La convivenza di fatto: riconoscimento e diritti
La Legge n°76 del 2016 (“Legge Cirinnà”), emanata in seguito a ripetute pressioni dell’opinione pubblica e ad un lungo e travagliato iter parlamentare, riconosce e disciplina gli istituti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e della convivenza di fatto.
In questa sede analizzeremo proprio quest’ultimo istituto (previsto dall’art. 1, dai commi da 36 a 67, della Legge Cirinnà), individuandone i requisiti essenziali e focalizzando l’attenzione sui principali diritti riconosciuti ai conviventi, sostenzialmente analoghi a quelli previsti per i coniugi.
I requisiti della convivenza di fatto
Il comma 36 della Legge Cirinnà considera “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Secondo la legge, dunque, per il riconoscimento di una convivenza legalmente riconosciuta non è rilevante la semplice coabitazione di due soggetti estranei (ad esempio, due studenti universitari coinquilini), bensì è necessaria l’esistenza di uno stabile vincolo affettivo di coppia (senza distinzione di sesso), caratterizzato da un’effettiva assistenza reciproca e, soprattutto, dall’assenza di un rapporto di parentela/adozione e di un precedente vincolo ufficiale (matrimonio od unione civile).
Diritti dei conviventi
La Legge Cirinnà prevede per le coppie di fatto una serie di diritti e doveri sostanzialmente analoghi a quelli dei coniugi, permettendo inoltre ai conviventi di redigere un contratto che disciplini il rapporto patrimoniale della vita comune.
Tra i principali diritti previsti in favore dei conviventi vi sono:
La possibilità di far visita al proprio partner in carcere (comma 38).
Il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero del partner, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche (comma 39).
La facoltà, spettante a ciascun convivente, di designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati (comma 40), in caso di: 1. malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; 2. morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. Tale designazione deve essere effettuata obbligatoriamente in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.
In caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il convivente superstite può continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni (comma 42). Qualora egli/ella abbia figli minori o disabili, ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Tale diritto, tuttavia, viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di convivenza di fatto con un’altra persona.
Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il suo/la sua convivente ha la facoltà di succedergli nel contratto (comma 44).
Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno (coma 48)
Lo stesso diritto al risarcimento del danno spettante al coniuge superstite, in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo (comma 49).
Il diritto del convivente di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato (Art. 230 ter del codice civile).
Il diritto del convivente – stabilito dal giudice in caso di cessazione della convivenza di fatto – di ricevere dall’altro gli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (comma 65). In questo caso, l’importo economico dell’assegno viene stabilito in misura proporzionale alla durata della convivenza e non superiore a quanto necessario per assicurare un’esistenza dignitosa del beneficiario, tenendo conto della sua posizione sociale.
Il contratto di convivenza
Il comma 50 della Legge Cirinnà prevede inoltre la facoltà, per i conviventi di fatto, di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune mediante la sottoscrizione di un contratto di convivenza.
La costituzione di tale scrittura privata – così come la modifica e la risoluzione – deve avvenire, a pena di nullità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestino la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.
Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il notaio o l’avvocato che ha ricevuto l’atto deve trasmetterne copia, entro i successivi 10 giorni, al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione nel registro previsto sulla base delle disposizioni del cd. “ordinamento anagrafico”.
L’accertamento della convivenza
Il comma 37 prevede che l’accertamento della stabile convivenza è riscontrabile dalla dichiarazione anagrafica di costituzione o mutamento di una nuova convivenza, che la coppia è obbligata a presentare al Comune in cui è situata la residenza comune, ai sensi degli arti. 4 e 13, comma 1, lettera b), del D.P.R n. 223 del 1989.
Tuttavia, sulla necessità di presentare la suddetta dichiarazione al fini della legale costituzione della convivenza, sussistono interpretazioni contrastanti.
La prassi dei principali capoluoghi di provincia (Milano, Torino, Napoli, Venezia, Genova) andrebbe in questa direzione: essi, infatti, impongono ai conviventi il deposito della richiesta d’iscrizione presso un apposito registro anagrafico, senza la quale la convivenza non viene legalmente riconosciuta.
Secondo il Tribunale di Milano (ordinanza del 31.05.2016), invece, la dichiarazione costituirebbe solo uno strumento di prova della convivenza di fatto, non di costituzione della medesima, poiché il comma 37 della Legge Cirinnà prevede che la predetta dichiarazione abbia la finalità di accertare la “stabile convivenza”, non di riconoscere quest’ultima.
Di conseguenza, i diritti previsti dalla Legge Cirinnà nei confronti dei conviventi si applicherebbero ad essi al momento della costituzione del nuovo rapporto, a prescindere dalla presentazione della suddetta dichiarazione (che comunque deve essere inoltrata quanto prima).
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Laureatosi in Scienze Giuridiche nel 2010 e in Giurisprudenza nel 2012 presso l'Università degli Studi di Roma Tre, ha maturato una significativa esperienza nel contenzioso civile stragiudiziale e giudiziale, fino al conseguimento del titolo di Avvocato nel 2016. Successivamente, ha orientato l'attività professionale nelle materie di Diritto dei consumatori, Diritto dei trasporti e del Turismo e Diritto Sportivo, nelle quali si sta specializzando.
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