La conversione delle obbligazioni naturali in obbligazioni giuridiche
Per comprendere al meglio il ruolo assunto dalle obbligazioni naturali nel nostro ordinamento è opportuno analizzare preliminarmente le caratteristiche peculiari delle obbligazioni giuridiche, descritte dagli artt. 1173 c.c. e ss.
Tale analisi è doverosa in quanto solo alle obbligazioni considerate giuridiche, e non anche alle obbligazioni naturali, l’ordinamento appresta tutela in caso di inadempimento, ex art. 1218 c.c., o in caso di violazione del neminem laedere, ex art. 2043 c.c..
Il codice civile non fornisce la nozione di obbligazione la quale si ricava dall’interpretazione sistematica degli elementi strutturali, descritti dall’art. 1174 c.c..
In breve, gli elementi cumulativamente necessari dell’obbligazione giuridica sono: la presenza di due o più soggetti (elemento soggettivo); la prestazione che deve essere possibile, determinata o determinabile, lecita e soprattutto economicamente valutabile (elemento oggettivo); l’interesse anche non patrimoniale del creditore vale a dire, seguendo le ultime interpretazioni giurisprudenziali, la causa in concreto del trasferimento patrimoniale (elemento teleologico). Il rapporto obbligatorio, dunque, è una relazione giuridica intersoggettiva rispetto alla quale il debitore è tenuto ad una prestazione economicamente valutabile che soddisfi un interesse anche non patrimoniale del creditore.
La valutazione della patrimonialità della prestazione non dipende, secondo i più, dalla volontà delle parti, ma discende dalla concezione socio-culturale che l’ordinamento ha in quel dato momento storico di quella particolare obbligazione. E’ impensabile, infatti, ad oggi ritenere che sia possibile patrimonializzare l’aiuto che un ragazzo offre ad una vecchietta per attraversare la strada, in quanto l’ordinamento non prevede tutele in caso di inadempimento rispetto a questo tipo di situazione. Se la vecchietta offre al ragazzo del denaro per l’aiuto prestato saremmo di fronte, a contrario, ad una obbligazione naturale. Al riguardo, è opportuno precisare che la volontà delle parti è rilevante rispetto all’elemento teleologico. In tal caso, infatti, è proprio il creditore che stabilisce che tipo di interesse il debitore debba soddisfare.
Vale sottolineare però che, ciò che davvero distingue le obbligazioni naturali dalle obbligazioni civili è la fonte da cui scaturisce il vincolo che può, a seconda dei casi, considerarsi giuridico o meno.
A riguardo, le fonti delle obbligazioni civili sono ex art. 1173 c.c. il contratto, il fatto illecito e ogni altro o fatto idonee a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico. Solo le obbligazioni che discendono da questo tipo di fonti sono da considerarsi giuridiche.
A contrario, sono fonti delle obbligazioni naturali i doveri morali o sociali, ex art. 2034 c.c. Ebbene, non sempre è agevole qualificare un’obbligazione in base alla fonte. Ciò, in quanto le fonti delle obbligazioni civili con il Codice del 1942 sono divenute tutte atipiche: il contratto può essere atipico ex art. 1322 c.c., l’ingiustizia del danno ex art. 2043 c.c. è atipica e sono altresì atipici i fatti o gli atti idonei a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico. Di conseguenza il metro di giudizio per poter qualificare un’obbligazione come giuridica o meno è la meritevoleezza. L’interprete, infatti, deve valutare l’obbligazione tenendo presente i principi fondatori su cui si basa il sistema. Non è più la legge, come nel lontano 1865, a stabilire quali siano le obbligazioni giuridiche, ma è il diritto vivente che scaturisce dall’evoluzione sociale.
Paradossalmente le obbligazioni che noi oggi concepiamo come naturali potrebbero in un futuro essere concepite come giuridiche.
A questo punto è opportuno focalizzare l’attenzione sulle obbligazioni naturali, ex art. 2034 c.c. L’art. in commento distingue le obbligazioni naturali in due categorie: obbligazioni naturali innominate e nominate.
In entrambi i casi l’adempimento dell’obbligazione naturale comporta l’irripetibilità di ciò che è stato spontaneamente prestato. Anche la spontaneità è un requisito comune, in quanto l’adempimento deve avvenire senza alcuna coazione da parte del creditore o di terzi e il debitore deve agire con animus solvendi, vale a dire nella convinzione di adempiere un debito proprio.
Ebbene, l’art. 2034 co.1. c.c. fa riferimento alle obbligazioni naturali innominate le quali non sono esplicitamente previste dalla legge e le cui fonti sono i doveri morali o sociali che i consociati identificano, in base alla comune coscienza sociale, come obbligazioni naturali.
E’ necessario rilevare che la soluti retentio (ritenzione di ciò che è stato pagato) è ammessa per le sole obbligazioni naturali considerate meritevoli.
Dunque, l’interprete sottopone le obbligazioni naturali innominate ad un vaglio di meritevolezza volto a verificare caso per caso ed in concreto se l’adempimento di quell’obbligazione sia o meno un modo per eludere il sistema.
Le obbligazioni naturali nominate, a contrario, sono atti socialmente e moralmente leciti cui la legge esplicitamente non accorda tutela, ex art. 2034, co.2. c.c, ma, come già riferito, prevede l’irripetibilità di quanto spontaneamente prestato. Vale precisare che è possibile la ripetizione, se il debitore è incapace di agire.
Tra i vari casi di obbligazione naturale, ricordiamo la disposizione fiduciaria testamentaria (art. 627 cc), i casi di pagamento del debito prescritto (art. 1940 cc), la prestazione contraria al buon costume ( art. 2035cc).
Tra le obbligazioni nominate rientra anche il debito di gioco o di scommessa, ex art. 1933 c.c.. Tale obbligazione naturale è tra le più discusse della categoria, in quanto in diversi paesi è considerata fonte di responsabilità. Il nostro ordinamento, ex. art. 1933 c.c. , prevede, invece, semplicemente l’irripetibilità di ciò che è stato versato in virtù di gioco o scommessa anche se si tratti di giochi o scommesse considerati leciti dall’ordinamento. La ripetizione è consentita, solo, qualora ci sia stata frode o qualora l’adempimento sia avvenuto da soggetto incapace d’agire. Il motivo per cui il nostro ordinamento non accorda tutela al gioco ed alla scommessa dipende dal principio causalistico.
Ebbene, ogni spostamento patrimoniale deve avere una causa lecita ex 1343 c.c.
La causa è stata definita dalla giurisprudenza più recente come il complesso degli interessi in concreto voluti dalle parti. Di conseguenza, qualora venga meno la causa in concreto anche di una sola delle parti, il trasferimento patrimoniale è considerato nullo. Si pensi al caso della parte che è costretta a non partire per un viaggio organizzato da tempo perché nel paese di destinazione è scoppiata un’epidemia. In tale situazione la Cassazione ha stabilito che il debitore ha perso l’interesse concreto alla vacanza in quanto la stessa non rappresenterebbe più un momento di svago, ma di stress ulteriore data l’epidemia. Ebbene, in un sistema permeato dal principio causalistico, l’ammissione della meritevolezza dei contratti di gioco e scommessa sarebbe del tutto incoerente. I contratti in questione, infatti, sono dominati dalla fortuna ragion per cui è possibile che il debitore debba adempiere ad un’obbligazione del tutto sproporzionata ed irrazionale.
Ciò è d’altronde la tematica relativa alla meritevolezza dei contratti derivati. Essi hanno esito del tutto variabile, incerto e soprattutto non preventivabile di tal che sono stati paragonati al gioco e alla scommessa e proprio in merito a ciò si è aperto il dibattito.
La questione giuridica rilevante, in tema di obbligazioni naturali, riguarda proprio la possibilità di trasformare queste ultime in obbligazioni giuridiche.
Secondo un primo orientamento, è possibile trasformare l’obbligazione naturale in obbligazione giuridica qualora si utilizzino strumenti di conversione quali la novazione e il riconoscimento di debito. La novazione (1230 c.c. e ss) è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento che consiste nel sostituire la precedente obbligazione con una nuova. La ricognizione di debito (art. 1988 c.c.) è un atto unilaterale attraverso il quale il debitore riconosce di essere vincolato ad una obbligazione. Ciò secondo altro orientamento non è ammissibile perché in entrambi i casi si presuppone l’esistenza di un’obbligazione giuridica che venga novata o riconosciuta.
Allo stato, dunque, è bene ribadire che le parti possono liberamente decidere se escludere la giuridicità del rapporto attraverso un intento giuridico negativo o, a contrario, stabilire di realizzare un rapporto con l’intento positivo di costituire l’obbligazione, ma nei limiti della meritevolezza.
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