La definizione concordata della lite fiscale e le ricadute sui contributi previdenziali

La definizione concordata della lite fiscale e le ricadute sui contributi previdenziali

Sommario: 1. Premessa – 2. La normativa e gli orientamenti giurisprudenziali – 3. La ripartizione degli oneri probatori – 4. Conclusioni

 

1. Premessa

Gli ultimi arresti giurisprudenziali di legittimità [1] porgono il destro per prendere in esame una materia insidiosa, quella della sorte dei contributi nel caso di definizione concordata della lite fiscale ex art. 39 co. 12 D.L. n. 98/2011.

Stante il silenzio del legislatore, infatti, si era posta la questione delle conseguenze della definizione delle liti fiscali sui contributi previdenziali accertati dall’Agenzia delle Entrate, a carico del contribuente.

Prima di scendere nel concreto esame delle diverse problematiche sollevate dall’interrogativo, occorre precisare che la questione – pur prospettabile in diversi contesti – si è posta all’attenzione dei giudici prevalentemente nell’ambito del giudizio di opposizione ad avviso di addebito.

2. La normativa e gli orientamenti giurisprudenziali

La definizione concordata della lite ha ad oggetto esclusivamente, come recita l’art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, in L. n. 111/2011, <<le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio>> e si perfezione <<a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289>>.

Gli importi sono diversificati in base al valore e alla fase della lite ed è lo stesso legislatore a chiarire, con l’art. 16 L. n. 289/2002, cosa debba intendersi per valore della lite, vale a dire <<l’importo dell’imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, al netto degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni collegate al tributo, anche se irrogate con separato provvedimento; in caso di liti relative alla irrogazione di sanzioni non collegate al tributo, delle stesse si tiene conto ai fini del valore della lite; il valore della lite è determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dai tributi in esso indicati>>.

Secondo univoco orientamento giurisprudenziale di legittimità, il tenore letterale delle due norme in cui si inscrive l’istituto della definizione concordata delle lite fiscali (art. 39, comma 12, D.L. n. 98 del 2011 e art 16 I. n. 289 del 2002) e la finalità espressamente indicata dal legislatore nella rubrica dell’articolo 39, recante «disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria» inducono a ravvisare nella definizione agevolata delle liti tributarie l’esclusiva natura deflativa del contenzioso tributario – di valore inferiore a 20.000 euro e già pendente alla data del 31 dicembre 2011 – allo scopo di liberare e concentrare le risorse dell’Agenzia delle Entrate sulla proficua e spedita gestione dei procedimenti di natura precontenziosa di cui al comma 9 dello stesso art. 39, attraverso il pagamento di un importo percentualmente ridotto del tributo oggetto della lite [1].

Tali aspetti sono stati messi a fuoco dalla prima giurisprudenza di merito che si è creata sul punto [2], evidenziandosi, ad esempio, che il condono non vanifica l’accertamento fiscale svolto ma rappresenta una sorta di “patteggiamento” tra il contribuente e l’amministrazione in ragione del quale il contribuente, pur non portando acquiescenza all’accertamento svolto, ammette in sostanza che il proprio reddito è maggiore rispetto a quello dichiarato e quindi “sana” la propria posizione fiscale versando una somma di entità certamente inferiore a quella che dovrebbe versare in base al reddito effettivo.

Altro orientamento giurisprudenziale si spinge oltre, arrivando ad affermare che la definizione agevolata non fa venir meno l’accertamento fiscale che, ove non rimosso dal giudice tributario, fornito di giurisdizione esclusiva, non può essere disatteso dal giudice del lavoro, con preclusione dunque di ogni contestazione da parte del soggetto passivo dell’obbligazione contributiva [3].

Di contro, si è sostenuto che la cessazione della materia del contendere – non accertando alcun maggior reddito – determina il venir meno degli obblighi contributivi [4]. Secondo il riferito orientamento, la peculiare definizione della lite fiscale con le modalità di cui all’art. 39 del D.L. n. 98/2011, con il pagamento di una somma forfettaria, ma senza alcun accertamento (o riconoscimento) “nel merito”, non rende in alcun modo definitivo l’accertamento ed anzi, dal punto di vista formale, resta fermo il reddito originariamente dichiarato dal contribuente [5].

Vi è poi chi sostiene che la conciliazione della lite tributaria, potendo essere determinata da motivi di convenienza, non costituisce ammissione del debito tributario, tanto meno di quello contributivo [6]. In questa prospettiva, stante la neutralità della definizione agevolata, il giudizio innanzi al giudice del lavoro dovrà essere definito sulla base del quadro probatorio ivi delineatosi, rimanendo aperta la diversa questione relativa alla efficacia probatoria che la giurisprudenza riconosce all’accertamento fiscale [7].

Nel quadro delle decisioni di legittimità che seguono tale ultimo orientamento, assume particolare rilevanza la sentenza n. 21541/2019 della Suprema Corte, sez. lavoro, la quale per la ricchezza dell’impianto motivazionale si presta – forse meglio di altri precedenti di pressoché identico spessore contenutistico – a riassumere e definire le ragioni che inducono a ritenere che la definizione concordata non incide in alcun modo sul contenuto dell’atto di accertamento compiuto dall’Agenzia ai sensi dell’art. 1 D.L.vo. n. 462/1997, la cui efficacia, ai fini extrafiscali del calcolo dei contributi INPS a percentuale sul maggiore reddito, rimane impregiudicata [8].

Secondo la Corte, prova ne è che alla deflazione del contenzioso previdenziale il D.L. n. 98/2011 ha dedicato l’art. 38 nel quale fin dalla rubrica, recante <<disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale>>, è chiarito l’ambito applicativo, ribadito, nel periodo di apertura del primo comma, con il fine di <<deflazionare il contenzioso previdenziale>> (art. 38, co. 1, primo periodo, D.L. n. 98 cit.).

In sostanza la ripartita collocazione delle disposizioni tra gli articoli orienta l’interprete nel tenere su piani distinti le misure deflative, del contenzioso fiscale e previdenziale.

Nella giurisprudenza di merito si leggono anche cenni al fatto che, in base all’applicazione analogica dei criteri fissati per la definizione della lite (v. art. 39 e art. 16 della L. n. 289/2002, nonché art. 2 co.3, parte prima del d.lgs. n. 218/1997) l’esistenza e l’ammontare del debito contributivo possono ritenersi provati soltanto nei limiti dell’importo fiscale oggetto di sanatoria [9].

Per la Suprema Corte di legittimità, però, neanche appare percorribile tale diversa soluzione interpretativa, in via analogica, in quanto il chiaro dettato normativo è effetto di una precisa scelta del legislatore che, là dove ha inteso estendere ai contributi previdenziali gli effetti della definizione degli accertamenti compiuti dall’Agenzia delle entrate, lo ha previsto espressamente, come per la mediazione introdotta dall’art. 17-bis D.L.vo n. 546/1992 o l’accertamento definito con adesione (art. 2, comma 3, D.L.vo.  n.  218/1997).

Diversamente da tali istituti, comportanti una rideterminazione del reddito imponibile, l’unico effetto della definizione agevolata ex art. 39, comma 12, D.L. n. 98/2011 è costituito dalla chiusura della lite fra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate a fronte del pagamento di un importo pari ad una percentuale ridotta dell’imposta in contestazione.

3. La ripartizione degli oneri probatori

Venendo ora ad esaminare la questione relativa alla ripartizione degli oneri probatori, innanzitutto, è opportuno rilevare come, ai sensi del d.P.R. n. 600/1973, art. 36-bis, sia compito dell’Agenzia delle Entrate in sede di liquidazione delle imposte, contributi e premi dovuti in base alle dichiarazioni dei redditi, di provvedere al controllo formale e sostanziale dei dati in esse contenuti [10].

Inoltre l’art. 1, del D.L. vo. n. 462/1997, emanato in attuazione della legge delega n. 662 del 1996, al fine di attuare l’unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso (art. 3 comma 134, lett. b) L. n. 662/1996) ha disposto che: <<Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che … devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi>>.   

Ciò significa che, a partire dalla dichiarazione 1999 (per i redditi 1998), l’Agenzia delle Entrate svolge un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’INPS e, in caso di mancato pagamento, l’INPS procede, sulla base dei dati forniti dalla Agenzia delle entrate, alla iscrizione a ruolo dei contributi totalmente o parzialmente insoluti (ai sensi del D.L.vo n. 462/1997).

Si è, dunque, in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall’Agenzia delle entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, nonché di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto (cfr. anche D.L. n. 70/2011 conv., con modificazioni, in L. n. 106/2011, art. 7, comma 2, lett. t).

In ordine alla valenza probatoria degli accertamenti tributari, la giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità ha affermato che in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, primo comma, del D.P.R. n. 600/1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni dei soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del D.P.R. n. 633/1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti [11].

Pertanto, il giudice di merito (tributario od ordinario, nel caso della contribuzione previdenziale), investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto, in motivazione, dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, c.c. [12].

Va anche ricordato, per completezza, che <<in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie  e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile, in sede di legittimità, la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento>> [13].

In tale quadro interpretativo che la Suprema Corte di legittimità ha mostrato di condividere anche negli ultimi arresti, l’accertamento conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell’onere probatorio [14]. Tale accertamento costituisce, anche in riferimento all’obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento del fatto giuridicamente rilevante (id est: la produzione di un certo reddito da parte del lavoratore autonomo), posto che l’accertamento interviene dopo che il contribuente ha adempiuto alla propria obbligazione nella misura che egli ritiene dovuta e gli uffici competenti intervengono con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell’importo pagato.

In definitiva, dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario si desume la necessità che lo stesso venga resistito da colui che intenda, invece, evitare il consolidamento dell’accertamento stesso (id est: dei fatti oggetto dell’accertamento stesso) e ciò può avvenire con qualsiasi mezzo.

4. Conclusioni

Con la soluzione adottata nelle sentenze passate in rassegna, la giurisprudenza di legittimità ha evitato che gli istituti previdenziali ed assicurativi si trovassero gravati, in luogo dell’Amministrazione finanziaria, dell’onere di provare il fatto costitutivo (maggior reddito imponibile) delle loro pretese, affermato dall’A.F. sulla base di potestà di accertamento sue proprie in via esclusiva (artt. 31 segg. D.P.R. 29.9.1973, n. 600). Inoltre, il sindacato giurisdizionale circa l’effettiva sussistenza di quel fatto costitutivo sarebbe esercitato nell’ambito di un processo disciplinato da norme ben diverse, specie in tema di prove, rispetto a quelle che regolano il processo tributario (art. 7 d.lgs. 31.12.1992, n. 546, con particolare riferimento al divieto di prova testimoniale di cui al co. 4).

In altri termini, secondo la Suprema Corte, sembra davvero eccessivo onerare l’istituto previdenziale della dimostrazione dell’esistenza di un fatto (il maggior reddito conseguito dal contribuente-assicurante), la cui prova richiede l’esercizio di poteri di accertamento dei quali l’Istituto è privo, costituendo una peculiare prerogativa dell’Amministrazione finanziaria, competente ad accertare anche la debenza dei contributi previdenziali nell’esercizio del potere ex art. 1 co.1 d.lgs. 462/1997.

Appurato che per evitare ogni riflesso sull’obbligazione contributiva è necessario contrastare l’atto di accertamento tributario, tuttavia, la ricostruzione effettuata dalla giurisprudenza non sembra aver tenuto conto delle argomentazioni di altro orientamento della Suprema Corte e delle ricadute che esso può avere nel caso esaminato.

Infatti, secondo tale orientamento “l’iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali è subordinata, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del D.L.gs. n. 46 del 1999, all’emissione di un provvedimento esecutivo del giudice ove l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti all’autorità giudiziaria, senza distinguere se esso sia eseguito dall’ente previdenziale ovvero da altro ufficio pubblico e senza richiedere la conoscenza, da parte dell’ente creditore, dell’impugnazione proposta” [15].

Di conseguenza, qualora l’accertamento tributario fosse stato impugnato dal contribuente, l’Inps non avrebbe potuto emettere alcun avviso di addebito, in quanto la fonte della pretesa era l’accertamento sui maggiori redditi effettuato dall’Agenzia delle Entrate [16].

Del resto, la tesi contraria non consente di saldare insieme la duplice esigenza di scongiurare, da un lato, contrasti di giudicati e di evitare, dall’altro, inutili duplicazioni di attività processuali.

Tuttavia, secondo altre pronunce degli Ermellini, il giudice dovrebbe esaminare il merito della pretesa anche in ipotesi in cui accerti l’esistenza di un giudizio  promosso dal contribuente e non ancora definito nel momento in cui l’INPS ha notificato l’avviso di addebito [17].

In particolare, si è ritenuto che “in tema di riscossione di contributi e di premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi princìpi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo”, con la conseguenza che gli eventuali vizi formali dell’avviso di addebito (o della cartella esattoriale) comportano soltanto l’impossibilità, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito [18].

In conclusione, la definizione agevolata in questione non è una transazione, sia perché non vi è alcuna rideterminazione del reddito imponibile, come avviene in caso di accordo tra Agenzia delle Entrate e contribuente in sede di accertamento con adesione, mediazione obbligatoria o conciliazione ex art. 46 del decreto legislativo n. 546/92, sia perché non vi è alcuna discrezionalità in capo all’amministrazione finanziaria, che deve limitarsi a verificare se la lite è “definibile” in relazione all’importo dell’imposta accertata e se la percentuale che il contribuente intende pagare è quella corretta (10%, 30% o 50%); si tratta, piuttosto, di una mera riduzione dell’importo dell’imposta già calcolata sul reddito imponibile accertato nell’avviso di accertamento, ai fini meramente deflattivi del contenzioso.

 

 

 

 


Bibliografia
[1] Da ultimo, v. Cassazione civ., sez. lav., ordinanza 11/02/2021, n. 3386; in tal senso, v. anche Cassazione civ., sez. lav., ordinanza 03/10/2019, n. 24774; Cassazione civ., sez. lav., sentenza 20/08/2019, n. 21541.
[2] Cfr. Corte di Appello Catania, sez. lav., sentenza n. 1033/2018; Corte di Appello Milano, sez. lav., sentenza n. 2081/2017; altro indirizzo – evidenziato che la definizione del contenzioso tributario deriva da calcolo del dovuto in una percentuale dell’imposta contestata e che l’oggetto della definizione sia costituito esclusivamente dall’imposta e non dalla base imponibile, con conseguente estraneità della sanatoria delle liti fiscali ai contributi previdenziali – ritiene di dover decidere la controversia previdenziale valutando la legittimità o meno dell’originario comune e propedeutico avviso di accertamento dell’A.F., imponendo oneri di impugnazione dello stesso da parte del contribuente davanti all’A.G.O. ed oneri di prova da parte dell’Inps in sede di giurisdizione ordinaria; cfr. Tribunale di Ivrea, sez. lav., sentenza 30/01/2014; Tribunale di Cuneo, sez. lav., sentenza 15/12/13; Tribunale di Firenze, sez. lav., sentenza 02/10/13.
[3] Così, Tribunale di Padova, sez. lav., sentenza 14/06/2017, n. 414; Tribunale di Napoli, sez. lav., sentenza 11/06/2015, n. 499.
[4] Così, Tribunale di Asti, sez. lav., sentenza 17/06/2014.
[5] V. Tribunale di Trieste, sez. lav., sentenza 30/10/2013; Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sez. lav., sentenza 05/11/2015, n. 3980.
[6] Sul punto, Tribunale Milano, sez. lav., sentenza n. 5304/2013; Tribunale Ancona, sez. lav., sentenza n. 559/2013.
[7] Definisce la questione sul piano probatorio anche Corte di Appello Bari, sez. lav., sentenza 26/05/2016, n. 1417, laddove afferma che “la definizione bonaria, di cui sopra si è detto, ha inciso, all’evidenza, sulla lite fiscale pendente ma alcun riflesso ha prodotto sulla (autonoma) rilevanza degli atti di accertamento qual utilizzati (anche) dall’Inps”.
[8] Cfr. Cassazione civ., sez. lav., sentenza 20/08/2019, n. 21541.
[9] Cfr. Tribunale di Bergamo, sez. lav., sentenza 03/10/2013; Tribunale di Trento, sez. lav., sentenza 11/02/2014.
[10] V. Cassazione n. 17769/2015.
[11] V., fra le tante, Cass. 14237/2017.
[12] V., fra le tante, Cass. n. 9784/2010.
[13] Così Cass. n. 9108/2012.
[14] Cfr. Cassazione civ., sez. lav., sentenza 20/08/2019, n. 21541; Cassazione civ., sez. lav., ordinanza 03/10/2019, n. 24774.
[15] Cfr. Cassazione civ., sez. lav., sentenza 09/04/2014, n. 8379; conforme, Cassazione civ., sez. lav., sentenza 01/03/2016, n. 4032.
[16] Cfr. Tribunale Catania, sez. lav., sentenza 22/11/2017, n. 4763, secondo cui “viola il disposto di cui all’art. 24 comma 3 del D.L.gs. n. 46/99, l’avviso di addebito conseguente ad un accertamento reddituale, qualora sia stato notificato dopo la proposizione del ricorso in sede tributaria”; conforme, Tribunale Roma, sez. lav., sentenza 05/06/2018, n. 4679; da ultimo, cfr. Tribunale Ragusa, sez. lav., sentenza 03.02.2020, n. 95.
[17] Cfr. Cassazione civ., sez. lav., sentenza 06/08/2012, n. 14149; più di recente, Cassazione civ., sez. lav., ordinanza 20/03/2018, n. 6959; Cassazione civ., sez. VI, ordinanza 28/03/2019, n. 8724.
[18] Cfr. Cassazione n. 774/2015; Cassazione n. 26395/2011.

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti