La confisca: tipologie, natura e novità giurisprudenziali
Sommario: 1. La confisca diretta (o di proprietà) misura di sicurezza – art. 240 c.p. – 2. La confisca per equivalente ex art. 240, co. 2 c.p. – pena – 3. La confisca delle somme di denaro non è una confisca per equivalente, quindi non è una pena (SS.UU. nr. 42415/2021) – 4. La confisca allargata (o estesa o per sproporzione) ex art. 240-bis c.p. – misura di sicurezza – 5. SS.UU. 2023 nr. 4145: cd. confisca senza condanna – 6. La confisca misura di prevenzione – 7. La confisca di prevenzione: in particolare, la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, lett. b) d.lgs. 159/2011 (Corte Cost. 24/2019) – 8. Le forme di confisca “speciali”
Abstract. Il nostro ordinamento penale fa largo ricorso allo strumento della confisca, tanto che, più che di “confisca penale”, appare più corretto parlare di “confische penali”, ognuna connotata da finalità, disciplina, natura e presupposti diversi. Preliminarmente occorre specificare, infatti, che la confisca può essere riconducibile ad una misura di sicurezza (con finalità tendenzialmente special preventiva, irrogabile solo ove sia stato commesso un reato o un quasi reato), ad una pena (funzione repressivo-sanzionatoria), ad una misura di prevenzione (con funzione principalmente ripristinatoria e preventiva, applicabile ante o praeter delictum) o ad una misura civile o amministrativa. In molti casi, tuttavia, la qualificazione della singola confisca appare difficile, per via del fatto che essa si presenta spesso come una figura ibrida, con caratteri propri dell’una e dell’altra categoria di misure.
1. La confisca diretta (o di proprietà) misura di sicurezza – art. 240 c.p.
La confisca prevista dall’art. 240 c.p. è una misura di sicurezza patrimoniale, che consiste nell’espropriazione a favore dello Stato di cose che, provenendo da illeciti penali o comunque collegati alla loro esecuzione, mantengono vive l’idea e l’attrattiva del reato. Essa ha, infatti, la funzione di prevenire la commissione di ulteriori reati. Parallelamente, la confisca ex art. 240 c.p., privando l’agente del provento del reato, impedisce a questi di godere dell’incremento patrimoniale conseguito proprio attraverso l’illecito penale.
Quale misura di sicurezza, la confisca ex art. 240-bis c.p. presuppone la commissione di un reato (o di un quasi-reato). A differenza delle misure di sicurezza personali, essa può (o deve) essere disposta solo ove venga accertata la pericolosità (non del reo, ma) della cosa oggetto di confisca (cd. pericolosità reale), la quale deve essere in rapporto di pertinenzialità con il provvedimento ablatorio.
Oggetto della confisca è il provento del reato. In particolare: le cose che sono servite o sono state destinate a commettere il reato (ccdd. instrumenta delicti), ovvero le cose che ne costituiscono il prodotto1 o il profitto2 (confisca facoltativa) – deve trattarsi di cose legate al reato da un nesso eziologico diretto ed essenziale, tale da renderle oggettivamente pericolose; e quelle che costituiscono il prezzo3 del reato (confisca obbligatoria). Ai sensi dell’art. 240 c.p., è sempre disposta la confisca anche dei beni e degli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione dei reati elencati dalla stessa norma, nonché delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituiscono reato. Quest’ultimo caso di confisca, come dispone espressamente la norma, prescinde dall’inflizione di una condanna.
In realtà, parte della dottrina dubita della riconducibilità della confisca prevista dall’art. 240, co. 1 c.p. alla categoria delle misure di sicurezza, in ragione del fatto che tale norma comprende una varietà di casi in cui la misura può (o deve) essere disposta. A seconda dei casi in cui essa è disposta, infatti, afferma parte degli interpreti, la confisca ex art. 240 c.p. assolve funzioni diverse e quindi sarebbe assimilabile a figure diverse di confisca. In particolare, si sostiene che soltanto la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato svolga una funzione special preventiva, tipica delle misure di sicurezza. La confisca delle cose che costituiscono prodotto, profitto e prezzo del reato, invece, assolverebbe, secondo questo orientamento, una funzione prettamente punitiva (e general preventiva). Infine, la confisca delle cose obiettivamente illecite (es. armi, stupefacenti, banconote false, alimenti nocivi etc.) costituirebbe conseguenza indefettibile e obbligatoria del divieto normativo di fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione.
2. La confisca per equivalente ex art. 240, co. 2 c.p. – pena
La confisca per equivalente è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 3, co. 1 legge 300/2000, che si inserisce nel solco del processo di espansione delle forme di confisca, nonché del novero dei beni confiscabili. Con tale misura, infatti, non si acquisisce la cosa che è in relazione di pertinenzialità con il reato, bensì un bene diverso di valore equivalente, anche se acquistato anteriormente o successivamente rispetto al fatto di reato, nei casi in cui non sia possibile l’apprensione diretta dei proventi del reato. Essa, applicandosi quindi solo qualora non sia possibile procedere con una confisca diretta, presenta carattere residuale.
La confisca per equivalente, non avendo ad oggetto un bene oggettivamente, socialmente pericoloso, ma una porzione di patrimonio che, in sé, non presenta nessun collegamento col reato. Per questo motivo, tale tipologia di confisca, per costante giurisprudenza, non assolve una funzione di prevenzione né di difesa sociale (i beni confiscati non hanno nessun legame con il fatto di reato, tant’è che può trattarsi anche di beni di origine lecita), quanto piuttosto una funzione repressiva, sanzionatoria. Data la sua natura afflittiva, la confisca per equivalente è ormai pacificamente considerata dalla giurisprudenza una sanzione penale, come tale assoggettata allo statuto delle pene, che include in primis il principio di irretroattività sfavorevole (art. 25 Cost. e art. 7 Cedu). Il soggetto, infatti, in questi casi, viene punito per l’illecito commesso proprio attraverso l’applicazione della confisca di valore.
3. La confisca delle somme di denaro non è una confisca per equivalente, quindi non è una pena (SS.UU. nr. 42415/2021)
Si è posto in giurisprudenza il problema, poi risolto dalle SS.UU. (sentenza nr. 42415/2021), di comprendere se, nei casi in cui il profitto del reato sia rappresentato da una somma di denaro, la confisca del denaro giacente sul conto corrente bancario sia da considerare come una confisca diretta (del bene che è in rapporto di pertinenzialità del reato) o come una confisca per equivalente, quindi una pena, assoggettata, perciò, al principio di legalità, di riserva di legge e di irretroattività sfavorevole (art. 25 Cost. e art. 7 Cedu).
Il problema applicativo si pone allorquando il reo riesca a dimostrare la provenienza lecita delle somme di denaro presenti sul proprio conto corrente. Le SS.UU. del 2021, in linea di continuità con le SS.UU. Lucci4, ribadiscono il principio secondo cui, quando il prezzo o il profitto derivante dal reato sono costituiti da denaro, allora la confisca deve sempre essere qualificata come “diretta”, in quanto si tratta di un bene fungibile, che si confonde nel patrimonio personale del reo, rendendo impossibile identificare le specifiche somme di denaro che costituiscono i proventi del reato commesso. In altre parole, quando l’attività illecita pregressa ha generato denaro, la confisca di denaro sul c/c non è mai una confisca per equivalente (anche se non si confiscano esattamente le banconote che costituiscono i proventi dell’illecito), ma in natura, in forma specifica.
In questo modo, affinché possano essere confiscate tali somme, non occorre provare il nesso di pertinenzialità di queste con il fatto di reato. Ciò consente, in presenza di determinati reati, come quelli tributari, di procedere alla confisca di una somma di denaro equivalente a quella risparmiata per il tramite della condotta illecita, il cui profitto, in questi casi, consiste non in un diretto incremento patrimoniale, ma in un mancato decremento.
Inoltre, secondo questa prospettiva, tale tipologia di confisca trova la sua base normativa nell’art. 240 c.p. ed in quanto misura di sicurezza, e non pena, avendo essa effetti meramente ripristinatori e non punitivi, non soggiace alle garanzie costituzionali e convenzionali previste relativamente alle sanzioni penali.
Salvo il caso in cui nel patrimonio del soggetto non ci sia nessun attivo, cioè non ci sia denaro. In quest’ultimo caso non si può confiscare il denaro, ma un bene per equivalente. In tali ipotesi, la confisca diventa, in termini civilistici, un fenomeno di novazione oggettiva, quindi una confisca per equivalente, dunque una pena.
4. La confisca allargata (o estesa o per sproporzione) ex art. 240-bis c.p. – misura di sicurezza
La confisca allargata, al pari della confisca di prevenzione (vedi punto 6), si basa sulla presunzione della sospetta provenienza illecita di determinati beni. Con questo genere di confisca, funzionale a contrastare in particolare la criminalità organizzata, lucrogenetica, si realizza un alleggerimento dell’onere della prova normalmente gravante sull’accusa: nella confisca ordinaria, infatti, è il PM che deve fornire la prova del collegamento tra il bene da confiscare e il reato (cd. nesso di pertinenzialità, derivazione, strumentalità), mentre qui è il destinatario della confisca a dover provare la provenienza lecita dei beni. In altre parole, nella confisca allargata vige la presunzione di sproporzione dei beni del soggetto rispetto alle sue attività lecite e quindi della loro provenienza illecita. Si tratta di una presunzione relativa, che può essere vinta tramite la prova della provenienza lecita, giustificata dei beni5.
La confisca in casi particolari (art. 240-bis c.p.) può essere disposta anche in fase esecutiva (art. 183-quater disp. att. c.p.). Postulando la sussistenza di un reato sorgente, spia, matrice – il soggetto viene condannato per un certo reato e quella condanna è indice presuntivo della commissione da parte del soggetto di altre attività illecite da cui derivano i beni da confiscare – la confisca ex art. 240-bis trova la sua naturale collocazione nel giudizio di cognizione.
Il potere del giudice dell’esecuzione di disporre la confisca rappresenta, invece, un potere surrogatorio, esercitabile nei casi in cui i beni da confiscare non siano emersi nel giudizio di cognizione. Il giudice dell’esecuzione, infatti, non può disporre la confisca di beni non confiscabili da parte del giudice della cognizione; non può, cioè, esercitare un potere ulteriore rispetto a quest’ultimo, per cui potrà confiscare solo i beni riferibili al soggetto fino alla sentenza di condanna. Diversamente, si permetterebbe un’esplorazione continua sul patrimonio del soggetto e ciò farebbe venir meno la distinzione tra confisca di prevenzione (connotata appunto da questa esplorazione continua) e confisca misura di sicurezza. Diverso è il caso in cui i beni presenti nel patrimonio del reo al momento del giudizio di esecuzione siano stati acquistati con beni già esistenti nel patrimonio prima della sentenza di condanna: in quest’ultimo caso, infatti, c’è stata solo una sostituzione del bene già confiscabile da parte del giudice di cognizione6.
5. SS.UU. 2023 nr. 4145: cd. confisca senza condanna
Per confisca senza condanna si intende quel provvedimento ablatorio che, per espressa previsione dell’art. 578-bis c.p.p. (introdotto nel 2018 e modificato nel 2019)7, può essere disposto anche in caso di prescrizione del reato (non c’è condanna). Il giudice d’appello o la Corte di Cassazione (secondo la giurisprudenza più recente, anche il giudice di primo grado8), nel dichiarare estinto il reato per prescrizione, ai sensi della norma citata, decide sull’impugnazione ai soli fini della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato (cioè, degli elementi costitutivi del reato, seppur prescritto).
Preme precisare che, come afferma la maggior parte della giurisprudenza, l’obbligo di immediata declaratoria delle cause di estinzione del reato (art. 129, co. 2 c.p.p.) impedisce al giudice di proseguire il giudizio per accertare la responsabilità dell’imputato ai soli fini dell’applicazione della confisca, una volta che il reato sia prescritto. Conseguentemente l’accertamento della responsabilità dell’imputato deve essere già stato compiuto, deve essere già risultare negli atti, prima che sia intervenuta la prescrizione. Solo in questi casi il giudice può disporre la confisca, nonostante che la condanna non possa essere pronunciata proprio perché è maturato il termine di prescrizione del reato.
Questa norma ha posto problemi di diritto intertemporale, relativamente alle confische riconducibili a quella per equivalente, che ricade, come sopra precisato, nello statuto delle pene.
Se, infatti, parte della giurisprudenza, affermava la natura esclusivamente processuale dell’art 578-bis c.p.p., valorizzandone la collocazione, le SS.UU. hanno sostenuto la tesi opposta, evidenziando che l’art. 578-bis c.p.p., nonostante sia collocato nel codice di procedura penale e sebbene non introduca un nuovo caso o una nuova figura di confisca, consente di applicare la confisca ad ipotesi alle quali prima della norma non era applicabile (prima dell’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p., la giurisprudenza era granitica nel ritenere che la confisca non potesse essere disposta ove il reato fosse prescritto). Per questo motivo, la Cassazione a Sezioni Unite definisce la disposizione in esame una norma mista processuale e sostanziale. Con specifico riguardo, allora, ai casi in cui si disponga (dopo che il reato sia prescritto e quindi ai sensi dell’art. 578-bis c.p.p.) la confisca per equivalente, essendo ormai pacifica la sua funzione punitiva e la sua natura di vera e propria sanzione penale, l’art. 578-bis c.p.p. (norma processuale con effetto sostanziale), non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, pena la violazione del principio di irretroattività sfavorevole e di prevedibilità (artt. 25 Cost. e 7 CEDU)9.
6. La confisca misura di prevenzione
La confisca allargata e la confisca di prevenzione sono species di un unico genus, quello della confisca di beni di sospetta origine illecita, accertata mediante uno schema legale di carattere presuntivo. La prima, però, ha natura di misura di sicurezza; l’altra, invece, è una misura di prevenzione patrimoniale, oggi prevista dal d.lgs. 159/2011 (“Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”),10 che incide sul diritto di proprietà e che si basa sulla presunzione che il bene oggetto di confisca sia stato acquistato con i proventi di attività illecite. Questa presunzione, a sua volta, si fonda su tre elementi: la pregressa attività criminosa del soggetto; la sproporzione tra il valore dei beni e l’attività economica che svolge; la mancata giustificazione della provenienza di quella ricchezza.
Tale presunzione è, infatti, relativa: il soggetto può superarla fornendo la prova contraria; può, cioè, giustificare la provenienza non delittuosa dei beni, analogamente a quanto previsto con riguardo alla confisca allargata ex art. 240-bis c.p.
La confisca di prevenzione si distingue dalla confisca-pena e dalla confisca-misura di sicurezza non tanto sul piano funzionale, quanto piuttosto su quello strutturale: essa, infatti, risulta applicabile indipendentemente dalla commissione di un reato (misura ante o praeter delictum). Sotto il profilo funzionale, la confisca di prevenzione assolve una funzione sia preventiva che ripristinatoria11. La logica della confisca di prevenzione è, infatti, quella di riportare il soggetto nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se non avesse posto in essere l’attività illecita, privandolo quindi della ricchezza acquistata illecitamente (l’attività delittuosa, infatti, non può costituire valido titolo di acquisto di un bene). Incidendo sul diritto di proprietà, la confisca di prevenzione deve avere una base legale; per lo stesso motivo – cioè, per il fatto di incidere sulla proprietà e non sulla libertà personale – tale tipologia di confisca non ricade, invece, nella riserva di giurisdizione.
Ai sensi del codice antimafia (art. 16), la confisca si applica a tutti i soggetti ai quali possono essere applicate le misure di prevenzione personali (anche disgiuntamente rispetto a quest’ultime e indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto), così come elencati nell’art. 4, che comprende sia i casi di cd. pericolosità qualificata, sia a quelli di pericolosità cd. generica. Con particolare riguardo a quest’ultima, l’art. 1, lett. a, b e c, dello stesso d. lgs. fa riferimento a:
“(a) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi;
(b) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
(c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
Per quanto concerne il procedimento, la confisca può essere richiesta dal Procuratore della Repubblica del distretto in cui dimora il destinatario, dal Procuratore nazionale antimafia, dal Questore e dal Direttore della DIA (art. 17), al Tribunale del capoluogo in cui il soggetto dimora. Il tribunale può ordinare, con decreto motivato, il sequestro dei beni “dei quali la persona nei cui confronti è stata presentata la proposta risulta poter disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero quando sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”, ma, il sequestro è revocato se è dimostrata la legittima provenienza (art. 20). I beni sequestrati, entro un anno e sei mesi, sono confiscati dal Tribunale, ove il destinatario del sequestro non riesca a giustificare la provenienza dei beni.
7. La confisca di prevenzione: in particolare, la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, lett. b) d.lgs. 159/2011 (Corte Cost. 24/2019)
La Corte Edu, nel 2017 (sentenza de Tommaso vs Italia12), pur tenendo ferma l’impostazione secondo cui le misure di prevenzione non rientrano nella materia penale ai sensi degli artt. 6 e 7 Cedu, ha affermato il contrasto della disciplina delle misure di prevenzione personali fondate sulle fattispecie di pericolosità ‘generica’ di cui all’art. 1, nn. 1) e 2), della legge 1423/1956 – trasfuse nell’art. 1, lett. a) e b), del codice antimafia (d. lgs. 159/2011) – con la libertà di circolazione, così come garantita dall’art. 2, Prot. 4, CEDU, ed in particolare perché violative sia del principio di tassatività sia del principio di prevedibilità, in quanto non contenendo previsioni “sufficientemente dettagliate su che tipo di condotta sia da considerare espressiva di pericolosità sociale” (§ 117) e non identificando chiaramente gli ‘elementi fattuali’, né le specifiche tipologie di condotte che devono essere prese in considerazione per valutare la “pericolosità sociale” del proposto, non consentono a quest’ultimo di prevedere le conseguenze giuridiche derivanti dalla sua condotta.
Sulla scia della sentenza della Corte Edu, è intervenuta successivamente la Corte Cost., che nel 201913 ha dichiarato incostituzionali tutte quelle norme che consentivano di disporre il sequestro e la confisca ex d.lgs. 159/2011 alle persone indicate nell’art. 1, comma 1, lett. a), cioè a “coloro che debbono ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”, in quanto violative del principio di tassatività e quindi di prevedibilità. D’altra parte, la Corte ha rigettato la questione di legittimità del disposto di cui alla lett. b) dello stesso articolo (“coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”), posto che la giurisprudenza, proprio a partire dalla sentenza De Tommaso, ha enucleato una serie di indici sulla base dei quali desumere la sussistenza dei presupposti della misura, conferendo così alla fattispecie un sufficiente grado di “tassativizzazione”14.
A fronte di tali pronunce, che hanno avuto un forte impatto sul sistema normativo italiano delle misure di prevenzione, si è registrato in giurisprudenza un dibattito circa la revocabilità del giudicato avente ad oggetto una confisca disposta sulla base del presupposto dell’essere dedito abitualmente a traffici delittuosi (artt. 1, lett. A) e 16 Codice Antimafia). Il problema applicativo è stato risolto dalle SS.UU. della Cassazione15, le quali hanno ritenuto applicabile al caso in esame l’art. 28 Codice antimafia, norma che, al co. 2, consente la revocazione del giudicato “in ogni caso” al fine di far verificare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura. Infatti, afferma la Cassazione, la declaratoria di incostituzionalità ha efficacia retroattiva, per cui è come se tale presupposto non fosse mai esistito e quindi è come se la confisca fosse stata disposta ab origine in difetto dei requisiti necessari.
8. Le forme di confisca “speciali”
Una figura di confisca che ha suscitato molteplici dubbi interpretativi, in gran parte risolti attraverso il dialogo tra la nostra Corte Costituzionale e la Corte Edu, è rappresentata dalla confisca urbanistica, prevista e disciplinata dall’art. 44 D.P.R. 380/2001. Più precisamente, la norma, al co. 2, prevede la confisca obbligatoria dei terreni e dei fabbricati oggetto del reato di lottizzazione abusiva.
Al fine della confisca urbanistica, per espressa previsione dell’art. 44, occorre che sia accertato il reato suddetto. Proprio in ordine a quest’ultimo requisito, la giurisprudenza è stata chiamata a chiarire se, ai fini della confisca urbanistica, la norma richiedesse l’irrogazione di una sentenza di condanna o se fosse sufficiente l’accertamento degli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva (contenuto ad esempio in una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione). Se precedentemente, infatti, la confisca urbanistica era considerata una mera sanzione amministrativa, applicabile quindi senza necessità che vi fosse stata condanna, ad oggi, a seguito dei numerosi interventi giurisprudenziali delle Corti nazionali e sovranazionali, essa è stata ricondotta nell’alveo delle confische penali. La Corte Edu, infatti, ha affermato a più riprese16 che la confisca urbanistica ha una funzione anche punitivo-repressiva, tipica della confisca penale. Di conseguenza, ha sancito la stessa Corte, affinché tale misura possa essere disposta, risulta necessario che vi sia stata una condanna. Il concetto di condanna, tuttavia, deve essere inteso in senso sostanziale17: è necessario, cioè, che il fatto di lottizzazione abusiva sia accertato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, nel contraddittorio tra le parti (condanna sostanziale), a nulla rilevando che poi si pervenga ad una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento per intervenuta prescrizione18.
Nel novero delle forme speciali di confisca, particolare rilevanza assume la confisca nei reati tributari.
L’istituto della confisca è stata esteso alla materia tributaria attraverso la legge 16.03.2006, nr. 146, di ratifica della Convenzione di Palermo, nonché dalla legge finanziaria 24.12.2007, nr. 244, art. 1, comma 143, con la quale è stata prevista l’applicazione del provvedimento ablatorio di cui all’art. 322-ter c.p. (che sancisce la confisca obbligatoria dei proventi dei delitti contro la p.a.) anche ai reati tributari19. Successivamente, il legislatore ha accolto le istanze di risistemazione e riordino della materia tributaria e, per mezzo dell’art. 10 d.lgs. 158/2015, ha introdotto l’art. 12-bis all’interno del d.lgs. 74/2000, estendendo il novero dei delitti per i quali si dispone la confisca del prezzo o del profitto a tutti i reati tributari ivi previsti e, contestualmente, abrogando, al suo articolo 14, il comma 143 dell’articolo 1 della legge 244/2007.
Peraltro, occorre specificare che, in materia di reati tributari, il d.l. 26 ottobre 2019, n. 123, di recepimento della Direttiva 2017/1371/UE, ha introdotto l’art. 12-ter d.lgs. n. 74/2000, norma che impone l’applicazione della confisca prevista dall’art. 240-bis c.p. (confisca in casi particolari, per sproporzione) in caso di condanna o patteggiamento per taluno dei delitti previsti dal d.lgs. n. 74/2000, diversi da quelli di omesso versamento di ritenute e di IVA (artt. 10-bis e 10-ter). Parte degli interpreti ha evidenziato che l’estensione dell’ambito applicativo della confisca allargata anche ai reati tributari rischia di porre dubbi di compatibilità con la CEDU (art. 4, Protocollo 7), nella parte in cui impone il divieto di ne bis in idem, nei casi in cui tale strumento finisca per sovrapporsi alle misure del procedimento amministrativo-fiscale, posto che, ai sensi dell’art. 20 del d.lgs. 74/2000, tale procedimento risulta autonomo rispetto al procedimento penale, in quanto «non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione». In tal modo, infatti, si riconosce a giudici diversi il compito di decidere dei procedimenti penali e tributari, aventi comunque ad oggetto gli stessi fatti.
Inoltre, per quanto concerne i reati tributari, preme specificare che, attraverso il provvedimento ablatorio in esame, si confisca quel particolare provento delle frodi fiscali rappresentato (non da un incremento patrimoniale, ma) da un risparmio di spesa, da un mancato depauperamento (derivante dal mancato pagamento di tributi, interessi o sanzioni, dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario). Questa particolare forma di profitto ha creato numerosi problemi applicativi, posto soprattutto che dalla definizione della nozione di profitto confiscabile dipende la determinazione del confine tra confisca diretta e confisca per equivalente: più precisamente, tanto maggiore è l’estensione del concetto di profitto, tanto più ampia sarà la possibilità di ricorrere alla confisca diretta, così da evitare i limiti applicativi di quella per equivalente (la quale, come sopra precisato, è considerata una vera e propria sanzione penale).
Le SS.UU. della Corte di Cassazione, infatti, sono state chiamate a più riprese a precisare quando, in materia tributaria, la confisca del profitto sotto forma di risparmio di spesa fosse riconducibile ad una confisca diretta o ad una confisca per equivalente. La Suprema Corte, fin dal primo pronunciamento nel 200820, ha affermato che la confisca del denaro sarebbe sempre diretta, eccetto il caso in cui non vi sia disponibilità di denaro liquido e dovendo, pertanto, aggredire gli altri beni disponibili nel patrimonio (nel caso deciso dalla Corte, la confisca era disposta a carico del patrimonio di una persona giuridica).
Questa impostazione è stata poi corroborata dalle SS.UU. Lucci21, le quali nel 2015 affermano che “ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica (…) con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza del numerario comunque accresciuto di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario» (punto 16 del Considerato in diritto).
Alla nuova confisca allargata, disciplinata dal combinato disposto degli artt. 12 ter d. lgs. nr. 74 del 2000 e 240 bis c.p. prevista per la massima parte dei reati fiscali commessi dal contribuente persona fisica si affianca la confisca ex art. 19 d. lgs. n. 231 del 2001 applicabile alla “persona giuridica” per i nuovi reati presupposto individuati dall’art. 25 quinquiesdecies d. lgs. n. 231 del 2001 commessi nell’interesse o a vantaggio dello stesso ente, da ultimo modificato con il d.lgs. 75/2020 in attuazione della Direttiva PIF (Direttiva 2017/1371/UE).
In particolare, la confisca del profitto della persona giuridica, di cui agli artt. 9 e 19 d. lgs. n. 231 del 2001, persegue una precisa funzione general preventiva: attraverso l’ablazione di ogni profitto derivante dall’illecito, si tende a scoraggiare l’illecito stesso, frustrando lo scopo di lucro che rappresenta il principale, se non l’unico, scopo dei reati presupposto di cui l’ente intende avvantaggiarsi.
A questo obiettivo politico criminale si affianca quello di repressione della criminalità d’impresa, foriera di gravi pericoli per il mercato e per la concorrenza. Da tali considerazioni emerge – e la giurisprudenza è pressoché unanime nell’affermarlo – che la confisca ex d. lgs. 231/2001 assume la natura di una vera e propria pena, così come risulta confermato dallo stesso art. 9 del corpo normativo citato, che definisce espressamente tale misura come “sanzione”.
Tale qualifica comporta necessariamente che tale forma di confisca, da una parte, non essendo più collegata alla pericolosità reale dell’oggetto dell’ablazione, ma avendo un contenuto afflittivo, non possa prescindere da una condanna dell’ente destinatario della misura (principio di responsabilità personale)22 e, dall’altra, che ad essa sia esteso il sistema di principi e garanzie riconosciute in relazione alle sanzioni penali, primo fra tutti il principio di legalità, previsto dall’art. 2 d.lgs. 231/2001, secondo cui “l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto”.
La confisca ex d.lgs. 231/2001 incontra i limiti derivanti dalla necessità di riparare le conseguenze dannose dell’illecito. È proprio a partire da tale considerazione che può essere spiegata la previsione del limite alla confiscabilità del provento dell’ente rappresentato dalla parte del profitto o del prezzo da restituire al danneggiato. Infatti, se lo scopo della confisca è quello di sanzionare l’ente, precludendogli di godere dei proventi dell’illecito, tale funzione ben potrà essere perseguita anche ove le somme o i beni confiscati siano destinati a ristorare il danneggiato.
L’art. 19 d.lgs. 231/2001 prevede sia la confisca di valore (co. 1) che quella per equivalente (co. 2). Per quanto concerne questa seconda forma di confisca, ci si è chiesti se essa debba intendersi obbligatoria al pari di quella prevista dal co. 1 o se, invece, essa sia contemplata dal legislatore come facoltativa – l’art. 19, infatti, utilizza espressioni differenti nel comma 1 (“è sempre disposta”) e nel comma 2 (“può essere disposta”). La giurisprudenza prevalente propende per la prima tesi, osservando che la locuzione “può” utilizzata dal legislatore sta a significare che l’ablazione del profitto dipende dall’accertamento della sussistenza di una serie di presupposti, verificata la quale la confisca rimane comunque obbligatoria.
Note:
1 Prodotto: le cose che provengono dalla attività illecita (es. moneta falsa).
2 Profitto: “vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito” (Cass. SS.UU. n. 31617/2015). Es. assegni ricevuti dall’autore del reato di usura, nel limite del vantaggio usurario; beni oggetto della refurtiva nel reato di furto o di rapina.
3 Prezzo: compenso dato o promesso ad un soggetto per indurlo, istigarlo o determinarlo a realizzare un reato (Cass. SS.UU. n. 9149 del 03/07/1996). Es. nel reato di corruzione, l’utilità materialmente corrisposta al corrotto o, alternativamente, quella promessa, se la dazione non ha luogo.
4Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015 (dep. 21 luglio 2015), n. 31617.
5 L’art. 240-bis c.p., infatti, in relazione ad alcuni reati elencati dalla stessa norma, dispone: “è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”.
6 Le Sezioni unite (SS.UU. 27421/2021) hanno ricomposto il contrasto giurisprudenziale sul punto, formulando il seguente principio di diritto: «Il giudice dell’esecuzione, investito della richiesta di confisca ex art. 240-bis c.p., esercitando gli stessi poteri che, in ordine alla detta misura di sicurezza atipica, sono propri del giudice della cognizione, può disporla, fermo restando il criterio di “ragionevolezza temporale”, in ordine ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino al momento della pronuncia della sentenza per il c.d. “reato-spia”, salva comunque la possibilità di confisca di beni acquistati anche in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima».
7 Art. 578-bis c.p.p. (introdotto nel 2018 e mod. nel 2019).
Decisione sulla confisca in casi particolari nel caso di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione
Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’art. 240-bis del codice penale [confisca allargata] e da altre disposizioni di legge [Es. confisca tributaria ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000] o la confisca prevista dall’art. 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato.
8 La giurisprudenza che estende la previsione di cui all’art. 578-bis c.p.p. anche al giudizio di primo grado si basa sulla ratio della norma in esame, che codifica un principio di matrice sovranazionale (Corte EDU), che è quello della condanna intesa in senso sostanziale: per applicare la confisca, infatti, occorre l’accertamento della responsabilità, cioè degli elementi costitutivi del reato, anche se poi non si può addivenire ad una condanna formale (es. perché il reato si è estinto per prescrizione) – si veda, ad esempio, la sentenza della Corte EDU, Grande Camera, G.I.E.M. S.r.l. ed altri c. Italia (ricorsi nn. 1828/06, 34163/07 e 19029/11), in tema di confisca urbanistica ex art. 44, co. 2 D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia).
In questa prospettiva, anche il giudice di primo grado può disporre la confisca nonostante la prescrizione del reato, sempre a condizione che quando matura la prescrizione sia già maturato l’accertamento del reato.
9 “Il fatto che la confisca per equivalente colpisca beni privi di un qualsiasi nesso di pertinenzialità col reato ne svilisce la natura di misura di sicurezza patrimoniale, rendendo inapplicabile la regola stabilita per le misure di sicurezza dall’art. 200 c.p. (e dall’art. 236, co. 2 c.p., che ne consente la confisca anche in caso di estinzione del reato). Di conseguenza, in relazione a tale forma di ablazione, si pone la necessità di garantire al destinatario una ragionevole prevedibilità delle conseguenze cui si esporrà trasgredendo il precetto penale. In questo senso, l’applicazione retroattiva dell’art. 578-bis c.p.p. a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore determina l’adozione di una pronuncia (in appello o in cassazione) impositiva di un sacrificio patrimoniale “a sorpresa” non prevedibile per il ricorrente, all’atto della commissione del reato. Il fatto che l’art. 578-bis c.p.p., oltre ad essere collocato nel codice di rito, non disciplini i requisiti tipici di un’incriminazione non vale ad escluderne per ciò solo la sua natura (anche solo parzialmente) sostanziale. Infatti, è legge penale ai fini del divieto di retroattività sfavorevole e nel principio di prevedibilità ogni norma che incida negativamente sull’an, sul quantum e sul quomodo della punibilità. Nel fuoco della prevedibilità devono farsi rientrare, sottolineano le SS.UU., tutte le conseguenze sanzionatorie della condotta, al fine di evitare il cd. “effetto a sorpresa”. Quando una disposizione che il diritto interno definisce processuale finisce per incidere sulla severità della pena da infliggere, per la Corte Edu, tale norma deve essere qualificata come diritto penale materiale, cui devono applicarsi i principi di cui all’art. 7 Cedu.” Estratto dall’articolo di Aldo Aceto, in Altalex, “SSUU: inapplicabile l’art. 578-bis c.p.p. ai reati commessi prima della sua entrata in vigore”.
10 La confisca di prevenzione è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 646/1982, c.d. Legge Rognoni–La Torre, approvata dopo l’omicidio Dalla Chiesa ed è stata poi modificata da numerose leggi successive, tanto che nel 2011, con il d.lgs. 9.9.2011, n. 159, si è ritenuto necessario procedere ad un riordino della materia, ora disciplinata dal Titolo II, del libro I del codice antimafia.
11 Per verità, non manca in dottrina chi dubita della funzione e quindi della legittimità costituzionale del sistema delle misure di prevenzione, dotate di un carattere di afflittività tale da risultare delle pene anticipate, ma prive di copertura costituzionale. Per un approfondimento sul tema, “la natura ripristinatoria della confisca di prevenzione: l’ultima frode delle etichette? (nota a Corte Costituzionale 24/19), di Francesco Di Paola, in Diritto di Difesa, Rivista dell’unione delle Camere penali italiane.
Tuttavia, la maggior parte degli interpreti fonda la legittimità costituzionale della confisca di prevenzione sugli artt. 40 e 41 Cost. nella parte in cui stabiliscono rispettivamente che l’iniziativa economica privata debba svolgersi in modo da non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana e che la proprietà privata debba essere indirizzata e coordinata al perseguimento di scopi sociali.
12Corte EDU, Grande Camera, sentenza 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia.
13Sentenza Corte Cost. nr. 24 dep. 27/02/2019, pres. Lattanzi, red. Viganò.
14 In particolare, grazie a questi indici, è stato possibile procedere ad un’individuazione dei “tipi di comportamento” assunti come presupposti della misura, che potrà essere applicata solo se, sulla base di elementi di fatto, sia stato accertato: (a) che il proposto ha commesso delitti per un “significativo arco temporale”; (b) che questi delitti hanno consentito di conseguire dei profitti; (c) che questi profitti (illeciti) hanno rappresentato in un determinato periodo l’unico reddito o quanto meno una componente significativa di tale reddito.
15 Cass., Sez. un., 16 dicembre 2021 (dep. 31 gennaio 2022), n. 3513, Pres. Cassano, rel. Caputo
16 A partire dalla sent. Corte EDU 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia. La Corte è poi ritornata ad verificare la compatibilità della confisca urbanistica con i principi della Cedu (art. 7) nella sent. Corte E.D.U., Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.R.L. e altri C. Italia. Per un approfondimento sul tema: “La Grande Camera ritorna sulla confisca urbanistica fissandone i margini di compatibilità con il principio di legalità penale e la presunzione di innocenza (Corte E.D.U., Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.R.L. e altri C. Italia)” in Processo penale e giustizia, Giappichelli. Da ultimo, si segnala sent. Corte Cost. nr. 27 maggio 2021 (dep. 8 luglio 2021), n. 146, Pres. Coraggio, Est. Petitti 146, ove la Corte Costituzionale, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 d.p.r. 380/2001, conferma gli approdi della giurisprudenza sovranazionale sopra menzionata.
17 Come chiarisce la Corte Cost., in primis nella sent. nr. 49 dep. 26/03/2015, pres. Criscuolo, red. Lattanzi, ove si legge: “nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità. Quest’ultimo, anzi, è doveroso qualora si tratti di disporre una confisca urbanistica”.
18 Resta ferma la necessità che tale accertamento risulti compiuto prima della maturazione della prescrizione del reato, data l’obbligatorietà dell’immediata declaratoria delle cause di estinzione del reato ex art. 129 c.p.p., che preclude al giudice di accertare il reato dopo che esso sia prescritto, neanche ai soli fini della confisca. Ciò è confermato anche dall’art. 578-bis c.p.p., che, facendo riferimento alla confisca “prevista da altre disposizioni di legge”, ricomprende anche quella prevista dall’art. 44 D.P.R. 380/2001, pur non menzionandola espressamente (Cass., Sez. un., sent. 30 gennaio 2020, n. 13539, Pres. Carcano, Est. Andreazza, ric. Perroni).
19 Cioè, i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di IVA, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
20Cass., SS. UU. penali, sent. n. 10208 del 2008 e, successivamente, Cass., SS. UU. penali., sent. n. 10561 del 2014.
21Cass., SS. UU. penali, sent. n. 31617 del 2015, menzionata anche al par. 3 del presente articolo.