La derisione del corpo tra diritto e social network
Definizione e caratteristiche. Il body shaming [1] consiste nel criticare o nel deridere la fisionomia di una persona attraverso commenti estremamente negativi [2]. Tale pratica può colpire indistintamente qualsiasi soggetto e può riguardare ogni aspetto del fisico (gli adolescenti e le donne sono particolarmente soggetti a tali condotte). Spesso il body shaming sfocia in fenomeni di bullismo e cyber-bullismo, e può integrare, a seconda della intensità e della modalità della condotta, diversi reati, dalle minacce (articolo 612 c.p.), allo stalking (articolo 612 bis c.p.), fino all’istigazione o aiuto al suicidio (articolo 580 c.p.).
Il reato principale è però rappresentato dalla diffamazione (articolo 595 c.p.) [3]. La denigrazione può avvenire tanto realmente quanto virtualmente. Il body shaming online si palesa attualmente in modo preoccupante sui social network che, spesso, invece di portare le persone ad interagire senza pregiudizi, spingono le stesse a comportamenti che difficilmente sarebbero capaci di replicare nella vita quotidiana.
Body shaming e diffamazione. La Corte di Cassazione ha costantemente confermato che postare sui social network commenti e foto lesive della dignità altrui rappresenta una forma di diffamazione [4].
Il reato di cui all’articolo 595 c.p. può essere realizzato con qualsiasi mezzo (disegni, parole, scritti) e avviene quando l’offesa è rivolta a un individuo identificabile e quando è comunicata a un minimo di due persone, anche in tempi diversi.
Il body shaming si trasforma, quindi, in diffamazione non appena si offende l’aspetto fisico di un’altra persona pubblicamente, cioè quando si esprimono giudizi offensivi nei confronti di un individuo assente, minando la reputazione che ha in un contesto sociale (anche attraverso l’utilizzo dei social network). La diffamazione diventa aggravata nel momento in cui il commento irrispettoso è pubblico, quindi può essere letto da tutti.
Un commento sotto una immagine su un social network è inteso, infatti, come rivolto al soggetto nella foto, anche se non riporta nome e cognome del destinatario.
La tutela del deriso. Nel momento in cui il body shaming integra il reato di cui all’articolo 595 c.p., è necessario che la persona offesa sporga querela, rivolgendosi alle forze dell’ordine. Una volta ricevuta la segnalazione, queste ultime avvieranno le indagini. In sede penale, l’autore del body shaming sarà rinviato a giudizio, dovrà sottostare ad una pena stabilita dall’ordinamento per la violazione di una azione prevista dalla legge come reato e dovrà risarcire, in sede civile, gli eventuali danni procurati alla persona offesa.
Nei casi in cui, invece, il body shaming non integri la diffamazione, è comunque possibile riuscire a tutelarsi, sebbene in modo differente. In questa evenienza, si potranno infatti sfruttare gli strumenti legali contro il cyberbullismo (ex legge numero 71 del 29 maggio 2017). Il provvedimento ha introdotto una serie di misure di carattere formativo, finalizzate a favorire una maggiore consapevolezza tra i giovani del disvalore di comportamenti persecutori che, generando isolamento ed emarginazione, possono portare a conseguenze anche molto gravi su vittime in una situazione di particolare fragilità [5]. La legge si caratterizza, infatti, per l’impiego di strumenti preventivi di carattere educativo.
Note bibliografiche
[1] Sulla derisione del corpo si vedano, tra i tanti, T. B. Orr, Combatting body shaming, The Rosen Publishing Group, Inc., New York, 2017 e N. Comet, Copying with body shaming, The Rosen Publishing Group, Inc., New York, 2018
[2] Qualsiasi caratteristica fisica può essere criticata: l’adiposità o la magrezza, l’altezza o la bassezza, la presenza, l’assenza o la cura della peluria corporea, il colore dei capelli e l’acconciatura, la forma e le dimensioni del pene, del seno, del bacino o delle natiche, la muscolatura, la presenza o meno di tatuaggi o piercing, o anche malattie e disturbi considerati antiestetici come l’acne e la psoriasi.
[3] F. Colapaoli, A. Coppola, F. R. Graziani, M. Mirone, M. Zonaro, Social network e diritto, G. Giappichelli Editore,Torino, 2017, p. 37.
[4] Si veda, tra le tante, la sentenza numero 8238 del 13 luglio 2015 della V Sezione Penale della Corte di Cassazione
[5] Per un approfondimento sul tema si veda Camera dei Deputati, Documentazione Parlamentare, Focus, 12 maggio 2017, Studi – Giustizia, La legge n. 71 del 2017, di prevenzione e contrasto del cyberbullismo, disponibile all’indirizzo https://temi.camera.it/leg18/post/pl18_il_contenuto_della_proposta_di_legge-2.html.
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Avv. Tullio Facciolini
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