Le economie emergenti asiatiche e il contrasto alla contraffazione: meccanismi di enforcement dell’accordo TRIPs
Abstract. Il presente contributo intende concentrarsi sull’analisi degli strumenti legislativi di contrasto al fenomeno della contraffazione dei beni di consumo nei mercati asiatici, sintetizzandone in primo luogo un quadro d’insieme atto ad esplicarne l’ articolazione.
La falsificazione delle merci è un’attività illecita che grava pesantemente sull’economia internazionale “sana”, sottraendole ogni anno significativi punti percentuali di PIL e quote di mercato, confluendo nella black economy parallela.
L’Accordo internazionale TRIPs sulla proprietà intellettuale, promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1995, ad oggi rappresenta il pilastro più importante nella lotta alla contraffazione, insieme ad altri interventi sovranazionali che hanno stratificato un sistema di norme a vantaggio degli Stati coinvolti, nonostante il processo legislativo sia ancora lungo al fine di intensificare e armonizzare le discipline di dettaglio per attuare le riforme in modo definitivo.
Le regole imposte dal trattato sulla tutela della proprietà industriale di marchi e brevetti, oggetto di esame nel secondo paragrafo, sostengono le imprese coinvolte nei traffici illeciti, che sono le principali fautrici della contraffazione: sono, però, in egual modo i soggetti destinatari delle misure in grado di opporre resistenza ai sistemi criminali.
Sommario: 1. Mappare la contraffazione nelle economie asiatiche – 1.2. L’export cinese: un esempio di mercato illecito organizzato – 2. Il “The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights” (TRIPs) – 3. Le misure di contrasto adottate dalle economie emergenti e il ruolo strategico delle imprese
1. Mappare la contraffazione nelle economie asiatiche
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli contraddistingue la contraffazione come “uno dei reati economici che danneggia profondamente l’economia mondiale: in costante aumento, danneggia le imprese e le economie dei Paesi sviluppati come di quelli emergenti, oltre a mettere in grave pericolo la salute e la sicurezza del consumatore”[1].
Il fenomeno, trasversale in tutti i continenti, trova nell’Asia il maggiore esportatore di merci contraffatte.
Una relazione congiunta OECD-EUIPO [2] ha evidenziato che il 79% della merce contraffatta proviene dalla Cina, mentre la logistica dei container via mare è lo strumento di maggiore agevolazione del fenomeno, che genera un traffico pari all’80% delle merci commercializzate a livello internazionale.
La forte diversificazione geografica-economica-culturale-strategica dell’Asia produce una capillarità non omogenea dei processi di falsificazione delle merci; un fattore aggiuntivo che incide sul problema è il tasso demografico del continente (4,69 miliardi di abitanti nel 2021), che partecipa alla formazione di un mercato interno molto esteso, ma lontano dalla strutturazione delle economie occidentali.
La tecnica diffusa della falsificazione dei documenti di trasporto consente agli attori della pirateria di introdurre le merci nei container delle navi cargo nella sfera di influenza delle prestigiose compagnie di logistica commerciale internazionale. I documenti di spedizione e i certificati classificatori dei beni di consumo sono compilati con dati non corrispondenti ai prodotti realmente contenuti: si dichiara che i carichi di merce appartengono ad un determinato settore merceologico, mentre di fatto sono riconducibili ad altre categorie.
“In December 2019, for exemple, an operation involving the smuggling of counterfeit products from China trough ports from New York and New Jersey was broken up. The operation involved 22 containers of counterfeit sneakers which would have sold for USD 472 million, if they had been genuine. The ship manifests bore false information, describing the merchandise as ventilation fans, vases and plastic hangers’’, questo studio dell’EUIPO descrive un’operazione di sequestro di beni contraffatti secondo le pratiche in esame [3].
I falsificatori responsabili dei traffici truffano agenti doganali e brokers mediante l’utilizzo di un’ampia casistica di ragioni sociali registrate negli elenchi pubblici delle imprese, e dunque legali, occultando in questi termini le denominazioni reali delle società “fantasma”.
Un altro sistema di contraffazione delle merci è legato all’alterazione delle caratteristiche fisiche dei beni di consumo: in fase di packaging vengono apposti marchi visivamente identici a quelli originali, superando i controlli doganali.
Il problema dei traffici illeciti in oggetto strozza le economie asiatiche: in primo luogo le attività di pirateria favoriscono la proliferazione delle cosiddette “catene criminali”. Ciò implica un aumento degli indotti a vantaggio del mercato nero in un piano di concorrenza parallela con l’economia legale dei Paesi asiatici; tale condizione comporta una stratificazione del problema che impedisce l’isolamento del fenomeno.
In secondo luogo, la contraffazione provoca danni irreversibili agli ecosistemi in riferimento alle pratiche legali di distruzione obbligata dei rifiuti delle merci sequestrate ormai escluse dall’immissione nel mercato regolare.
In proposito, l’Unione Europea ha censito di aver sequestrato, solamente nel 2005, 76 milioni di articoli contraffatti sottraendoli alle reti criminali dello smaltimento dei rifiuti [4].
I consumatori, bersagliati da una scarsa informazione, usufruiscono secondo buona fede dei beni di consumo contraffatti, riportando danni irreversibili alla salute e alla sicurezza individuale.
Sul primo effetto, la salute, si può fare riferimento al settore dei farmaci contraffatti, di cui l’India è il primo produttore mondiale (75% dei sequestri). I medicinali sono alterati nei loro principi attivi e nelle strutture molecolari che causano malattie e danni permanenti alla persona.
In termini di sicurezza, invece, i prodotti falsi possono trattenere difetti di fabbricazione rispetto ai prodotti originali: il settore automotive in Europa, per esempio, è pesantemente danneggiato da pezzi di assemblaggio non originali, che hanno una maggiore probabilità di non reggere agli urti in caso di incidenti.
L’industria degli articoli in pelle è un altro settore che risente massicciamente delle contaminazioni: la Cina è il primo produttore ed esportatore nel settore di riferimento (71% del traffico di pelletteria a livello mondiale), seguita da Hong Kong (19%), dagli Emirati Arabi Uniti (3%) e dalla Turchia (2%).
Gli hub commerciali di transito dei prodotti in esame prima di seguire le rotte verso Europa e Stati Uniti sono i Paesi del Sud-est asiatico: Cambogia, Filippine e Thailandia che assistono in aggiunta all’utilizzo alternativo delle rotte commerciali aeree e delle spedizioni postali.
Le banche dati OECD-EUIPO studiando i sequestri doganali hanno dimostrato che tra il 2001 e il 2013 gli alimenti contraffatti immessi nei mercati occidentali provenivano per il 20% dal Pakistan, per il 15% dall’India e solo per il 6% dalla Cina.
Identificare i flussi commerciali dei beni alimentari è complesso, ma limitatamente alla Cina si può evidenziare l’esistenza di un segmento consistente di esportazioni in Africa occidentale: Senegal, Benin, Nigeria, mentre per il nord Africa, si segnalano il Marocco e l’Algeria.
1.2 L’export cinese: un esempio di mercato illecito organizzato
L’Agenzia delle Dogane, elaborando i dati provenienti dall’OCSE e dall’OECD, ha redatto uno studio [6] che individua nella Cina il Paese con il più alto tasso di contraffazione al mondo, contribuendo per il 79% al mercato globale.
La diffusione capillare del fenomeno nel Paese è dovuta essenzialmente a tre cause: in primo luogo si evidenzia la facilità di reperimento della manodopera a basso costo, nonostante si sia registrato negli ultimi dieci anni un incremento medio dei salari che argina il fenomeno dello sfruttamento del lavoro in ogni forma.
La seconda ragione riguarda la considerevole capacità di lavorazione delle materie prime di importazione: il mercato dei combustibili fossili, per esempio, ha generato un indotto di 500 miliardi di carbone e petrolio importati nel 2019.
In terzo luogo, la Cina applica uno scarso controllo istituzionale sulla vigilanza ai traffici illeciti legati alla contraffazione, manifestando un comportamento di tacita consensualità verso le attività criminose.
Lo studio OECD-EUIPO sopra richiamato analizza che il trasporto marittimo si conferma anche in territorio cinese come il principale sistema di scambio di merci contraffatte attraverso l’uso di navi mercantili e container.
La Cina ne è il principale attore mondiale, che ha saputo incrementare la propria connettività commerciale marittima con gli altri Stati, passando da uno standard proporzionale di crescita di 100 ad uno di 152, dal 2006 al 2019, con un progressivo incremento del 52% negli ultimi dieci anni.
Le compagnie che gestiscono amministrativamente il giro d’affari miliardario del settore e la logistica dei terminal portuali, impegnate nello smistamento commerciale delle merci contraffatte, meritano un’analisi.
La compagnia di Stato “COSCO Group”, terzo gruppo mondiale di container per dimensioni e indotto, è una società cinese con sede a Pechino dal 1961 che gestisce una flotta di oltre 494 navi.
La società ha messo in atto un significativo piano di espansione nei prossimi anni progettando nuovi magazzini e incrementando le attività di mediazione doganale. Le merci contraffatte commercializzate dal gruppo provengono da qualsiasi settore industriale, tantoché risulta complesso analizzare il fenomeno in ogni sua articolazione.
Una tabella del dipartimento “European Statistics” della Commissione Europea [8] dimostra che il settore profumeria e cosmetica costituisce il traffico più radicato di merce falsa in Cina, smistata via container prima negli snodi intermedi degli Emirati Arabi Uniti, poi verso le rotte europee, con un indice di contraffazione dell’84% su scala mondiale.
I capi di abbigliamento falsi mappano un altro settore fortemente ramificato della “black economy” e seguono le medesime rotte commerciali della cosmetica.
Prendendo in esame questo modello, è opportuno evidenziare che il commercio illecito più diffuso al mondo investe i prodotti di elettronica di matrice cinese (smartphone, tablet, computer, auricolari, microfoni e batterie), con ipotesi di concorrenza sleale irreversibile alle esportazioni lecite nell’Unione Europea e negli Stati Uniti.
Con le stesse dinamiche si è registrato un trend positivo delle piattaforme non originali di streaming online, come Netflix nella sua copia contraffatta di produzione cinese.
In merito all’evoluzione della legislazione statale in tema di proprietà intellettuale, dal momento che negli ultimi venticinque anni la Cina è passata dal sistema di accentramento “maoista” al concetto di economia di mercato, ciò ha permesso che il Paese abbia dovuto tutelare dalle falsificazioni molti settori dell’industria.
A dimostrazione di tale fenomeno si osserva un progressivo aumento della registrazione di marchi e brevetti, “nel 2009 sono state presentate 818.633 domande di registrazione per marchi in Cina, 249.701 domande di registrazione per brevetti per disegni industriali e 240.340 domande di registrazione per brevetti per invenzioni, con un incremento rispettivamente dell’86%, dell’85.5% e dell’89% rispetto al 1999″[9].
L’ordinamento giuridico cinese in materia è costellato dalle ratificazioni sovranazionali dei seguenti accordi: nel 1980 ha fatto ingresso nell’OMPI, successivamente ha concluso la Convenzione di Parigi sulla proprietà industriale (1985), gli Accordi di Nizza (1994), il Protocollo di Madrid sul marchio internazionale (1995) e il trattato “Copyright Tretay” dell’OMPI (2007).
I due documenti nazionali che regolano le leggi sulla proprietà intellettuale, sebbene sia una disciplina caratterizzata da pesanti antinomie normative, sono il “Trademark Law of the People’s Republic of China”, emanato il 23 agosto 1982 e il “Patent Law of the People’s Republic of China” emanato il 12 marzo 1984 per brevetti, disegni industriali e modelli di utilità.
2. Il “The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights” (TRIPs)
I negoziati multilaterali dell’ “Uruguay Round”, intercorsi tra il 1986 e il 1994, avevano portato alla conclusione dell’accordo istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) il 15 aprile 1994, l’Accordo di Marrakech, vincolante in ogni sua parte per gli Stati membri aderenti, nato con l’obiettivo di regolare numerosi aspetti del libero scambio internazionale di beni e servizi: la supervisione sovranazionale del settore agricolo, del tessile, dell’abbigliamento, il settore sanitario, la previsione di misure antidumping, rimedi a tutela delle controversie internazionali, e da ultimo la regolamentazione dei parametri sulle valutazioni in dogana, le ispezioni pre-imbarco, le regole in materia di origine, le procedure attive sulle licenze d’importazione e le misure di salvaguardia.
L’introduzione di queste ultime norme relative alla tutela della proprietà intellettuale ha predisposto, in sede di negoziazione dell’Accordo di Marrakech, la costituzione di un nuovo documento contenente alcune linee guida con l’obiettivo di uniformare le legislazioni dei Paesi aderenti all’OMC (76 Stati nel 1994, attualmente 164) in materia di diritti di proprietà intellettuale.
La carta prese il nome di “The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights” (TRIPs) e fu ratificata dal GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) al momento della sua conclusione.
Il TRIPs, la cui sottoscrizione è vincolante per gli Stati in procinto di divenire membri dell’OMC, ha recepito i trattati internazionali preesistenti sulla protezione delle opere intellettuali, come evidenzia l’art. 1 comma 3 della prima parte del testo dell’accordo: “members shall accord the treatment provided for in this Agreement to the nationals of other Members. In respect of the relevant intellectual property right, the nationals of other Members shall be understood as those natural or legal persons that would meet the criteria for eligibility for protection provided for in the Paris Convention (1967), the Berne Convention (1971), the Rome Convention and the Treaty on Intellectual Property in Respect of Integrated Circuits, were all Members of the WTO members of those conventions. Any Member availing itself of the possibilities provided in paragraph 3 of Article 5 or paragraph 2 of Article 6 of the Rome Convention shall make a notification as foreseen in those provisions to the Council for Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights” (art. 1 comma 3 Parte I).
Una questione di notevole problematicità poteva presentarsi nei confronti di quei Paesi che aderivano al TRIPs senza avere precedentemente ratificato i trattati in oggetto; il nodo fu sanato dal momento che il documento attuale prevedeva standard di tutela più elevati e aggiornati rispetto alle Convenzioni già in essere sopra citate.
L’Accordo ha inoltre attualizzato gli obblighi fondamentali dell’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale) e il trattato di Washington del 1989 sulla proprietà intellettuale in materia di semiconduttori rendendoli obbligatori per i sottoscrittori del TRIPs.
L’esperienziale stratificazione dei trattati “predecessori” a regolazione degli aspetti generali della proprietà intellettuale ha permesso che l’impianto del TRIPs fosse costruito operando una valutazione di merito sulle questioni problematiche che necessitavano maggiore tutela legislativa.
La prima parte dell’accordo, che enuncia i principi generali, introduce un criterio base regolante i rapporti multilaterali tra gli Stati membri.
La clausola del “National Treatment” (art. 3 parte I) in proposito stabilisce che ogni Stato deve riservare nei confronti di sé medesimo un trattamento eguale a quello che utilizza verso gli altri membri, in un’ottica di bilanciamento degli interessi di parte con quelli generali nel tentativo di allontanare le ingerenze individuali. “Each Member shall accord to the nationals of other Members treatment no less favourable than that it accords to its own nationals with regard to the protection of intellectual property, subject to the exceptions already provided in, respectively, the Paris Convention (1967), the Berne Convention (1971), the Rome Convention or the Treaty on Intellectual Property in Respect of Integrated Circuits. In respect of performers, producers of phonograms and broadcasting organizations, this obligation only applies in respect of the rights provided under this Agreement. Any Member availing itself of the possibilities provided in Article 6 of the Berne Convention (1971) or paragraph 1(b) of Article 16 of the Rome Convention shall make a notification as foreseen in those provisions to the Council for TRIPS” (art. 3 parte I).
Il principio in esame prevede un’ulteriore clausola di rafforzamento, ovvero il “most favoured nation treatment”, che disciplina in senso restrittivo l’attribuzione di un vantaggio, di un privilegio o di un’immunità ad un singolo Stato: “with regard to the protection of intellectual property, any advantage, favour, privilege or immunity granted by a Member to the nationals of any other country shall be accorded immediately and unconditionally to the nationals of all other Members. Exempted from this obligation are any advantage, favour, privilege or immunity accorded by a Member: (a) deriving from international agreements on judicial assistance or law enforcement of a general nature and not particularly confined to the protection of intellectual property; (b) granted in accordance with the provisions of the Berne Convention (1971) or the Rome Convention authorizing that the treatment accorded be a function not of national treatment but of the treatment accorded in another country; (c) in respect of the rights of performers, producers of phonograms and broadcasting organizations not provided under this Agreement; (d) deriving from international agreements related to the protection of intellectual property which entered into force prior to the entry into force of the WTO Agreement, provided that such agreements are notified to the Council for TRIPS and do not constitute an arbitrary or unjustifiable discrimination against nationals of other Members” (art. 4 parte I).
Sempre in relazione alle prescrizioni generali, tracciando gli obiettivi del documento, il legislatore muove verso la protezione della proprietà intellettuale come strumento atto a salvaguardare il processo di innovazione tecnologica degli scambi commerciali, giudicandolo un mezzo di segno positivo per la stessa tecnologia: “the protection and enforcement of intellectual property rights should contribute to the promotion of technological innovation and to the transfer and dissemination of technology, to the mutual advantage of producers and users of technological knowledge and in a manner conducive to social and economic welfare, and to a balance of rights and obligations” (art. 7).
Analizzando il contenuto di merito dell’Accordo relativo alla proprietà industriale, le disposizioni identificano i marchi di fabbrica o di commercio congiuntamente all’individuazione di uno standard minimo in cui l’applicazione del TRIPs possa operare: il parametro in esame riguarda la parificazione dei dritti dei marchi sulla tutela di beni e servizi.
La seconda sezione della seconda parte dell’Accordo regola i “trademarks” (i marchi). Gli Stati membri possono mettere in relazione il concetto di registrabilità con l’intenzionalità dell’uso del marchio; l’utilizzo effettivo di un marchio non è prerequisito vincolante per la registrazione presso le autorità amministrative.
Il titolare del marchio, essendo l’esclusivo proprietario dello stesso, può impedire a terzi non autorizzati l’utilizzo indebito di segni che riconducano a valori similari inducendo il consumatore nell’errore di valutazione nell’acquisto del bene, “in case of the use of an identical sign for identical goods or services, a likelihood of confusion shall be presumed. The rights described above shall not prejudice any existing prior rights, nor shall they affect the possibility of Members making rights available on the basis of use”. (art. 16 sezione 2).
Un’altra ipotesi riguarda la registrazione del marchio ai fini della conservazione nel tempo indipendentemente dal suo utilizzo continuativo, ma è necessario in questa ipotesi provvedere alla cancellazione in seguito all’inutilizzo prolungato per almeno tre anni. Inoltre, alcune restrizioni di marchi relativi alle importazioni insieme ad alcuni standard governativi per la commercializzazione di prodotti tutelati possono essere addotte come validi presupposti per il mancato utilizzo, dunque suscettibili di cancellazione dai registri amministrativi.
Un altro aspetto meritevole di attenzione ex parte seconda della terza sezione del documento riguarda le “Geographical indications”.
Il principio che il legislatore ha voluto introdurre ha lo scopo di offrire protezione alle denominazioni originali dei luoghi nei quali i beni ivi prodotti sono conosciuti dai consumatori con i medesimi toponimi dei luoghi (es. lo Champagne).
La circostanza in analisi può generare pubblicità ingannevole ai danni dei consumatori indotti nell’acquisto di una determinata merce “mascherata” con un prestigioso toponimo.
Per questo l’art. 22 del TRIPs tutela tale ipotesi invitando i singoli membri dell’Accordo a fornire quegli strumenti giuridici che possano evitare l’utilizzo improprio delle denominazioni originali connesse a individuate zone geografiche, “in respect of geographical indications, Members shall provide the legal means for interested parties to prevent: (a) the use of any means in the designation or presentation of a good that indicates or suggests that the good in question originates in a geographical area other than the true place of origin in a manner which misleads the public as to the geographical origin of the good” (art. 22).
Il legislatore rafforza gli elementi in esame con un disposto integrativo a disciplina dell’industria vitivinicola (art. 23 sull’ “Additional Protection for Geographical Indications for Wines and Spirits”): la denominazione originale dei prodotti geograficamente individuati non può mai essere fedelmente riprodotta, ma è necessario utilizzare nella traduzione dei nomi e delle descrizioni dei beni consumabili espressioni quali “genere”, “tipo”, “stile”, “imitazione”.
La quarta sezione della seconda parte è dedicata all’ “industrial design” (artt. 25 e 26) che agisce utilizzando gli stessi strumenti di tutela che l’Accordo applica nella protezione dei marchi verso terzi.
Per mezzo delle applicazioni funzionali del diritto d’autore o la protezione dei disegni e dei modelli industriali, ogni membro può grazie alla discrezionalità che l’Accordo attribuisce a ciascuno Stato adoperarsi per ottenere le tutele legali relative ai costi, alla pubblicazione e agli esami delle informazioni e dei segreti industriali.
L’art. 68 nella parte settima del TRIPs ha introdotto un organismo pubblico denominato “Council for TRIPs” a cui è attribuita responsabilità legale sul buon funzionamento dell’Accordo e al suo costante monitoraggio. Il Consiglio si riunisce in “regular meetings” che hanno il compito di discutere i problemi chiave che il documento persegue e le questioni relative all’interpretazione dell’Accordo: “transparency mechanisms, such as TRIPS notification obligations, questionnaires and exchanges of questions and replies among WTO members, help the Council monitor the operation of the Agreement. The Council annually reviews reports on technical cooperation and capacity-building activities as well as on developed countries’ implementation of the obligation to provide incentives to their industries to transfer technology to least developed countries (LDCs). In addition, it reviews the functioning of the system that permits the granting of compulsory licences for export of medicines”[10].
Per quanto attiene invece alla risoluzione delle controversie commerciali che l’Accordo può sollevare tra due o più Stati membri, è chiamato ad operare il “Dispute Settlement Body”, l’organo conciliativo dell’OMC competente a conoscere la lite.
Il TRIPs ha assistito infine ad un tentativo di aggiornamento con l’“Anti-Counterfeiting Trade Agreement” (ACTA), un accordo commerciale negoziato a partire dal 2007 con la compartecipazione di quaranta Stati e di attori non statali con l’obiettivo di revisionare e armonizzare le regole contenute nel TRIPs in particolare relativamente ai brevetti, alla contraffazione, alle regole sul copyright e alla pirateria informatica.
L’ACTA però già in fase di negoziazione è stato oggetto di numerose critiche da parte del Parlamento Europeo e della Commissione Europea, oltre che la riservatezza sul contenuto dell’accordo da parte dagli USA in persona del presidente Barack Obama per ragioni di sicurezza nazionale.
L’Accordo è stato sottoscritto il 1°ottobre 2011 da Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Singapore e Stati Uniti e da ventidue Stati membri dell’UE il 26 gennaio 2012.
Il Parlamento Europeo però ha respinto il 4 luglio 2012 la ratifica del trattato sindacando i negoziati dell’accordo con ragioni di trasparenza relativamente alla prevaricazione di interessi lobbistici.
3. Le misure di contrasto adottate dalle economie emergenti e il ruolo strategico delle imprese
Il TRIPs sopra esaminato, in sede di sottoscrizione, ha attribuito alle economie emergenti del Sud-est asiatico undici anni di tempo (1995-2005) per porre in essere le direttive scaturenti dal documento, un termine più lungo rispetto a quello imposto ai Paesi sviluppati (un anno), che è stato oggetto di ulteriori deroghe dilatorie per gli ordinamenti più deboli (Vietnam, Cambogia, Laos), mentre il termine accordato era di cinque anni per i Paesi nei quali era in corso un processo di trasformazione da un sistema di economia dirigista ad un sistema di libero mercato.
Nonostante il regime di flessibilità che il TRIPs ha assegnato alle economie in analisi con il requisito temporale, queste ultime non hanno introdotto nei reciproci ordinamenti giuridici il combinato di regole meno restrittive contenute nell’Accordo, che avrebbero potuto favorire le esportazioni dei brevetti, già fonte di introiti per questi Stati.
Ciò si è potuto verificare se si considera la debolezza degli standard legali interni e in particolare degli organismi economico-giuridici pubblici preposti all’attuazione dei meccanismi di favore come le eccezioni sui brevetti, le importazioni parallele e i limiti alle autorizzazioni obbligatorie.
Gli esecutivi delle economie in analisi dovrebbero mettere in atto sistemi di contrasto più organizzati e concentrati sul fenomeno della contraffazione introducendo in primo luogo un metodo unitario e condiviso tra le diverse economie dell’area in grado di censire il maggior numero di dati possibili sulla radicalizzazione della contraffazione, il margine di crescita, e gli attori coinvolti.
In secondo luogo, è necessario condurre indagini cautelative mirate per bersagliare i centri di fabbricazione e smistamento delle merci falsificate.
È necessario che gli Stati più sviluppati del continente sostengano le multinazionali e le imprese a partecipazione statale per mettere in campo controlli serrati sui prodotti commercializzati, volti a tutelare al massimo i propri beni per evitare che vengano contraffatti.
Sotto il profilo pratico questi intenti possono essere attuati rendendo obbligatori confezionamenti ed imballaggi speciali e sostenendo finanziariamente gli imprenditori più meritevoli rendendoli attivamente partecipi dei programmi interni ed esterni anticontraffazione.
Un terzo elemento di assoluta necessità è quello che il rapporto OECD-EUIPO sopra citato definisce “cooperazione tra il settore pubblico e quello privato’’ [11]. È infatti evidente che a livello sovranazionale le organizzazioni internazionali, l’UE e gli altri attori non istituzionali come le ONG e le imprese nella messa in atto dei processi di internazionalizzazione, promuovano politiche di congiuntura strategica con i Paesi asiatici per arginare e indebolire la portata del fenomeno.
La responsabilità d’impresa in relazione alla diffusione delle merci contraffatte nei mercati dell’import – export va ricercata a incominciare dai processi produttivi.
A questo proposito, qualora le aziende introducessero da principio un controllo capillare sui prodotti di matrice originale, sarà statisticamente meno probabile assistere ad ipotesi di contraffazioni piuttosto che intervenire con le operazioni di controllo una volta che il bene è stato prodotto e avviato ad un nuovo stadio evolutivo.
In ripresa dei concetti analizzati in sede di esposizione del TRIPs è necessario richiamare che il soggetto inventore-imprenditore può sottoscrivere dei contratti commerciali di licenza per mezzo dei quali cedere ad imprese terze il diritto di utilizzare il proprio bene per un termine stabilito dalla scrittura. Ciò permette di ridurre i vuoti di controllo che innestano le attività criminali.
Un ulteriore performante strumento di tutela verso terzi nella disponibilità dell’inventore-imprenditore è il segreto commerciale, che protegge il campo delle invenzioni nelle iniziali fasi di creazione, nei successivi processi di fabbricazione e anche in relazione alle informazioni riservate su fornitori e clienti.
Le piattaforme digitali di e-commerce gestite dalle imprese hanno velocizzato i cicli temporali delle attività illecite permettendo di eludere i controlli statali nelle rivendite al dettaglio o nel commercio “all’ingrosso”.
Le leggi sulla registrazione dei domini virtuali permettono di isolare un sito web svolgente attività di commercio elettronico blindando la denominazione con formattazioni uniche e irriproducibili, controllati dalle stesse imprese che devono prevedere sistemi di vigilanza telematica per impedire la contraffazione dello stesso sito o il suo utilizzo indebito.
Le banche dati online delle aziende possono inoltre ricevere tutela giuridica attraverso gli strumenti di esclusività che le regole sul diritto d’autore permettono di utilizzare.
Note
[1] Cfr. sul punto Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Cos’è la contraffazione, in www.adm.gov.it
[2] OECD-EUIPO, Trade in Counterfeit Pharmaceutical Products, in Illicit Trade, 2020
[3] Cfr. in rimando alla nota [2]
[4]Commissione Europea, Taxation and Customs Union, in https://taxation-customs.ec.europa.eu/
[5] Savona E., Organized Property Crime in the EU, in Transcrime, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2020
[6] Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, L’impatto economico della contraffazione e della pirateria, in Studi e ricerche, 2010
[7] Lain S. – Nouwens V., Illicit Financial Flows and Corruption in Asia, in Royal United Services Institute, 2017
[8] Commissione Europea, European statistics, in Eurostat – European statistics (europa.eu)
[9] Cfr. EUIPO, dati e statistiche in Marchi – EUIPO (europa.eu)
[10] Cfr. sul punto www.wto.org/english/tratop_e/trips_e/intel6_e.htm
[11] Cfr. in rimando alla nota [2]
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