La convenzione arbitrale e le controversie arbitrabili
In tema di limiti preliminari all’esercizio della funzione propria dell’ufficio dell’arbitro nonché al potere assimilato allo ius dicere (da iurisdictio) del Magistrato con funzioni giudicanti ma conferito dalle parti, l’art. 806 c.p.c. dispone che “le controversie di cui all’articolo 409 (comprese dunque quelle sui rapporti di lavoro subordinato, di mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale, rapporti di lavoro di dipendenti pubblici svolgenti un’attività economica ecc…) possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”.
La ragione di questa ulteriore limitazione deve rinvenirsi nella mera scelta del legislatore ordinario – in piena armonia con la concezione e la natura della contrattazione collettiva nazionale – di dare risalto e primazia decisionale alla volontà delle parti, da intendersi queste nella loro concezione più alta e discendente – più o meno in modo riflesso – dalla tutela delle formazioni sociali cui la nostra amata Carta costituzionale dà pieno rilievo all’articolo 2.
È stata dunque introdotta l’utilizzabilità dell’arbitrato rituale per la risoluzione delle controversie ricadenti nella branca del diritto del lavoro, anche se è doveroso sottolineare che le leggi speciali in materia nonché la contrattazione collettiva contemplino in genere, arbitrati irrituali.
Qualora la controversia dovesse invece ricadere nella giurisdizione del giudice amministrativo, l’art. 6 comma 2 della Legge 21 luglio 2000, n. 205 ammette l’arbitrato rituale su diritti soggettivi mentre la giurisprudenza lo esclude per le materie su cui è chiamato a decidere lo stesso giudice amministrativo o altro giudice speciale.
Le cause in materia societaria possono essere devolute e decise dagli arbitri sulla scorta della nuova regolamentazione contenuta nel D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
Quanto alle azioni che possono essere proposte e pronunce richieste non sussistono limitazioni includendo quindi quelle di mero accertamento, di condanna o costitutive.
Sul punto è centrale la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione che – con sentenza n. 10932 dell’8 agosto 2001 ha statuito che “Nell’arbitrato rituale, gli arbitri – in analogia a quanto disposto dall’art. 2908 c.c. per l’autorità giudiziaria – hanno il potere di pronunciare decisioni intese a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici tra le parti e, quindi, di rendere sentenze costitutive, con la conseguenza che rientra nei loro poteri anche la pronuncia di una decisione volta a dare esecuzione, in forma specifica ed ai sensi dell’art. 2932 c.c., all’obbligo di contrarre assunto con un contratto preliminare, ovvero di trasferire un determinato diritto, in adempimento di un’obbligazione precedentemente contratta’’.
Sullo stesso tema e nello stesso senso la Corte ha già statuito con sentenza n. 3045 del 15 marzo 1995.
Il procedimento arbitrale – in qualsiasi forma esso si manifesti – prende le mosse e trova la sua primaria fonte di legittimazione nella volontà delle parti, espressa questa nella c.d. convenzione d’arbitrato (o convenzione arbitrale o anche accordo compromissorio).
La convenzione arbitrale si manifesta in due forme tipiche: il compromesso e la clausola compromissoria, entrambe manifestazioni della volontà negoziale delle parti in lite ma con una differenza profonda che si consustanzia nel momento temporale in cui l’atto viene alla luce.
Il compromesso infatti, è un atto che le parti di comune accordo formano dopo la nascita di una controversia mentre la clausola compromissoria è per l’appunto una clausola – ergo, sempre espressione della volontà negoziale – che viene inserita in un contratto o in un atto separato ma comunque a questo funzionalmente collegato, in via preliminare e preventiva.
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Massimiliano Pagliaccia
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