La confisca per equivalente nei reati tributari
Con la recente sentenza n. 46973 resa in data 16 ottobre 2018, la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione ha scrutinato la compatibilità ai principi costituzionali di colpevolezza e personalità della responsabilità penale (art. 27 comma 1 Cost.) ed eguaglianza (art. 3 Cost), dell’istituto nella confisca per equivalente per i reati tributari, come introdotto dal rinvio operato dall’art. 1, comma 143, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244, a tenore del quale “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.
La questione sottoposta al vaglio del Supremo Collegio esprime la sintesi delle tensioni ermeneutiche che, in subiecta materia, si agitano tanto in dottrina quanto in giurisprudenza con particolare riferimento alla natura giuridica della confisca per equivalente ed alla sua conseguente tenuta costituzionale, ogni qualvolta risulti impossibile la previa applicazione della confisca diretta, avente indubbia natura di misura di sicurezza patrimoniale.
Il caso pratico traeva origine da un ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 12-bis, comma 1, d.lgs. 74/2000, ritenuta la impossibilità di poter applicare ed eseguire il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, per ireati di omesso versamento (art. 10-bis e 10-ter d.lgs. 74/2000) commessi a mezzo di persona giuridica.
Il ricorrente sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-bis, comma 1, d.lgs. 74/2000 in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., premettendo la natura giuridica della confisca per equivalente quale misura ablativa avente connotazione prevalentemente afflittiva e, dunque, eminentemente sanzionatoria.
I motivi di contrasto costituzionali avevano ad oggetto la dubbia compatibilità dell’art. 12-bis, comma 1, d. lgs. 74/2000, anzitutto, con il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.) atteso che, per disporre la confisca per equivalente, la giurisprudenza nomofilattica maggioritaria (Cass. Pen. Sez. UU, 30 gennaio 2014, n. 10561; Cass. Pen. Sez. UU., 26 giugno 2015 n. 31617) riterrebbe sufficiente la mera impossibilità di quella diretta.
Talché l’ablazione del tantundem risulterebbe del tutto avulsa da un effettivo maggior disvalore riferibile alla condotta del reo, essendo rimessa a circostanze accidentali e, quindi, sganciate da un effettivo rimprovero di colpevolezza.
Sotto ulteriore profilo, la confisca per equivalente avrebbe come effetto la violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), giungendosi alla conseguenza di applicare ad una medesima condotta illecita conseguenze diverse in ragione della ricorrenza di circostanze del tutto involontarie, rappresentate – appunto – dalla mera impossibilità di disporre la confisca in via diretta.
Nel respingere in toto la questione di legittimità costituzionale, la Corte di Cassazione argomenta il proprio ragionamento condividendo, in esordio, le premesse del ricorrente in ordine alla distinzione tra la natura giuridica della confisca per equivalente e la natura giuridica della confisca diretta.
Precisamente, “mentre la confisca diretta assolve a una funzione essenzialmente preventiva, perché reagisce alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prodotto, il prezzo o il profitto…la confisca per equivalente, invece, colpisce beni di altra natura, che non hanno alcun nesso pertinenziale con il reato, palesando una connotazione prevalentemente afflittiva ed ha, dunque, una natura eminentemente sanzionatori”.
Ciò posto, la Corte censura il presunto contrasto costituzionale tra l’art. 12-bis, comma 1, d. lgs. 274/2000 ed il principio di personalità della responsabilità penale osservando – in contrario – come la confisca per equivalente deriverebbe proprio dal disvalore insito nella condotta delittuosa commessa dal legale rappresentante societario, alla stregua di una complessiva valutazione negativa dell’azione delittuosa operata sulla base della risposta sanzionatoria offerta dallo Stato anche mediante l’ablazione del tantundem.
In secondo luogo, la Corte richiama il principio di “immedesimazione organica” tra legale rappresentante e società nel cui interesse il medesimo agisce, attribuendo al giudizio di prevedibilità del profitto illecito il paradigma di imputazione dolosa che rende legittima la confisca per equivalente, talché l’ordinamento appresta una reazione composta da una pluralità di sanzioni “eziologicamente collegate al suo comportamento illecito ed unitariamente incorporate nella norma incriminatrice, di cui una (la confisca per equivalente) soltanto eventuale perché subordinata all’impraticabilità della confisca in forma specifica, che costituisce la prima opzione”.
La Corte di Cassazione offre, in altri termini, una visione d’insieme del sistema penal-repressivo in materia di omesso versamento commesso in seno alla persona giuridica, laddove, accanto alla sanzione penale stricto sensu intesa, viene predisposta un’ulteriore conseguenza sanzionatoria giustificata dall’evidente unità antigiuridica della condotta.
Ne consegue, come logico corollario, la perfetta compatibilità dell’art. 12-bis comma 1, d.lgs 74/2000 anche in relazione al principio di uguaglianza a fronte della valutazione del complesso normativo in esame “privo di profili di irragionevolezza, coerente con la ratio legis della disposizione censurata e pienamente allineato rispetto alla scopo della disposizione finalizzata a rafforzare, con la confisca–sanzione, l’interesse dello Stato alla regolare percezione dei tributi in modo che la Repubblica persegua gli obiettivi socio-politico -economici necessari al fine di adempiere agli obblighi di solidarietà sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione”.
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Roberto Santoro
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