Il dissesto blocca l’esecuzione di giudicati successivi, anche se relativi a fatti o atti di gestione anteriori

Il dissesto blocca l’esecuzione di giudicati successivi, anche se relativi a fatti o atti di gestione anteriori

Cga 29 ottobre 2018, n. 590 – Pres. De Nictolis, Est. Barone

L’art. 252, comma 4, t.u. n. 267/2000 dispone che <<L’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti ed atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato>>, e l’art. 5, comma 2, d.l. n. 80/2004 conv. in l. n. 140/2004 precisa che ai fini dell’applicazione degli artt. 252, comma 4, e 254, comma 3, t.u. n. 267/2000, <<si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all’articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico>>.

In applicazione di tale regola, i Giudici siciliani di seconda istanza hanno statuito che la dichiarazione di dissesto di un ente locale preclude le azioni esecutive e assoggetta a procedura liquidatoria tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti intervenuti prima della dichiarazione di dissesto, anche se tali obbligazioni siano state liquidate in via definitiva solo successivamente (Cons. giust. sic. 9 luglio 2018 n. 382; Id., 2 maggio 2017 n. 203; Id., 3 giugno 2015 n. 423). La tesi è seguita anche dal Consiglio di Stato (Cons. St., IV, 9 aprile 2018 n. 2141).

Se ne ricava che il divieto di azioni esecutive individuali, e l’estinzione dei giudizi promossi riguarda anche i giudizi di esecuzione di giudicati formati successivamente alla dichiarazione di dissesto, ma per fatti o atti anteriori alla dichiarazione medesima.

I Giudici non hanno condiviso la diversa tesi giurisprudenziale secondo cui i crediti derivanti da provvedimenti giudiziari passati in giudicato in epoca successiva alla dichiarazione di dissesto non entrano nella massa passiva della procedura di liquidazione straordinaria, anche se il fatto genetico dell’obbligazione è anteriore alla dichiarazione (Cons. St., VI, 7 agosto 2017 n. 3937; Id., V, 11 ottobre 2016 n. 4183; Id., V, 6 maggio 2015 n. 2263; Id., V, 11 giugno 2013 n. 3232).

Invero, la decisione n. 3232/2013 fa riferimento a un giudizio di ottemperanza promosso prima dell’entrata in vigore dell’art. 5, d.l. n. 80/2004, e fa leva sul carattere innovativo e dunque non retroattivo di tale previsione, che non può paralizzare giudizi di esecuzione promossi prima della sua entrata in vigore (si afferma infatti nella decisione n. 3232/2013: <<La sopravvenuta normativa infatti, a prescindere dalla sua effettiva portata, ha carattere innovativo e, come tale, è preordinata a disciplinare fattispecie ad essa successive senza effetto retroattivo, definendo i poteri e l’ambito di operatività dell’organo straordinario di liquidazione degli enti dichiarati dissestati dopo la sua entrata in vigore>>).

Tale precedente non è dunque pertinente nel caso di specie, dove il giudizio di ottemperanza è stato promosso ben dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 80/2004.

Né, per stabilire su quali contenziosi ha effetto l’art. 5, d.l. n. 80/2004, può aversi riguardo alla data in cui è sorta la pretesa creditoria, qui anteriore al d.l. n. 80/2004 (il ricorso in cui si è formato il giudicato civile della cui ottemperanza si tratta risale al 1996), in quanto l’art. 5 d.l. n. 80/2004 detta una disposizione di carattere processuale che riguarda la sorte dei processi di esecuzione nei confronti di Comuni in dissesto, e dunque riguarda quanto meno tutti i processi esecutivi promossi dopo la sua entrata in vigore, ancorché relativi a fatti e atti di gestione anteriori a detta entrata in vigore.

Gli altri tre precedenti fanno riferimento a giudicati successivi al d.l. n. 80/2004, del quale danno una interpretazione restrittiva, che finisce con l’essere una interpretazione abrogativa, che, come tale, non può essere condivisa.

Infatti la previsione legislativa intervenne, nel 2004, proprio per dirimere dubbi esegetici, e fa chiaro riferimento, per delimitare la massa passiva che entra nella liquidazione concorsuale conseguente alla dichiarazione di dissesto, ai debiti derivanti da fatti o atti di gestione anteriori a tale dichiarazione anche se risultanti da provvedimenti giurisdizionali successivi.

E’ dunque irrilevante la nozione di liquidità ed esigibilità del credito prima o dopo la dichiarazione di dissesto: anche i debiti dell’ente locale che diventano liquidi ed esigibili dopo la dichiarazione di dissesto entrano nella massa passiva e nella liquidazione concorsuale, se derivano da fatti e atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto medesima.

La ratio legis è garantire la par condicio creditorum, e l’esegesi che attrae alla procedura concorsuale tutti i debiti dell’ente locale imputabili a fatti o atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto è più satisfattiva di tale ratio rispetto all’esegesi che lascia sfuggire alla massa passiva, consentendo la prosecuzione di azioni esecutive individuali, i debiti divenuti liquidi ed esigibili dopo la dichiarazione di dissesto, anche se sorti prima di essa, senza avere dunque riguardo al fatto genetico dell’obbligazione, ma solo al momento, del tutto contingente e legato a eventi casuali e non controllabili e prevedibili, in cui il debito diventa esigibile.

A conforto di tale esegesi giova confrontare la procedura liquidatoria concorsuale nei confronti degli enti locali dissestati con il paradigma delle procedure concorsuali rivolte a soddisfare i plurimi creditori di un unico debitore insolvente nel rispetto della par condicio creditorum, vale a dire il fallimento. Nel quale si afferma il principio del divieto di azioni esecutive individuali dopo la dichiarazione di fallimento e la necessità di insinuazione dei crediti nella massa passiva.

Orbene, l’art. 51 della legge fallimentare recata dal r.d. n. 267/1942 stabilisce che <<(…) dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento>>.

Si afferma dunque la regola che è irrilevante la data in cui il credito diventa liquido ed esigibile, atteso che l’azione esecutiva individuale non è consentita neppure per i crediti maturati “durante” il fallimento, e dunque “dopo” la sua dichiarazione.

I Giudici hanno, poi, chiarito che la tesi non si pone in dissenso con il proprio precendete CGARS 31 luglio 2017 n. 367, solo apparentemente difforme. Infatti, in quella causa si discuteva dell’ottemperanza a un giudicato in materia espropriativa in cui l’ente locale aveva l’opzione tra restituzione del fondo o acquisizione con pagamento del relativo indennizzo (si trattava del giudicato Tar Sicilia – Palermo, III, n. 276/2015). Non si trattava, all’evidenza di un’azione esecutiva avente per oggetto immediato e diretto il pagamento di somme di denaro, ma il cui oggetto immediato era un facere e non un dare, vale a dire l’opzione tra restituzione e acquisizione del fondo, e solo in via mediata, eventuale e consequenziale, il pagamento di una somma di denaro. Si ricadeva dunque in una ipotesi in cui secondo un orientamento pacifico il dissesto dell’ente locale non inibisce il giudizio di ottemperanza, che può proseguire fino all’adempimento dell’obbligo di facere, per poi paralizzarsi quanto agli obblighi di dare, ove questi ultimi da eventuali divengano attuali.

Del resto la ricostruzione interpretativa cui il Collegio ha aderito trova avallo non solo in recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (la già citata sez. IV, n. 2141/2018), ma anche negli indirizzi espressi da parte della Corte costituzionale, nella sentenza 21 giugno 2013 n. 154, relativa alle analoghe disposizioni vigenti per le obbligazioni rientranti nella gestione commissariale del Comune di Roma (art. 4, comma 8-bis, ultimo periodo, d.l. n. 2/2010, conv. in l. n. 42/2010 nella parte in cui dispone, <<ai fini di una corretta imputazione del piano di rientro>>, che il primo periodo del comma 3 dell’articolo 78 del d.l. n. 112 del 2008 <<si interpreta nel senso che la gestione commissariale del comune assume, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima data>>).

La Corte ha ribadito che <<in una procedura concorsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione>>.

Secondo la Corte, sarebbe infatti <<irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato alla casualità del momento in cui si forma il titolo esecutivo, anche all’esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere le due gestioni avrebbe un valore soltanto relativo, né sarebbe perseguito in modo efficace l’obiettivo di tenere indenne la gestione ordinaria [….] dagli effetti del debito pregresso [….]>>.

Infine, la stessa adunanza plenaria, con la decisione 24 giugno 1998 n. 4, resa con riferimento alla normativa anteriore al d.lgs. n. 267/2000, ma in parte qua identica a quella attuale, sia pure senza prendere espressa posizione in diritto sulla questione (essendosi invece occupata di altre questioni di diritto e segnatamente l’applicabilità al giudizio di ottemperanza del divieto di azioni esecutive individuali in caso di dissesto), ha ritenuto inammissibile un giudizio di ottemperanza che, in punto di fatto, era stato promosso per l’esecuzione di un giudicato formatosi dopo la dichiarazione di dissesto, per fatti o atti di gestione anteriori alla dichiarazione medesima.


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