La conversione dell’obbligazione naturale in obbligazione giuridica
L’espressione “conversione” evoca l’idea di una trasformazione, di un passaggio.
Essa, declinata con riferimento alle obbligazioni, sta ad indicare il mutamento di un vincolo privo dei crismi della giuridicità ad uno connotato da tale carattere.
L’analisi della problematica impone, in via preliminare, un approfondimento su taluni aspetti attinenti la nozione del rapporto obbligatorio.
Secondo l’opinione generalmente accolta nel nostro ordinamento, per obbligazione si intende quel vincolo giuridico in forza del quale un soggetto (cosiddetto debitore) si impegna a tenere un determinato comportamento (consistente nell’esecuzione di una data prestazione) per soddisfare l’interesse di un’altra persona (cosiddetto creditore).
In tale definizione, sono scolpiti gli elementi che ne caratterizzano la struttura: i soggetti, l’oggetto, l’interesse, la giuridicità del vincolo e la natura relazionale ad essa sottesa.
Il vincolo, si osserva, viene costituito volontariamente fra le parti, al fine del soddisfacimento di uno specifico interesse del creditore, sia esso di natura patrimoniale o non patrimoniale.
Ed infatti, in virtù del vincolo obbligatorio, il debitore è tenuto ad eseguire una determinata prestazione (di fare, non fare, di dare), avente carattere patrimoniale (ex art. 1174 c.c.), rispondente a quella che le parti stesse hanno dedotto in obbligazione.
L’art. 1174 c.c. (secondo cui “la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore”), è l’unica, fra le disposizioni di carattere generale, che consente di orientare l’interprete per l’individuazione degli elementi strutturali e dei requisiti che l’obbligazione deve possedere affinché possa dirsi configurato il vincolo obbligatorio.
In particolare, vengono messi in luce: 1) la patrimonialità della prestazione (da valutarsi mediante indici rivelatori di mercato), 2) la circostanza che la prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica, 3) la prestazione deve corrispondere (nel senso di essere rivolta verso) ad un interesse del creditore (deve essergli funzionale), 4) l’interesse può avere natura patrimoniale o non patrimoniale (l’indagine soggettiva su questo aspetto consente di verificare la sussistenza dalla giuridicità del vincolo).
La giuridicità del vincolo (art. 1173 c.c. “rapporto giuridico patrimoniale”) è un fattore fondamentale, poiché rappresenta l’elemento che qualifica il rapporto come obbligatorio rispetto alle altre relazioni nei confronti delle quali l’ordinamento si mostra indifferente (si pensi ai rapporti cosiddetti di cortesia).
A rivestire l’obbligazione con il carattere della giuridicità è la volontà delle parti, infatti, queste sono libere di non assoggettare il rapporto instaurato ai vincoli stringenti derivanti dall’ordinamento giuridico.
Ed infatti, al fine di non incorrere in responsabilità ex art. 1218 c.c. (“responsabilità del debitore”), il debitore è tenuto ad eseguire la puntuale esecuzione dell’intero programma obbligatorio; viceversa, i rapporti di cortesia sono incoercibili dall’ordinamento.
Inquadrata in generale, la figura dell’obbligazione giuridica, resta ora da soffermarsi sull’obbligazione naturale.
Esse rientrano nel più ampio genus dei vincoli non giuridici, da quelli però si discostano perché rinviano ad un dovere morale o giuridico.
La doverosità a cui queste fanno riferimento si rifà ad atti che nella compagine sociale sono avvertiti come moralmente o socialmente necessari. L’inosservanza di tali atti, pertanto, è tale da comportare nella coscienza sociale un sentimento di riprovazione. Il vincolo non giuridico nascente da un’obbligazione naturale si connota, a differenza dell’impegno assunto per cortesia (ad esempio un invito a pranzo), da una più intensa cogenza.
Ecco il motivo per cui, a differenza dei rapporti di cortesia (che vengono lasciati nell’alveo della socialità), le obbligazioni naturali sono dalla legge giuridicizzate.
La norma di riferimento è l’art. 2034 c.c., rubricata “obbligazioni naturali”, secondo cui “non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace”.
I doveri indicati dal comma precedente, e in ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono effetti”.
Analizzando la norma si nota come essa non fornisca una definizione, ed il momento che viene in rilievo per l’ordinamento è quello dell’adempimento. La rilevanza di tale atto è legata alla spontaneità con cui è stato posto in essere.
La norma, a sua volta, si pone come eccezione alla regola generale della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c.
In definitiva, è possibile sostenere che le obbligazioni naturali non nascono nel mondo giuridico, ma l’ordinamento si preoccupa di disciplinare (giuridicizzandolo) un fenomeno o una fase di esso.
E’ possibile rinvenire nel codice dei casi tipizzati di tale fenomeno agli artt. 627, comma 2, e 1933, comma 2, e 2940 c.c.
Il primo, in materia di disposizione fiduciaria, prevede che “la persona dichiarata nel testamento, se ha spontaneamente eseguito la disposizione fiduciaria trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può agire per la ripetizione, salvo che si tratti di un incapace”.
La seconda, invece, si occupa della mancanza di azione nel caso di giochi e scommesse, prevedendo che “il perdente non può ripetere quanto abbia spontaneamente pagato dopo l’esito di un giuoco-frode. La ripetizione è ammessa in ogni caso se il perdente è un incapace”.
La terza fattispecie si occupa, infine, del pagamento del debito prescritto stabilendo che “non è ammessa la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato in adempimento di un debito prescritto”.
Ciò posto, è necessario ora soffermarsi sulla possibilità di convertire un’obbligazione naturale in una civile.
Sul punto si contendono il campo due contrapposte tesi, una favorevole alla conversione e l’altra che la nega.
Per i fautori della tesi favorevole, la conversione sarebbe ammissibile utilizzando gli strumenti offerti dallo stesso codice civile: la novazione e il riconoscimento del debito. La prima, disciplinata dall’art. 1230 c.c. prevede che “La obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso. La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco”.
Ad avviso della tesi in rassegna, dunque, l’istituto della novazione avrebbe effetti estintivi dell’obbligazione naturale e la trasformerebbe in obbligazione giuridica, connotata da animus novandi.
In altre parole, la novazione rappresenterebbe un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento che potrebbe sostituire la precedente obbligazione naturale con una nuova obbligazione giuridica.
Quanto al riconoscimento del debito, esso trova la sua compiuta disciplina nell’art. 1988 c.c., il quale prevede che si ha riconoscimento del debito quando il debitore conferma l’esistenza della sua obbligazione, liberando il creditore dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
L’esame della disposizione mette in evidenza l’esistenza di due rapporti.
Da un lato vi quello sottostante, rappresentato dall’obbligazione naturale, che a differenza della novazione non si estingue, e, dall’altro, quello sovrastante, rappresentato dal negozio giuridico di riconoscimento.
In definitiva, il riconoscimento del debito è un atto unilaterale (giuridico dunque coercibile) attraverso il quale il debitore riconoscerebbe di essere vincolato ad una obbligazione naturale.
La tesi favorevole alla conversione trae il suo fondamento giuridico nella possibilità accordata alle parti di determinarsi, entro i limiti posti dall’ordinamento giuridico (si pensi alla meritevolezza), nella scelta del regime a cui assoggettare i loro rapporti.
Pertanto, è possibile, dando risalto alla volontà delle parti, di rivestire con i crismi della giuridicità un’obbligazione che, invece, nasce in un ambito in cui l’ordinamento se ne disinteressa.
A conclusioni opposte perviene la seconda tesi.
Essa, fondandosi su di un’interpretazione letterale del dato normativo (ex art. 12 delle preleggi), ritiene che gli istituti della novazione e della ricognizione del debito, affinché possano operare, necessitano che l’obbligazione nasca come giuridica.
Tali figure, pertanto, sono destinate a trovare applicazione solo dinnanzi ad obbligazioni civili, caratterizzate da giuridicità.
Dirimenti sarebbero in tal senso il carattere dispositivo assegnato alle norme circa la struttura, i caratteri e la natura delle obbligazioni civili.
Ed infatti, tali norme andrebbero qualificate come norme imperative (dunque inderogabili dalla volontà delle parti).
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Fabio Toto
Ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2010, con la votazione di 105/110, presso l’Università Lumsa di Palermo, discutendo una tesi in materia di Diritto Commerciale.
Ottiene, nel 2012, il diploma di specializzazione per le professioni legali presso la Scuola di Specializzazione Lumsa di Palermo e parallelamente svolge il tirocinio presso gli Uffici Giudiziari del Palazzo di Giustizia di Palermo.
Per la preparazione teorica, ha frequentato corsi di formazione giuridica avanzata, tenuti da Consiglieri di Stato, approfondendo, in particolare, il diritto civile, penale ed amministrativo.
È iscritto all’albo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo dal 2016 (Tess. n. 224/16).
In qualità di autore ha scritto per riviste scientifiche ed è cultore di istituzioni di diritto pubblico presso l’università degli studi di Palermo.
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