La costante ricerca di un delicato equilibrio tra potere di annullamento in autotutela della Pubblica Amministrazione e legittimo affidamento del privato
Capita non di rado che un concorso sia affetto da vizi. Ma cosa succede ai vincitori di un concorso poi annullato dalla stessa P.A. in autotutela? Hanno sprecato il loro tempo e le loro energie? Hanno sacrificato intere settimane, mesi, talvolta addirittura anni interi per studiare, passando le proprie giornate davanti a un computer che simula quiz e non vi è alcun rimedio?
E ancora, spesso vi sono procedure di selezione che permettono avanzamenti di carriera agli interni, l’attribuzione di mansioni diverse e conseguenti trattamenti economici migliorativi. È giusta una retrocessione professionale, un demansionamento qualora i vizi che hanno causato l’annullamento in autotutela della procedura concorsuale non siano addebitabili a dichiarazioni o condotte dei vincitori, ma piuttosto ad errori imputabili unicamente alla Pubblica Amministrazione?
Il tema che oggi ci occupa è proprio quello del complicato rapporto tra il potere di annullamento in autotutela della P.A. e il legittimo affidamento del privato.
Se è vero che il rispetto delle norme che regolano il corretto svolgimento delle procedure concorsuali – legge n. 241 del 7 agosto 1990 e ss. mm. ii. – è necessario e che la Pubblica Amministrazione deve mostrarsi equidistante e imparziale rispetto ai soggetti coinvolti nelle stesse procedure; è altrettanto vero che non può non considerarsi meritevole di tutela il privato cittadino che dapprima si vede riconosciuto un nuovo diritto, una nuova posizione lavorativa, per poi vederla sfumare per cause che nulla hanno a che vedere con i suoi titoli, con la sua anzianità di servizio o con l’esito della prova concorsuale effettuata, venendo così disattesa la sua legittima aspettativa a che il provvedimento di favore emanato dalla P.A. nei suoi confronti venisse effettivamente applicato.
La nascita del principio del legittimo affidamento del privato si deve alla Corte Costituzionale della Repubblica federale tedesca, la quale lo ha concepito come corollario del principio di certezza del diritto. Tale orientamento è stato recepito per la prima volta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza del 12 luglio 1957, Dineke Algera, Giacomo Cicconardi, Simone Couturaud, Ignazio Genuardi e Félicie Steichen contro l’Assemblea Comune della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio, secondo la quale: “il fatto stesso che un atto amministrativo sia stato emanato fa sorgere la presunzione della sua validità” e nel lavoratore dipendente si crea una legittima aspettativa all’assunzione del ruolo e “(…) tale legittima aspettativa è particolarmente valida allorché il dipendente abbia avuto espressa e formale promessa di venir ammesso (…)”.
Con la pronuncia del 3 maggio 1978, Gesellschaft mbH in Firma August Töpfer & Co. contro Commissione delle Comunità europee, vengono ribadite le medesime massime della predetta sentenza del 1957 e si statuisce che: “il principio della tutela dell’affidamento fa parte dell’ordinamento giuridico comunitario”.
Inoltre, l’art. 1 del Protocollo n.1 addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali stabilisce, nella prima parte del par.1 , che: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”. Beni che per espressa statuizione del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (sentenza del 05.08.2022 (n. 9/2022 REG.PROV.COLL.- n. 7/2022 REG.RIC.A.P.) sono “da intendersi in senso ampio, non solo quale res materiale, ma come ogni attività che possa essere qualificata come “diritto patrimoniale” fino a comprendere anche la “aspettativa legittima” della sua acquisizione.”.
Il principio del legittimo affidamento del privato viene recepito per la prima volta in Italia, in modo esplicito e chiaro, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 1985, la quale lo ha riconosciuto tra i principi costituzionali non scritti. In particolare, si legge nella pronuncia:“Osserva la Corte che nel nostro sistema costituzionale non é interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni però, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. n. 36 del 1985 e n. 210 del 1971).”
Nell’ordinamento italiano il legittimo affidamento viene ricondotto non soltanto al principio di certezza del diritto, ma altresì alla clausola di buona fede e correttezza intesa in senso oggettivo e ciò è spiegabile in virtù del fatto che annullare un provvedimento di favore nei confronti di un privato, dopo che quest’ultimo aveva legittimamente risposto le sue aspettative nella sua efficacia e validità e aveva fatto affidamento su di esso, non può che apparire come un comportamento scorretto da parte della P.A., contrario al principio di buona fede e correttezza.
La normativa che regola la materia che oggi ci occupa è contenuta nell’art. 21nonies della L 241 del 1990, che impone due limiti al potere di annullamento in autotutela decisoria della P.A.: il primo è il termine massimo di dodici mesi dall’adozione del provvedimento favorevole nei confronti del privato coinvolto; il secondo consiste nell’imporre alla P.A. una necessaria valutazione comparativa degli interessi in rilievo, idonea a giustificare l’eventuale frustrazione del legittimo affidamento maturato in capo al destinatario di un provvedimento di favore della P.A. a seguito dell’annullamento dello stesso da parte della Pubblica Amministrazione.
Appare utile, altresì, rammentare che la giurisprudenza recente ha a più riprese ribadito la rilevanza dei confini imposti dall’art. 21 nonies L 241/90 (ex multis, T.a.r. Lazio, 17 dicembre 2013 n. 10896; T.a.r. Milano, 31 gennaio 2013 n. 291; T.a.r. Milano, 23 novembre 2018, n. 2642; Cass. Civ. SS.UU. 28 aprile 2020 n. 8236). A tal proposito, il Consiglio di Stato nella sentenza n. 341 del 27 gennaio 2017, ha affermato con estrema chiarezza: “Con la precisazione esatta del termine massimo di consumazione del potere di autotutela decisoria, il legislatore ha, infatti, inteso accordare una tutela più pregnante all’interesse dei destinatari di atti ampliativi alla stabilità e alla certezza delle situazioni giuridiche da essi prodotte, costruendo un regime che garantisca la loro intangibilità una volta decorso inutilmente il periodo di operatività del potere di annullamento d’ufficio dei relativi titoli “ampliativi” (che diventano, così, non più rimuovibili dall’amministrazione, anche quando illegittimamente adottati) (…)”.
Ma quale rimedio è esperibile dal privato quando la P.A. esercita comunque il potere di annullamento in autotutela, a scapito del suo principio del legittimo affidamento? È possibile chiedere, oltre all’annullamento e/o disapplicazione del provvedimento adottato in violazione dei limiti di cui all’art. 21novies L241/90, il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.
In particolare, per quanto riguarda la quantificazione del danno patrimoniale, il danno emergente dovrà essere parametrato agli emolumenti percepiti o percepibili in forza del provvedimento di favore (poi oggetto annullamento in autotutela) dal momento dell’emanazione del provvedimento favorevole fino alla data del suo annullamento; mentre, il “lucro cessante” dovrà essere riferito alla perdita delle aspettative di carriera ed alla perdita di chance. Quanto al profilo non patrimoniale, si deve aver riguardo alla lesione del relativo affidamento incolpevole sul buon esito della procedura e sui relativi effetti (Cass., Sez. lav., 19 aprile 2006, n. 9049) e alle ripercussioni sulla sfera più propriamente esistenziale. In merito alla perdita delle opportunità di carriera, tale forma di pregiudizio si verifica tutte le volte in cui il venir meno di una occasione favorevole o la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile sia determinato dalla adozione di un atto illegittimo da parte della P.A, determinando di fatto un mancato guadagno consistente nella perdita, oltre che degli avanzamenti di carriera conseguiti, anche di quelli conseguibili in futuro.
È orientamento giurisprudenziale univoco e pacifico quello secondo il quale i soggetti risultati vincitori di una procedura concorsuale poi annullata per ragioni addebitabili alla P.A. hanno diritto al risarcimento del danno.
Ex multis, appare utile citare la sentenza del T.A.R. Bologna n. 9/2020 del 10/01/2020, con la quale, con riguardo ad un caso analogo, si afferma:“Innanzitutto il Collegio ritiene esistente il danno ingiusto di cui le stesse si dolgono e parimenti ritiene comprovato il nesso causale tra il pregiudizio economico lamentato e l’annullamento della procedura concorsuale indetta dal comune di Bologna ad opera della sentenza del T.A.R. Emilia – Romagna sede di Bologna sez. I n. 145 del 2013. In effetti, dagli atti di causa non risulta che – dopo l’approvazione della graduatoria finale del concorso – vi fosse alcun elemento ostativo all’assunzione delle ricorrenti (vincitrici della selezione) quali assistenti sociali del comune di Bologna, con conseguente legittima aspettativa di queste a ricoprire il posto messo a concorso. E’ lo stesso comune di Bologna, infatti, a comunicare alle odierne ricorrenti che le ragioni dell’annullamento del procedimento concorsuale che le aveva viste collocate nella relativa graduatoria tra i candidati vincitori, risiedono esclusivamente nella mancata pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta della Repubblica Italiana e, quindi, in un comportamento dell’amministrazione banditrice in contrasto con la vigente normativa in materia che prescrive la pubblicazione del bando per intero o per estratto anche sulla G.U.R.I..” .
Ed ancora, il T.A.R. Campobasso, (Molise) sez. I, è stato interessato da tali questioni e ha pronunciato la sentenza n. 46 del 31/01/2019, precisando che: “Il pregiudizio patrimoniale patito a causa dalla condotta colpevole della P.A., è senz’altro risarcibile a tenore dell’art. 2043 cod. civ., norma che impone il dovere primario di non cagionare danni ingiusti. Il dato obiettivo dell’accertata illegittimità dell’azione amministrativa, come giudicata dal parere definitivo del Consiglio di Stato integra, in questo caso, ex se l’illiceità della condotta, come evidenziato da un consolidato orientamento della giurisprudenza civile e amministrativa (cfr.: Cass. civile, sez. un., n. 500/99; idem, n. 13164/05; idem n. 20358/05; Cons. Stato n. 3169/01; idem n. 1261/04; idem n. 5500/04; idem n. 478/05). È fuor di dubbio, a tal proposito, che la scelta di escludere dal concorso i non residenti in Molise abbia direttamente pregiudicato le possibilità dei ricorrenti di partecipare al concorso e di ottenere l’impiego”. E conclude affermando: “È palese, dunque, la sussistenza del rapporto causale tra il fatto ostativo (l’esclusione dalla selezione) e il pregiudizio della perdita di una ragionevole probabilità di conseguimento del risultato atteso dai ricorrenti, di collocarsi, previo superamento della prova, in una posizione non solo idonea ma utile nello scorrimento di una delle sei graduatorie di concorso definitivamente approvate. Ai fini della risarcibilità della cosiddetta perdita di chance, in conseguenza dell’illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, questa deve essere valutata, caso per caso, considerando la probabilità che l’interessato aveva, se legittimamente ammesso alla procedura, di risultare vincitore del concorso e quindi di beneficiare della relativa assunzione nel posto pubblico messo a concorso (cfr.: Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452)”.
In conclusione, tracciare i confini tra il potere di annullamento in autotutela della P.A. e il legittimo affidamento del privato è un’impresa tanto complessa quanto affascinante. Tale “nuovo” diritto nasce, si evolve e si definisce attraverso la giurisprudenza; tuttavia, nonostante sia imprescindibile una valutazione caso per caso al fine di operare un corretto bilanciamento degli interessi in gioco nel caso concreto, sarebbe opportuna, a mio parere, l’emanazione di una più chiara e completa disciplina normativa da parte del legislatore, che possa mettere luce nelle zone d’ombra della materia, soprattutto per quanto riguarda i casi e le modalità di ottenimento del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal cittadino.
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Alessandra La Mattina
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