La controversa natura delle ordinanze extra ordinem: atti normativi o provvedimenti amministrativi?

La controversa natura delle ordinanze extra ordinem: atti normativi o provvedimenti amministrativi?

Sommario: Introduzione – 1. Il principio di legalità amministrativa nel sistema delle fonti – 2. La controversa natura delle ordinanze extra ordinem: il parallelismo con gli atti necessitati – 3. Ordinanze, poteri impliciti e regime processuale – 4. Conclusioni

 

Introduzione

L’incidenza del potere pubblico sul cittadino, ormai libera dall’assolutismo dell’ancien regime, ha trovato da tempo un suo equilibrio e un adeguato contenimento nel principio di legalità amministrativa.

Nel rispetto della legalità, e del corollario della riserva di legge, si impone che ogni forma di esercizio del pubblico potere, positivo o negativo, debba essere autorizzato da una norma primaria dello Stato e spiegarsi secondo i parametri contenutistici e finalistici da essa stabiliti.

Se è vero che ogni provvedimento è retto dalla quella tipicità garantista delle posizioni soggettive è altrettanto vero che, nel nostro ordinamento, la legge, in situazioni eccezionali, autorizza la promulgazione di atti che si distinguono per un contenuto atipico e atecnico.

Questa libertà contenutistica costituisce il punto dolente nell’alveo del garantismo dello Stato di diritto ove, appunto, ogni intervento potenzialmente limitativo dei diritti individuali necessita di circoscrizione.

Tali sono le ordinanze contingibili e urgenti, dette anche “libere”, disciplinate dall’art.54 Testo Unico degli enti locali D.lgs. 18 agosto 2000, n.267 e definite come ordinanze dal contenuto atipico, ad effetti temporanei e dotate di forza derogatoria rispetto alla legge primaria.

Questo tipo di atti possono essere adottati dal Sindaco in situazioni di “necessità e urgenza”.

Le ordinanze vanno tenute distinte dagli “atti necessitati”, ovvero quei provvedimenti amministrativi dal contenuto tipico e determinati nella procedura, di cui la norma primaria stabilisce la condizione di pericolo o “necessità” cui è subordinata l’adozione da parte dell’organo competente.

Rispetto agli atti necessitati, pacificamente amministrativi, le ordinanze sono un fenomeno posto in un limbo che ne rende difficoltoso l’inquadramento giuridico, poiché i loro elementi strutturali non consentono di stabilirne una qualificazione immediata.

Invero tali atti, pur essendo capaci di assumere una struttura a carattere precettivo, laddove l’Ufficiale di Governo impartisce prescrizioni ripetibili nell’ambito dello stato di emergenza, l’obbligo di motivazione e l’effetto solo temporaneamente derogatorio mettono in dubbio una loro potenziale natura normativa.

Affinché si possa scandagliare il fenomeno giuridico delle ordinanze libere e degli atti necessitati, appare opportuno puntualizzare la portata del principio di legalità amministrativa.

L’analisi del principio, in uno al corollario della riserva di legge, consente di comprendere, in primis, come si giustifica il potere derogatorio, seppur temporaneo, delle ordinanze extra ordinem rispetto alla legge, nonché il loro contenuto atipico.

In secondo luogo, lo studio della legalità consente di osservare se, alla luce dei principi di iura di novit curia e di gerarchia delle fonti, dette ordinanze debbano piuttosto intendersi quali atti amministrativi, al pari degli atti necessitati.

1. Il principio di legalità amministrativa nel sistema delle fonti

Il diritto amministrativo è un ordinamento pubblicistico che, come quello penale, esercita sui consociati forme di ingerenza più o meno gravosa, che impongono una legittimazione all’esercizio del potere da parte delle norme statali.

Solo la legge può autorizzare l’incedere dell’azione pubblicistica da parte dell’organo esecutivo, essendo detta azione espressione di un potere autoritativo, d’imperio e, sovente, eseguibile coattivamente, che incide ex se e senza forme di intermediazione sulla sfera giuridica dei privati.

In sintesi, il potere pubblico, in antitesi all’autonomia privata, abbisogna quindi di essere incanalato attraverso la garanzia della legalità.

Una legalità che, tuttavia, non può accontentarsi, né della mera conformità del provvedimento alla legge, né di una previa autorizzazione da parte della stessa.

La legalità amministrativa, contemplata in Costituzione secondo un’accezione forte o sostanziale, necessita piuttosto di una legge primaria stabilisca ex ante il contenuto dell’atto, la procedura, i limiti, il fine e gli effetti.

La ratio del principio de quo risiede nella protezione del cittadino dalle ingerenze del potere pubblicistico, dello Stato autorità, a prescindere dalla ricorrenza o meno di una riserva di legge, la cui funzione è piuttosto quella di delimitare l’ambito di intervento della legge Parlamentare.

La riserva di legge costituisce, invero, quel corollario del principio di legalità in forza del quale solo la legge del Parlamento, in maniera assoluta, relativa o rinforzata, può disciplinare una determinata materia connotata da particolare importanza o delicatezza, tanto che solo la visione generalizzata e bilanciata dell’organo rappresentativo ne può garantire la disciplina.

Nell’ambito dell’azione amministrativa, al di fuori di taluni principi intangibili quali la libertà personale ex art.13 Cost., la riserva di legge deve intendersi prevalentemente a carattere relativo, il quale consente alle fonti di rango secondario di normare la materia in conformità alle prescrizioni e ai limiti dettati dalla fonte primaria.

Questo meccanismo è dimostrato dalle norme fondamentali sull’azione amministrativa di cui agli artt.97-98 Cost. in tema di organizzazione dei pubblici uffici e dell’azione amministrativa in generale, ma anche l’art.1 comma 1 della L.7 agosto 1990, n.241, ove si sancisce che l’azione persegue i fini determinati dalla legge. In maniera coerente le due disposizioni postulano in capo alla p.a. una “riserva di pubblico interesse”, in contrapposizione alla libertà di causa in ambito privatistico.

Con riguardo al carattere relativo della riserva, si veda altresì l’art.117 comma 6 Cost. che ammette una potestà regolamentare, non solo governativa, in tutte quelle materie non soggette a riserva assoluta, e l’art.23 cost. che, secondo una riserva di carattere relativo, sancisce che nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in forza di legge.

Le norme qui richiamate esprimono come lo spirito della Costituzione abbia favorevolmente accolto un modello ove, una volta stabilite con legge le determinazioni di principio, sono le fonti di rango inferiore, c.d. “regolamentari” a stabilire la disciplina di dettaglio, esecutiva, attuativa o in taluni casi atipica.

La possibilità di adottare regolamenti da parte degli organi amministrativi evidenzia una duplice intenzione dei costituenti.

In primis quella di stabilire una gerarchia tra le fonti normative primarie e secondarie, ove queste ultime sono applicabili nella misura in cui non violano le prime. In secondo luogo, si apprezza la volontà di non imbrigliare le fonti secondarie nell’alveo della tipicità e tassatività contenutistica e procedurale.

Tale scelta si sistema è rinvenibile nella Costituzione, la quale concepisce la fonte primaria come la fonte che funge spartiacque tra il sovra-primario e il sub-primario, stabilendone un carattere tipico e tassativo, senza però preoccuparsi delle fonti regolamentari, per le quali si deve così dedurre una struttura atipica.

Le fonti secondarie, non tipizzate, nel tempo sono andate incontro ad una proliferazione connotata da sempre più elevata atipicità contenutistica. Si guardi ad esempio ai regolamenti in delegificazione, piuttosto che a quelli indipendenti, entrambi contemplati dall’art.17 L.400/1988.

Le fonti anzi richiamate, pur autorizzate dalla legge, si ritengono non adeguatamente e puntualmente indirizzate dal punto di vista del contenuto, della procedura e degli effetti, dando vita ad una sorta di riserva di legge “in bianco” contraria alla regola della legalità sostanziale.

Il richiamo a queste tipologie di atti normativi, certamente nevralgiche rispetto al principio costituzionale di legalità forte, evoca la coeva problematica delle ordinanze extra ordinem, le quali, rispetto agli atti necessitati, pongono, come accennato, maggiori dubbi circa la loro natura normativa o amministrativa.

2. La controversa natura delle ordinanze extra ordinem: il parallelismo con gli atti necessitati

Occorre a questo punto delineare precisamente le differenze tra gli atti necessitati e le ordinanze extra ordinem.

Degli atti necessitati non si dubita certamente la natura provvedimentale, pur queste assumendo una particolare connotazione rispetto ai provvedimenti ordinari.

Per definizione un atto necessitato è un atto previsto dalla legge, la quale autorizzando l’esercizio del potere amministrativo stabilisce anche il tipo di situazione di pericolo o necessità che deve sussistere affinché l’atto possa dirsi legittimamente posto in essere.

Per tale ragione, rispetto alle più sfuggenti ordinanze, l’atto necessitato, quale può essere un’occupazione d’urgenza durante un terremoto, è un provvedimento soggetto ai principi di tipicità e nominatività stabiliti dalla legge attributiva del potere.

Si veda ad esempio l’art.7 bis L.401/89 che consente al Prefetto di adottare un provvedimento con cui, allo scopo di tutelare la pubblica sicurezza, si vieta lo svolgimento di manifestazioni sportive, allorquando vi sia una situazione di pericolo e di grande turbativa.

La prescrizione de qua costituisce un esempio di atto necessitato, ove la norma prescrive l’adozione di un provvedimento classico per il quale il prefetto è tenuto a rispettare una precisa sequenza procedimentale, tra l’altro caratterizzata dal differimento ad altra data della manifestazione sportiva.

La situazione di pericolo cui è subordinato l’atto necessitato è puntualmente prescritta dalla norma e risiede nella permanenza del “pericolo di grande turbativa”, in presenza della quale è preminente la tutela  dell’”ordine e la sicurezza pubblica”.

Con riguardo ai requisiti di tipicità e nominatività dell’atto necessitato, si richiede che sia la legge a stabilire la funzione e il contenuto dell’atto e che sempre la legge determini lo schema di provvedimento opportuno per il perseguimento di quel determinato fine pubblicistico.

In tal senso l’atto necessitato diverge dalle fonti di rango secondario di cui si è data sinora menzione, per la sua non discutibile attitudine ad incidere su un caso concreto in maniera autoritativa.

Tale aspetto implica che esso sia tanto soggetto ad un procedimento amministrativo analogo a quello previsto per un qualunque provvedimento, quanto che il regime di impugnazione sia riconducibile agli artt.29-30 CPA, data la sua capacità di incidere direttamente sul bene della vita di un destinatario determinato o determinabile.

Tali caratteristiche presenti negli atti necessitati non si ripetono nelle ordinanze extra ordinam, la cui collocazione nel panorama delle fonti normative è incerta quanto dubbia.

Innanzi tutto, esse trovano disciplina positiva nell’art.54 comma 4 Testo Unico degli enti locali D.lgs. 18 agosto 2000, n.267, il quale attribuisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere di adottare provvedimenti motivati, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, onde prevenire o evitare pericoli e minacce per la pubblica incolumità e la sicurezza urbana.

Dalla locuzione normativa, nella quale spicca l’utilizzo del termine “anche”, che le ordinanze extra ordinem possono distinguersi in due categorie: ordinanze contingibili e urgenti e ordinanze “ordinarie” in quanto prive del connotato della necessarietà.

Alla luce della norma, si può definire l’ordinanza come un atto dal contenuto atipico, capace di derogare alla legge ordinaria, purché ricorrano circostanze di necessità e urgenza non ulteriormente specificate dalla norma in oggetto.

Ad una prima impressione, sulla quale si poggia la c.d. “tesi normativa” le ordinanze appaiono come fonti normative, per il fatto di avere ad oggetto la gestione o “disciplina” di una situazione incontrollata e di imminente pericolo, che non ha un destinatario predeterminato.

Esse quindi si connotano certamente per la generalità della loro portata, ma è dubbio se possa dirsi altrettanto per l’astrattezza, ovvero l’applicabilità dell’atto in un numero indeterminato di casi e l’innovatività, ovvero idoneità dello stesso a innovare l’ordinamento giuridico.

La ratio di tale potere, ampio e atipico, risiede nella presenza di una situazione disastrosa, sproporzionata e incontrollabile, in presenza della quale la stretta osservanza della legge e dei tempi di procedura si rileverebbe lesiva dell’efficienza e dell’efficacia, nonché della celerità che lo stato dei fatti richiede.

Ciò in quanto, il rigoroso rispetto del principio di legalità funzionale alla tutela del privato diviene anti-producente, se non ostativo, all’esigenza imminente di fronteggiare la situazione eccezionale, consentendo dunque all’organo di muoversi entro margini di elasticità mirati alla ricerca della soluzione concreta.

In ciò trova ragione l’atipicità contenutistica, in forza della quale il contenuto è rimesso alla discrezione dell’organo adottante.

Come accennato l’art.54 contempla il duplice fenomeno giuridico delle ordinanze “ordinarie” e delle ordinanze contingibili e urgenti, ma solo in vista di queste ultime appare stabilito il limite del rispetto dei principi fondamentali della Carta costituzionale.

Non pare tuttavia revocabile in dubbio, anche alla luce dell’intervento della Consulta del 2011, che i due tipi di ordinanze debbano entrambe soggiacere ai principi inderogabili della Costituzione, noti anche come contro-limiti, al disopra dei quali nessuna fonte nazionale o sovranazionale può porsi.

Al riguardo, la giurisprudenza comunitaria ha previsto un ulteriore limite del rispetto delle norme comunitarie, accanto a quello del minor sacrificio possibile in capo ai destinatari desunto dai principi costituzionali.

Altro elemento distintivo delle ordinanze, grazie al quale è possibile giustificarne l’eccezionale potere derogatorio, è la “temporaneità” o “provvisorietà” degli effetti.

Queste tipologie di atti, in ragione dell’attualità dell’urgenza, molto spesso imprevedibile, non dovrebbero mai essere definitive, dovendosi necessariamente stabilire un limite temporale alle stesse.

Ciò tuttavia non ha impedito alla giurisprudenza di concepire per queste ordinanze una temporaneità a carattere “permanente”, sulla scorta del principio di elasticità del fenomeno che impedisce una restrizione temporale per i margini di manovra del Sindaco.

Concepite da taluni come vere e proprie fonti normative, dunque, le ordinanze pongono il problema, già evidenziato per i regolamenti indipendenti e in delegificazione, della compatibilità con il suesposto principio di legalità sostanziale.

In primo luogo si è ritenuto che il carattere di fonte normativa sia avvalorato dalla presenza dei requisiti della generalità e astrattezza, stante la mancanza di destinatari determinati o determinabili sia ex ante che ex post, nonché la ritenuta capacità di applicazione del precetto ivi contenuto in situazioni concrete che si ripetono nell’ambito dello stato d’emergenza.

Uno degli argomenti più significativi è tuttavia l’eccezionale potere derogatorio delle ordinanze rispetto alle fonti primarie, sul cui fondamento si è già detto.

Giova qui evidenziare che tale potere si inserisce ragionevolmente nell’assetto del principio di legalità e di gerarchia delle fonti, nulla vietando che fonti di rango secondario possano intervenire sulla disciplina di particolari materie, secondo un’impostazione contenutistica anche atipica.

Nell’ambito della gerarchia delle fonti le ordinanze assumerebbero quindi una posizione addirittura rinforzata rispetto ai regolamenti: mentre i regolamenti non possono mai porsi in contrasto con la fonte superiore, pena l’inapplicabilità, le ordinanze possono derogare alle legge in virtù della loro intrinseca elasticità e adattabilità al caso concreto, seppur entro i limiti dei diritti fondamentali della Costituzione.

Ci si domanda se la qualificazione in termini normativi incida sul procedimento di formazione eludendo le garanzie partecipative, in particolare l’obbligo di motivazione di cui all’art.3 L.241/90.

La risposta negativa prevede che, nonostante il carattere eccezionale delle ordinanze, l’organo amministrativo è tenuto a rispettare pedissequamente il disposto di cui all’art.3, sebbene la norma al comma 2 escluda l’obbligo di motivazione per i c.d. “atti normativi”.

Questa anomalia, in cui può ravvisarsi una prima débacle alla natura “non amministrativa” delle ordinanze, impone non solo che debba esservi la motivazione, ma che essa sia particolarmente rigorosa e indicativa degli strumenti istruttori.

Più specificamente nella motivazione deve trovare ragion d’essere il ricorso allo strumento estremo, dovendosi giustificare le circostanze necessitate che hanno impedito di ricorrere ad altra misura tipica.

L’altra tesi, maggioritaria, sostiene invece la natura amministrativa delle ordinanze.

Le ordinanze costituirebbero dei veri e propri atti amministrativi che derogano al principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti; corollari, questi, imprescindibili per assicurare il principio di legalità amministrativa.

Il contenuto atipico, atecnico e privo di un previo inquadramento strutturale da parte delle norme primarie, trova giustificazione ovviamente nello stato di necessità e urgenza che, come affermato, abbisogna di margini di manovra considerevoli.

L’assenza del carattere normativo può giustificarsi proprio alla luce della carenza di un elemento molto importante: la capacità di innovare l’ordinamento giuridico, e di conseguenza l’insussistenza del principio di iura novit curia, non essendo il giudice amministrativo tenuto a conoscere l’ordinanza quale componente del quadro normativo di riferimento.

In ciò l’ordinanza differisce dai regolamenti, rispetto ai quali non condividerebbe nemmeno il carattere dell’astrattezza, posto che, nella maggior parte dei casi, l’atto va a incidere su situazioni concrete e determinate in maniera pressoché negativa.

In particolare l’efficacia temporanea dimostra come le ordinanze non possano abrogare la legge primaria ma solo derogarvi temporaneamente, ovvero il tempo necessario per fronteggiare l’emergenza, anche se quest’ultima venga ad assumere un carattere potenzialmente permanente.

Si guardi ad esempio agli eventi sismici che nel 1997 hanno colpito l’Umbria e le Marche e affronta dei quali si dichiarò uno stato di emergenza protrattosi fino all’anno 2010, oppure, rimanendo ai nostri giorni, all’attuale emergenza mondiale legata alla diffusione del Covid2-2019, le cui misure di contenimento assumono proprio siffatte caratteristiche.

3. Ordinanze, poteri impliciti e regime processuale

Le ordinanze hanno inoltre diversi punti di contatto con un altro fenomeno giuridico che è quello dei poteri impliciti.

Questi ultimi sono definiti come quei poteri per mezzo dei quali l’investitura della potestà amministrativa non deve necessariamente essere espressa ex ante, ma frutto di una norma che attribuisce implicitamente tutti i poteri necessari per raggiungere un determinato scopo.

Si parla all’uopo di “competenza per obiettivi”.

Ebbene, affinché tali poteri possano dirsi conformi al principio di legalità e riserva di legge, non devono essere adespoti, non devono tangere negativamente un bene della vita, restando neutri, e soprattutto devono porsi a completamento di un potere esplicito.

Può osservarsi un importante punto di contatto con le ordinanze extra ordinem rinvenibile certamente nell’atipicità contenutistica, non essendo i poteri impliciti predeterminati ma, in un certo senso, aperti a tutte quelle azioni necessarie al perseguimento dell’obiettivo esplicitato.

Non si riscontra invece nelle ordinanze il carattere della neutralità, poiché esse, nella maggior parte dei casi, incidono negativamente su beni della vita proprio al fine di contrastare lo stato di emergenza.

Per ciò che concerne il regime processuale è gioco forza che, qualificando le ordinanze come atti amministrativi atipici, queste soggiacciono al regime impugnatorio previsto per i provvedimenti ordinari. La soluzione de qua porta con sé una conseguenza.

In primo luogo, non essendo le ordinanze atti normativi regolamentari non possono essere oggetto di inapplicazione da parte del g.a., chiamato a conoscere sull’illegittimità degli eventuali provvedimenti attuativi.

Per i regolamenti infatti il potere di inapplicazione, nel caso di mancata impugnazione differita o congiunta, trova la propria ratio nell’esigenza di garantire il rispetto della gerarchia delle fonti, dinnanzi a un atto che, in quanto illegittimo, è ab origine inefficace.

In secondo luogo, il regolamento risponde al principio iura novit curia, secondo cui il giudice deve sempre avere conoscenza della panoramica normativa di riferimento.

Non vale lo stesso ragionamento per l’ordinanza, la cui capacità di incidere direttamente su posizioni giuridiche determinate consente al diretto interessato di procedere all’impugnazione ai sensi dell’art.29 CPA.

4. Conclusioni

In definitiva, alla luce di tutte le considerazioni svolte con riferimento al principio di legalità forte, si può affermare che sia gli atti necessitati che le ordinanze extra ordinem sono atti amministrativi conformi al principio costituzionale, pur tuttavia corredati da alcune rispettive peculiarità.

Gli atti necessitati sono provvedimenti che conservano i tratti della tipicità e della nominatività richiesti per qualunque provvedimento amministrativo; le ordinanze, di contro, sono atti che possono derogare alla legge ordinaria e si distinguono per l’atipicità contenutistica rispetto agli altri provvedimenti.

Su questi ultimi si è posto il dubbio in merito alla natura giuridica, di atti normativi o amministrativi, protendendo per la seconda soluzione. Ciò in ragione del fatto che vengono a mancare i presupposti essenziali richiesti per gli atti normativi, in particolare l’astrattezza e l’innovatività.

Si può in ispecie ritenere che l’ordinanza è, nella maggior parte dei casi, idonea a incidere su situazioni giuridiche concrete, che determinano in capo al soggetto leso una posizione differenziata.

L’atipicità contenutistica, ovvero l’elasticità di manovra alquanto discrezionale, non scalfisce il principio di riserva di legge sostanziale, poiché il fine stabilito dall’art.54 TUEL è quello di contrastare e gestire la particolare situazione di necessità e urgenza, potenzialmente arginabile in tutti i modi necessari.

A conferma del carattere amministrativo delle ordinanze si può osservare che queste sono soggette all’obbligo di motivazione e a una adeguata istruttoria da parte dell’Organo adottante, tanto più alla luce del fatto che si deve dar conto della condizione di emergenza.

Il regime impugnatorio sarà dunque il medesimo previsto per i provvedimenti amministrativi ordinari con decorrenza del termine decadenziale dal giorno della promulgazione.


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