La Cassazione esclude l’aggravante dell’omicidio volontario per mezzo insidioso derivante dall’occultamento del coltello e dal suo uso repentino
Cass. pen., sez. I, 26.04.2022, n. 15838 – Pres. Zaza, Rel. Russo
Abstract (ITA): Il presente contributo analizza la sentenza della Prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 15838/2022, con la quale ritorna ad analizzare l’omicidio volontario aggravato dal “mezzo insidioso” non integrando l’occultamento ed il suo uso repentino nel colpire la persona offesa.
Abstract (EN): This article analyzes the judgment of the First Criminal Division of the Court of Cassation n. 15838/2022, in which it returns to analyze voluntary homicide aggravated by the “insidious means”, without including concealment and its sudden use in striking the victim.
Sommario: 1. La vicenda processuale – 2. Reato di omicidio (art. 575 c.p.) – 3. L’aggravante del mezzo insidioso (art. 577, comma 1, n. 2 c.p.) – 4. La decisione della Corte di Cassazione
1. La vicenda processuale
Il riassunto riguarda un caso giudiziario in cui l’imputato è stato condannato in primo grado per il delitto di omicidio volontario e porto di coltello fuori dalla propria abitazione. La sentenza di primo grado è stata parzialmente riformata in appello, eliminando l’aggravante dell’art. 61, comma 1, n. 5 c.p. e riducendo la pena inflitta a quindici anni di reclusione. L’imputato ha presentato un ricorso per la mancata concessione dell’attenuante dell’art. 62, comma 1, n. 2 c.p., per l’inesistenza dell’aggravante del mezzo insidioso ex art. 577, comma 1, n. 2 c.p., e per la mancata valutazione di prevalenza delle attenuanti generiche. Il Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso per il secondo motivo, mentre la parte civile ha chiesto di dichiarare inammissibile o di respingere il ricorso.
2. Reato di omicidio (art. 575 c.p.)
L’articolo 575 del codice penale italiano disciplina il reato di omicidio volontario, considerato uno dei delitti più gravi nel nostro ordinamento giuridico. Secondo la legge, l’omicidio volontario è commesso da chiunque cagioni la morte di una persona. Si tratta quindi di un reato doloso a forma libera, in cui l’autore ha agito con volontà e coscienza di compiere un’azione che avrebbe portato alla morte della vittima.
Il reato di omicidio volontario è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21 che può comportare la pena dell’ergastolo in caso di circostanze aggravanti, come, ad esempio, l’uso di armi da fuoco o l’uccisione di un ascendente o discendente, ovvero di una persona appartenente a una particolare categoria protetta, come ad esempio un pubblico ufficiale.
La giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’elemento soggettivo del reato di omicidio volontario consiste nell’intenzione di uccidere, che può essere desunta da ogni elemento di prova idoneo a dimostrare la volontà dell’autore di commettere il delitto. Tra questi elementi possono essere considerati la premeditazione, la crudeltà, la determinazione nell’agire, la cattiva condotta della vittima o altre circostanze che dimostrino la volontà di uccidere.
3. L’aggravante del mezzo insidioso (art. 577, comma 1, n. 2)
L’articolo 577, comma 1, n. 2 del codice penale prevede l’aggravante del mezzo insidioso nel delitto di omicidio. In particolare, questa aggravante si configura quando l’omicidio è stato commesso con un mezzo insidioso o col mezzo di sostanze venefiche.
Il mezzo insidioso è qualsiasi strumento o comportamento che, in modo astuto e ingannevole, sia idoneo a creare nell’altro soggetto un senso di sicurezza o di tranquillità, per poi tradirlo in modo da favorire la commissione del reato. In pratica, si tratta di un’azione svolta con l’intento di indurre la vittima a fidarsi dell’agente e di abbassare la propria difesa, allo scopo di poterla colpire in modo inaspettato.
L’aggravante del mezzo insidioso è considerata una circostanza particolarmente grave, in quanto implica l’utilizzo di una condotta che tradisce la fiducia dell’altra persona, tradendo il suo stato di vulnerabilità e generando un duplice effetto: da un lato, la vittima è messa in pericolo in modo subdolo e insidioso; dall’altro, il comportamento del soggetto attivo è ancora più abietto e sleale, in quanto sfrutta la vulnerabilità altrui a proprio vantaggio.
In caso di omicidio commesso con un mezzo insidioso, dunque, la pena prevista per il reato viene aumentata rispetto alla norma base prevista per l’omicidio volontario. L’aggravante dipende dalla pericolosità del mezzo utilizzato e dalle modalità con cui è stato impiegato. L’aggravante può essere inoltre oggetto di valutazione giudiziaria nel corso del processo, al fine di accertare se la sua applicazione sia effettivamente giustificata dalle circostanze del caso concreto.
4. La decisione della Corte di Cassazione
La sentenza in questione riguarda un caso di omicidio e si compone di due considerati in diritto.
Il primo considerato in diritto si riferisce all’attenuante della provocazione e dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso. La sentenza di secondo grado riporta una serie di episodi di attrito tra l’imputato e la famiglia della vittima che dimostrano come il comportamento dell’imputato, consistente nel presentarsi la sera del fatto nel circolo in questione, integrava una sorta di sfida alla famiglia della vittima. L’accettazione o addirittura il portare una sfida, come accaduto in questo caso, esclude la configurabilità dell’attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida, seppur occasionato da un precedente fatto dell’avversario.
Il secondo considerato in diritto riguarda l’aggravante del mezzo insidioso ed è fondato. La sentenza di primo grado ha motivato il riconoscimento dell’aggravante affermando che l’imputato aveva nascosto all’interno del suo giubbotto un coltello da macellaio altamente lesivo e letale. La sentenza di secondo grado ha confermato l’aggravante e ha motivato il proprio riconoscimento con la descrizione del gesto fulmineo dell’imputato che ha sorpreso la vittima e l’ha portata alla morte.
Inoltre, la sentenza di secondo grado ha sostenuto che la motivazione della sentenza di primo grado si integra con quella della sentenza di appello, formando un unico complessivo corpo argomentativo, quando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione.
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Dott. Luca Cosenza
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