La convivenza prematrimoniale nel calcolo dell’assegno di divorzio
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 35385 del 18 dicembre 2023, hanno confermato che la funzione compensativa dell’assegno di divorzio si estende anche al periodo di convivenza che precede il matrimonio. Tale estensione rileva nei casi in cui la coppia ha vissuto una convivenza stabile, arricchita da progetti di vita condivisi e da un supporto economico reciproco. La sentenza sottolinea l’importanza di considerare questa fase preliminare del rapporto per una valutazione equa del contributo di ciascun partner alla vita coniugale e alla formazione del patrimonio familiare. Le decisioni prese durante la convivenza, che hanno plasmato la vita familiare, devono essere riconosciute e valutate. In particolare, viene data attenzione alle possibili rinunce professionali fatte da uno dei coniugi, solitamente quello in posizione economica meno vantaggiosa, a beneficio della coppia o della famiglia.
Il caso
La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 1581 del 2020, in sede di cessazione degli effetti civili di matrimonio, ha deciso di ridurre l’assegno di divorzio in favore della moglie da 1.600,00 euro a 400,00 euro al mese. La decisione si basava sulla necessità di adeguare il mantenimento alla situazione economica dei coniugi, tenendo conto della breve durata legale del matrimonio. Nella determinazione dell’assegno di mantenimento, la Corte d’ Appello non ha considerato il periodo di convivenza prima del matrimonio di sette anni. Tale decisione è stata oggetto di impugnazione da parte della moglie mediante ricorso per Cassazione.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 30671 del 18 ottobre 2022, ha esaminato il valore legale della convivenza prematrimoniale per definire la «durata del matrimonio» (articolo 5, Legge 1° dicembre 1970 n. 898), ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio. La Corte ha riconosciuto la questione come di «massima e particolare importanza», ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c.. La causa è stata deferita al Primo Presidente della Corte di Cassazione, per valutare l’assegnazione della controversia alle Sezioni Unite per la relativa risoluzione.
Durata del matrimonio e durata della vita familiare: la soluzione delle Sezioni Unite
L’iter interpretativo delle Sezioni Unite inizia con l’esame dell’articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970 e si incentra sui parametri per stabilire l’ammontare dell’assegno di divorzio. Tali criteri comprendono: le condizioni personali ed economiche dei coniugi, i loro redditi, il contributo personale e finanziario apportato da ciascuno alla conduzione della vita familiare e alla formazione dei patrimoni individuali e condivisi, la durata del matrimonio, oltre alle motivazioni che sostengono la sentenza di divorzio. Occorre premettere che l’assegno di divorzio ha una funzione perequativo-compensativa, intesa a riequilibrare eventuali disparità economiche generate dalle scelte di vita coniugale, come sacrifici personali o professionali. Tali scelte potrebbero avere limitato le opportunità di carriera o di accumulo patrimoniale di uno dei due coniugi.
Nel caso di specie, il giudice di merito aveva aderito a un’interpretazione letterale dell’espressione contenuta nella norma: «durata del matrimonio», senza attribuire valore al periodo antecedente al matrimonio, pur caratterizzato da una consolidata stabilità affettiva e dall’assunzione volontaria di reciproche responsabilità. La Corte di Cassazione, facendo riferimento a precedenti sentenze emesse dalla Suprema Corte e dalla Corte Costituzionale, ha sottolineato come, nell’ordinamento giuridico vigente, persista ancora una distinzione tra matrimonio e convivenza, nonostante l’emanazione della legge n. 76 del 2016 (Legge Cirinnà), la quale articola la diversità dei modelli relazionali: da un lato, il matrimonio e l’unione civile, intesi come modelli «istituzionali»; dall’altro, la convivenza more uxorio, considerata un modello «familiare non istituzionale».
Le Sezioni Unite, con sentenza n. 35385 del 2023, hanno riconosciuto l’esistenza di una sovrapposizione tra il concetto di relazione affettiva e quello di matrimonio nel contesto di una decisione di vita condivisa basata sull’affetto. Se, precedentemente, per la quantificazione dell’assegno di divorzio rilevava la sola durata del matrimonio, attualmente si è consolidato il principio, secondo cui le parti, con il matrimonio, formalizzano l’intenzione di impegnarsi reciprocamente per il futuro, ma anche di riconoscere e perpetuare la continuità della vita familiare preesistente. Quindi, il periodo a cui fare riferimento nella determinazione dell’assegno di divorzio, include anche quello di convivenza prematrimoniale, in quanto origina dall’intenzione di perseguire un progetto di vita comune. Infatti, la Corte ha sottolineato che: «la convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume che è sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento – nei dati statistici e nella percezione delle persone – dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali» il che rende meno coerente il mantenimento di una distinzione fra la durata «legale» del matrimonio e quella della convivenza e non del tutto infondata la prospettata possibilità di tener conto anche del periodo di convivenza prematrimoniale, cui sia seguito il vero e proprio matrimonio, successivamente naufragato, ai fini della determinazione dell’assegno.» Il contributo alla vita familiare deve quindi essere interpretato all’interno del contesto storico del nucleo familiare, che ha inizio con la convivenza, si consolida con il matrimonio e si conclude con il divorzio. Occorre sottolineare come l’articolo 8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo stabilisca il diritto al rispetto della sfera privata e familiare e come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia specificato che la «la vita familiare comprende anche gli interessi materiali» (sentenza Marckx c. Belgio del 13.6.1979). La concezione di famiglia, secondo la normativa e la giurisprudenza europea, abbraccia sia la struttura tradizionale, ovvero la coppia eterosessuale sposata, sia le forme più contemporanee come le coppie di fatto, indipendentemente dall’orientamento sessuale dei partner, riconoscendo in entrambi i casi il legame familiare attraverso la convivenza. Non si richiede che la regolamentazione dei vari modelli familiari sia identica a quella del matrimonio, ma piuttosto che sia equa e non discriminatoria, conformemente all’articolo 14 CEDU, al fine di proteggere e rispettare le scelte familiari individuali.
In conclusione, le Sezioni Unite hanno stabilito che, se il matrimonio è preceduto da un periodo di convivenza caratterizzato da stabilità, continuità e da un progetto di vita condiviso, con reciproche contribuzioni economiche, tale periodo assume rilevanza ai fini della quantificazione dell’assegno di divorzio anche nell’ottica della funzione perequativo–compensativa del mantenimento. Tale orientamento giurisprudenziale conferma la necessità di un approccio comprensivo che tenga conto delle dinamiche familiari e patrimoniali, sia nella fase prenuziale sia in quella coniugale, per una corretta quantificazione dell’assegno divorzile.
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Giorgia Dumitrascu
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