenze immediate e dirette del fatto illecito, anche quelle aventi carattere mediato ed indiretto, tra le quali possono certamente ricomprendersi quelle derivanti dalla medesima condotta ma aventi titolo differente.
Decisiva in questo senso è inoltre la norma di cui all’art. 1916 c.c., la quale consente all’assicuratore che ha pagato l’indennità di surrogarsi, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili.
Per effetto della surrogazione, infatti, il danneggiante potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato che all’ente che ha corrisposto l’indennità alla parte lesa, finendo così per attribuire al risarcimento una funzione punitiva, in contrasto con la natura reintegratoria della responsabilità civile ed in mancanza di un’espressa previsione legislativa che lo consenta.
Sulla base di queste considerazioni, la giurisprudenza ha dunque ritenuto che la rendita Inail – prestazione economica a contenuto indennitario volta a mitigare il pregiudizio subito dal lavoratore in conseguenza di un infortunio – debba essere detratta dalla liquidazione del danno riconosciuto al lavoratore a seguito di sinistro stradale imputabile al fatto illecito altrui, stante il fatto che entrambe le somme sono finalizzate al risarcimento del medesimo danno.
Nello stesso senso si è deciso in tema di assicurazione privata, dove si è escluso il cumulo tra l’indennità corrisposta dall’assicuratore al danneggiato e la somma versata a titolo di risarcimento dal danneggiante.
A diverse conclusioni è invece pervenuta la giurisprudenza con riferimento al trattamento pensionistico, del quale se ne è ammesso il cumulo con il risarcimento del danno patrimoniale dovuto al familiare di persona deceduta a causa del fatto illecito altrui.
In tal caso, infatti, pur intendendo in senso lato il nesso di causalità di cui all’art. 1223 c.c., la S.C. ha escluso che il risarcimento del danno ed il trattamento pensionistico possano ritenersi entrambi conseguenze del medesimo evento dannoso, posto che la causa di quest’ultimo non può certo rinvenirsi nell’evento morte, il quale assurge a mera occasione dell’erogazione, quanto piuttosto in altre circostanze, quali il rapporto di lavoro pregresso e il versamento dei relativi contributi.
Non sembra invece porsi un problema di compensazione nell’ultima fattispecie che nella pratica può avverarsi, ovvero quella nella quale, a seguito della condotta illecita, sorgono in capo al medesimo soggetto due distinte obbligazioni risarcitorie per effetto di titoli differenti.
A titolo di esempio, si pensi al caso del danno da emoderivati infetti, in presenza del quale il Ministero può certamente essere chiamato a risarcire il pregiudizio patito dal soggetto leso, a causa di un’omessa vigilanza, sulla base dell’art. 2043 c.c., e in relazione al quale la l. n. 210/1992 prevede la corresponsione da parte dell’ente di un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati.
In questo caso, si osserva, non vi è l’esigenza di evitare il cumulo tra il danno ed il lucro, come avviene appunto nella “compensatio lucri cum damno”, quanto piuttosto la necessità di evitare che possano cumularsi analoghe voci risarcitorie.
Qui, infatti, a fronte di un’unica condotta illecita si assiste al sorgere in capo allo stesso soggetto, ed in base a titoli differenti, di due diverse obbligazioni risarcitorie aventi ad oggetto il medesimo danno, con la conseguente necessità di sancire, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa della responsabilità civile, il divieto di cumulo, detraendo dalla somma dovuta a titolo di risarcimento quella corrisposta a titolo indennitario.
Tale interpretazione ha trovato anche conferma legislativa nell’ipotesi di violazione da parte dell’ente pubblico del termine di conclusione del procedimento amministrativo: ai sensi dell’art. 2 bis l. n. 241/90, infatti, in tale evenienza l’istante ha diritto al risarcimento del danno qualora il ritardo sia dovuto a dolo o colpa dell’amministrazione, nonché ad un indennizzo qualora il ritardo sia invece incolpevole; in quest’ultimo caso, afferma espressamente la norma, l’indennizzo deve essere detratto dall’eventuale risarcimento.
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L'avvocato Cuccatto è titolare di uno studio legale in provincia di Torino con pluriennale esperienza nel campo del diritto civile, penale ed amministrativo.
L'avvocato è inoltre collaboratore esterno di un importante studio legale di Napoli, specializzato nel diritto civile.
Quale cultore della materie giuridiche, l'avvocato è autore di numerose pubblicazioni in ogni campo del diritto, anche processuale.
Forte conoscitore della disciplina consumeristica e dei diritti del consumatore, l'avvocato fornisce la propria rappresentanza legale anche a favore di un'associazione a tutela dei consumatori.
Quale esperto di mediazione e conciliazione, l'avvocato è infine un mediatore professionista civile e commerciale.
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