La corruzione: “nemica” della Repubblica e “cancro” della società

La corruzione: “nemica” della Repubblica e “cancro” della società

Sommario: 1. La corruzione: inquadramento generale del fenomeno – 2. Il “microsistema” del codice penale dedicato ai delitti di corruzione – 3. Come sconfiggere la corruzione? Un’idea utopistica ma non impossibile

 

1. La corruzione: inquadramento generale del fenomeno

«La corruzione è una nemica della Repubblica». Così sosteneva il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, rivolgendosi ai cittadini, nel messaggio di fine anno pronunciato il 31 dicembre 1979.

Eppure, oggi, a distanza di quarantuno anni, queste parole risultano ancora tristemente attuali.

La corruzione non è una semplice fattispecie criminosa ma è un fenomeno che si innesta e si radica nella società minando le basi della convivenza civile. Essa, definita comunemente come  “male del secolo”, annienta la libera concorrenza economica, diritto inviolabile costituzionalmente garantito[1], minaccia la democrazia e pregiudica il corretto sviluppo economico, sociale e politico di un Paese.

Inoltre, il fenomeno corruttivo fa perdere nei cittadini la fiducia che essi riservano alle istituzioni pubbliche, determinando, così, una lesione del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione, garantita dall’art. 97 Cost.

Alla luce di tali osservazioni la corruzione è definita come “reato degli infedeli” in quanto si traduce in un “tradimento” dei soggetti che dovrebbero agire esclusivamente per l’interesse pubblico.[2] Ergo la corruzione determina una deviazione della res publica a favore di interessi privati.[3]

Nell’effettuare un inquadramento generale del fenomeno si è ritenuto opportuno partire da una analisi semantica del termine: si tratta di un termine polisemico, portatore di plurimi significati i quali possono essere ricondotti a due macrocategorie.[4]

In primis occorre soffermarsi sull’etimologia del termine, derivante dal latino “corrumpere”, frutto della combinazione tra “cum” e “rumpere”. Si evoca così l’idea della rottura del legame fiduciario tra cittadino e Pubblica amministrazione, spezzato ingiustamente dal comportamento illecito del pubblico agente.

Il primo significato che viene comunemente attribuito al termine “corruzione” attiene, quindi, ad una conseguenza negativa di una condotta umana ovvero di un evento naturale, per cui esso indicherà una decomposizione, un disfacimento o una degenerazione(ad esempio si parla di corruzione di costumi).[5]

Quanto alla seconda macrocategoria entro cui possono essere ricomprese le molteplici sfumature del termine in esame, la corruzione assume un significato attivo, indicando l’opera di induzione al male. Tale accezione è utilizzata dal legislatore nel Codice penale non solo in relazione ai reati contro la Pubblica Amministrazione ma altresì nel delitto di corruzione di minorenne, previsto dall’art. 609 quienquies c.p. in base al quale è punito «chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici».

Ai fini di un completo inquadramento della corruzione non si può prescindere dal soffermarsi sull’analisi empirico-criminologica del fenomeno, la quale, rapportata al diritto penale, diviene essenziale nello studio delle fattispecie corruttive, data la continua metamorfosi del fenomeno.[6]

Alla luce dell’osservazione criminologica si nota che, oltre alla corruzione cd. episodica, basata su un unico pactum sceleris tra un soggetto privato e un funzionario pubblico avente una posizione non apicale , sempre più diffusa è la corruzione cd. sistemica, che rappresenta la forma di corruzione senza dubbio più pericolosa ed insidiosa, ma anche più difficile da accertare e perseguire sul piano giudiziario. In questo caso «i funzionari pubblici e i corruttori non appaiono più parti contrapposte, ma protagonisti di un unico progetto che, fra l’altro, assume spesso i caratteri di un programma indeterminato e seriale di attività illecite».[7] Il fenomeno assume dunque le vesti di un sistema ben articolato e strutturato nel quale si intersecano relazioni e scambi illeciti a cui partecipano tutti i gruppi sociali, dalle élites ai comuni cittadini impiegati in attività illegali di ruotine.[8]

Il patto corruttivo perde il suo carattere “duale”[9], in quanto coinvolge una pluralità di soggetti appartenenti a diversi ambiti: si tratta non solo di soggetti esponenti della Pubblica Amministrazione, ma altresì di figure di spicco del mondo politico, economico e imprenditoriale del Paese. Ciò mette inevitabilmente in crisi i classici strumenti repressivo-sanzionatori propri del diritto penale ,sui quali si basa il sistema costruito per combattere la corruzione, originariamente concepiti per punire condotte corruttive isolate o episodiche ma  che dimostrano la loro inefficacia in relazione alla corruzione sistemica, data la difficoltà di contrastare un progetto caratterizzato da una pluralità di azioni illecite che coinvolgono un elevato numero di individui e che si innesta in un contesto lavorativo nel quale il fenomeno corruttivo diviene una prassi ordinaria e abituale, considerata agli occhi dei soggetti che vi partecipano una “normalità”, priva quindi di un disvalore sociale ancor prima che penale; ciascun episodio corruttivo affonda le sue radici in un quadro collusivo ben articolato e strutturato, nel quale rappresenta solo una piccola parte del “progetto criminoso” che dà vita al fenomeno illecito[10], ma che rafforza la catena corruttiva, innescando un processo di autoreplicazione della fattispecie criminosa.[11]

Anche il patto corruttivo assume connotati diversi rispetto a quello su cui si basa la  condotta illecita tradizionalmente intesa: esso non ha ad oggetto un mero atto d’ufficio del pubblico agente agevolmente individuabile, come avviene nella cd. corruzione episodica, ma implica un processo di “influenza” su colui che esercita la pubblica funzione. Tale attività può consistere in un importo periodico versato al fine di garantirsi una “protezione” nei rapporti con la Pubblica Amministrazione. Per cui diviene estremamente difficile sul piano giudiziario accertare il processo di formazione e di deliberazione dell’accordo corruttivo nonché individuare gli effettivi partecipanti del pactum sceleris.[12]

Tale fenomeno si atteggia a una vera e propria “corruzione organizzata”, dotata di leggi non scritte, di protocolli e di modelli di comportamento che regolano lo sviluppo e l’evoluzione delle relazioni illecite.[13]

Alla luce di tali osservazioni non si può negare che l’effetto derivante dalla condotta corruttiva non si arresti alla mera lesione del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione ma coinvolga altresì altri interessi: il corretto funzionamento dell’economia nazionale, le regole della concorrenza, la tutela delle istituzioni democratiche, la fiducia che i cittadini ripongono negli organi pubblici.[14]

Il fenomeno della corruzione sistemica ha avuto la sua massima manifestazione in una nota vicenda giudiziaria, conosciuta comunemente con l’espressione  “Tangentopoli”.[15]

2. Il “microsistema” del codice penale dedicato ai delitti di corruzione

La risposta del legislatore penale al dilagare del fenomeno corruttivo è stata la costruzione di una disciplina normativa ben articolata che potesse punire efficacemente la condotta illecita in esame, da un lato descrivendo la fattispecie astratta in maniera generica in modo da poter ricondurre a quest’ultima una molteplicità di comportamenti antigiuridici, dall’altro aumentando sempre di più le pene sulla considerazione in base alla quale, in alcuni casi, l’inasprimento del trattamento sanzionatorio sarebbe strettamente necessario per combattere efficacemente un fenomeno criminoso.

Il legislatore penale ha previsto tre fattispecie dedicate alla corruzione, le quali creano quello che è stato definito un “microsistema” all’interno del codice penale: si tratta della corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.), della corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.) e della corruzione in atti giudiziari (art. 319 ter c.p.).[16]

Tali disposizioni presentano degli elementi in comune che permettono all’interprete di analizzarle congiuntamente in relazione a  taluni aspetti.

La prima questione che si è posta attiene al bene giuridico tutelato. Quest’ultimo svolge una funzione fondamentale nel processo di comprensione, interpretazione ed applicazione di una fattispecie incriminatrice; come autorevolmente sottolineato in dottrina, «il bene giuridico, proprio per sua natura di nucleo e ragion d’essere di un reato, rappresenta un canone indispensabile alla interpretazione di che cosa è per il diritto il comportamento narrato in una disposizione incriminatrice».[17]

Come si evince dal tenore letterale del Titolo[18] nel quale sono collocate le fattispecie in esame, l’interesse tutelato è il funzionamento della Pubblica Amministrazione e, in particolare, in ossequio al disposto di cui all’art. 97 Cost., il suo buon andamento e la sua imparzialità.

La dottrina dominante è concorde nel riconoscere al concetto di “Pubblica Amministrazione” un significato diverso e più ampio rispetto a quello proprio del diritto pubblico. Nel significato strettamente penalistico, applicabile in tale contesto, il concetto abbraccia tutte le attività funzionali attribuibili allo Stato e agli enti pubblici, per cui, in un’accezione ampia,  ci si riferisce all’apparato statuale inteso nel suo complesso, ossia all’insieme delle funzioni, non solo la funzione amministrativa ma altresì quella legislativa e giudiziaria, con le quali lo Stato esercita il suo potere.[19]

La lesione alla Pubblica Amministrazione riguarderebbe il  buon andamento e la sua imparzialità, corollari dell’attività pubblicistica. Infatti, le fattispecie corruttive tipizzano condotte le quali, in vario modo, ostacolano, turbano o impediscono il corretto funzionamento e svolgimento dell’attività amministrativa[20] , per cui ciò che viene inevitabilmente pregiudicata è la legalità dell’azione amministrativa.[21]

Il buon andamento consiste nell’efficace svolgimento dell’attività amministrativa conformemente all’interesse pubblico.[22]

Mentre l’imparzialità attiene all’obbligo imposto a colui che ricopre una pubblica funzione di non alterare o pregiudicare la posizione paritaria dei cittadini in relazione allo svolgimento dell’attività amministrativa;[23] si tratta del «dovere di trattare in modo eguale fattispecie eguali, in modo affine fattispecie affini, in modo egualmente diverso fattispecie diverse, risolvendosi esso in un corollario del principio di eguaglianza».[24]

Il secondo aspetto della fattispecie di corruzione che appare opportuno analizzare attiene ai soggetti attivi della condotta incriminata. Si tratta di un reato a concorso necessario o necessariamente plurisoggettivo, in quanto è la stessa norma incriminatrice che richiede la presenza di più soggetti ai fini dell’ integrazione del reato.[25]

La condotta incriminata dalle fattispecie corruttive di cui agli art. 318, 319 e 319 ter c.p. consiste in un pactum sceleris avente ad oggetto il mercimonio dell’attività amministrativa.[26]

L’accordo criminoso è solitamente bilaterale[27]: i protagonisti sono, da un lato, il soggetto avente la funzione pubblicistica nelle vesti di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio[28], e, dall’altro, il soggetto privato.

Alla luce di tali osservazioni la corruzione appartiene alla categoria dei reati propri, in quanto la qualifica pubblicistica rivestita dal soggetto attivo del reato rappresenta uno dei requisiti del fatto tipico.[29]

I protagonisti dell’accordo criminoso sono soggetti al medesimo trattamento sanzionatorio, come previsto dal combinato disposto degli art. 318 e 319 c.p.(che sanciscono la responsabilità penale del corruttore) e dell’art. 321 c.p. in base al quale «le pene stabilite nel primo comma dell’articolo 318, nell’articolo 319, nell’articolo 319-bis, nell’art. 319-ter, e nell’articolo 320 in relazione alle suddette ipotesi degli articoli 318 e 319, si applicano anche a chi dà o promette al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio il denaro od altra utilità».

3. Come sconfiggere la corruzione? Un’idea utopistica ma non impossibile

La lotta alla corruzione è stata combattuta, per molto tempo, esclusivamente con le armi del diritto penale, le quali però, sovente, si rivelano inefficaci nel contrasto al fenomeno criminoso. La sola leva repressiva appare insufficiente se non combinata con altri fattori, tra cui la leva preventiva.[30]

Il primo passo verso una strategia di lotta alla corruzione non più improntata alla mera sanzione ma ispirata altresì da un’ottica preventiva si ha con l’intervento riformatore avvenuto con la cd. Legge Severino (Legge n. 190/2012). Senza addentrarsi dettagliatamente nel contenuto della riforma, si noti che la maggior parte delle disposizioni introdotte sono ispirate da un’ottica preventiva; basti pensare all’istituzione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e alla predisposizione di piani anticorruzione nelle diverse amministrazioni.

Oltre allo strumento repressivo e a quello preventivo, il terzo pilastro sul quale bisognerebbe investire per attuare un’efficace politica di lotta alla corruzione è quello della cultura della legalità, molto spesso trascurata nelle realtà scolastiche: bisognerebbe agire sull’educazione dei più giovani, facendogli capire l’importanza del rispetto delle leggi anche nei gesti più semplici propri della quotidianità.

Come autorevolmente sostenuto, «la cultura della legalità come antidoto alla corruzione: il forte radicamento nelle nuove generazioni di una etica pubblica, di un sano dovere civico e la riprovazione sociale diffusa verso fenomeni corruttivi possono svolgere un ruolo importante nelle dinamiche di contrasto della corruzione».[31]

In conclusione, possiamo dire che  intervenire con la mera sanzione penale non appare  la scelta risolutiva. Tuttavia, la volontà di prevedere una risposta sanzionatoria severa potrebbe apparire giustificata dal grave disvalore penale della condotta corruttiva, in ossequio al principio di proporzionalità, ma non si rivelerebbe essere certamente la “soluzione” nel contrasto al fenomeno corruttivo.

Aumentare le pene sembra, infatti, non avere una reale ed effettiva funzione general-preventiva atta a disincentivare la commissione di reati.

Per cui alla luce di tali osservazioni appare indispensabile contrastare il fenomeno corruttivo combinando lo strumento repressivo con lo strumento preventivo. Solo così si può auspicare realmente a una vanificazione della corruzione.

 

 


[1] Ai sensi del comma 1 dell’art. 41 Cost. «L’iniziativa economica privata è libera».
[2] Così Manganaro, Corruzione e criminalità organizzata, in La Camera (a cura di), L’area grigia della ‘ndrangheta, Roma, 2012, 119.
[3] Sul punto cfr. Alessandri, I reati di riciclaggio e corruzione nell’ordinamento italiano: linee generali di riforma, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 22.
[4] Cantone, Carloni, Corruzione e anticorruzione: dieci lezioni, Milano, 2018, 2.
[5] In base alla definizione fornita da Treccani, consultabile online sul sito www.treccani.it
[6] In tal senso Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto “integrato”, Torino, 2012, 9 ss.; Mannozzi, Combattere la corruzione: tra criminologia e diritto penale, in Diritto penale e processo, 2008, 6, 775 ss.
[7] Cantone, Carloni, Corruzione e anticorruzione: dieci lezioni, Milano, 2018, 59 ss.
[8] Fiandaca, Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2000, 3, 885.
[9] Sul punto Cingari, La corruzione pubblica: trasformazioni fenomenologiche ed esigenze di riforma, in Diritto penale contemporaneo, 2012, 1, 80.
[10] Forti, L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1996, 2, 477.
[11] Marotta, Aspetti criminologici del fenomeno corruttivo, 2017, 341.
[12] Sul punto Cingari, Repressione e prevenzione della corruzione pubblica. Verso un modello di contrasto “integrato”; Torino, 2012, 31.
[13] Così Vannucci, Non fidarsi è meglio? Le radici istituzionali della corruzione sistemica, in Sicurezza e scienze sociali, 2016, 2, 87.
[14] Fiandaca, Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 3, 2000, 886.
In tal senso altresì Severino, Legalità, prevenzione e repressione nella lotta alla corruzione, in Archivio Penale, 2016, 3, 635.
[15] Si tratta di una serie di inchieste giudiziarie avviate dalla Procura della Repubblica di Milano nel 1992 a carico di noti esponenti del mondo politico ed imprenditoriale, imputati per reati contro la pubblica amministrazione.
Tale vicenda ha rappresentato una vera e propria rivoluzione giudiziaria che ha destato molto scalpore non solo nel mondo politico, economico ed imprenditoriale, il quale ha subito un vero e proprio “terremoto mediatico”, ma anche nell’opinione pubblica, la quale ha visto per la prima volta sul banco degli imputati esponenti illustri di quell’epoca.
[16] Tali fattispecie sono inserite nel Titolo II del Libro II del codice penale, dedicato ai delitti contro la pubblica amministrazione.
Il Titolo II è suddivisibile in tre parti che corrispondono ai tre Capi previsti dal legislatore a seconda della fonte di provenienza dell’offesa alla Pubblica Amministrazione: il Capo I (art. 341-335 bis c.p.) è dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione commessi da coloro che rivestono una pubblica funzione, nel Capo II sono invece collocati i delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione e, infine, il Capo III è dedicato alle disposizioni comuni contenenti le norme definitorie e i criteri di rilevanza delle qualifiche soggettive.
[17] Così Amisano Tesi, Le tipologie della corruzione, Torino, 2012, 13.
[18] «Dei delitti contro la Pubblica Amministrazione»
[19] In tal senso Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2013, 3; Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2019, 6; Catenacci, Reati contro la pubblica amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, Torino, 2016, 8; Fortuna,  I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2010, 9.
[20] Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2019, 9.
[21] Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, Padova, 2013, 10.
[22] Sul punto Berti, La pubblica amministrazione come organizzazione, I, 1963, 53.
[23] Così Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2019, 10.
[24] Barile, Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Scritti in onore di P. Calamandrei, Padova, 1958, IV, 43.
[25] Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 553.
Sul punto cfr. Marinucci, Dolcini, Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2017, 63; Camaioni, Il concorso di persone nel reato, Milano, 2009, 311; Della Terza, Struttura del reato a concorso necessario, Milano, 1971; Pazienza, Le fattispecie plurisoggettive di apparente partecipazione, Padova, 1988; Sesso, Saggio in tema di reato plurisoggettivo, Milano, 1955.
[26] Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012, 225.
[27] La corruzione si configura, infatti, come un reato accordo a struttura bilaterale.
Così Pisapia, Unità e pluralità di soggetti attivi nella struttura del reato, in Scritti in onore di V. Manzini, Padova, 1954, 345 ss.
[28] Ai sensi dell’art. 357 c.p. «sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi».
Mentre gli incaricati di pubblico servizio sono definiti dall’art. 358 c.p. come «coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».
[29] Fortuna, I delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 2010, 338.
Sul punto cfr. Marinucci, Dolcini, Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2017, 263; Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2012, 213; Gullo, Il reato proprio: dai problemi tradizionali alle nuove dinamiche d’impresa, Milano, 2005; Bettiol, Sul reato proprio, Milano, 1939; Maiani, In tema di reato proprio, Milano, 1966.
[30] Sul punto Severino, Legalità, prevenzione e repressione nella lotta alla corruzione, in Archivio Penale, 2016, 3, 641 ss.
[31] Severino, Legalità, prevenzione e repressione nella lotta alla corruzione, in Archivio Penale, 2016, 3, 641.

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