La diffamazione su facebook
Sommario: 1. Il reato di diffamazione – 2. Circostanze aggravanti – 3. La diffamazione a mezzo facebook
1. Il reato di diffamazione.
Nell’ambito dell’ordinamento penale italiano, la diffamazione, risulta prevista e punita dall’art. 595 c.p. .
La norma, in particolare sanziona la condotta attraverso la quale taluno, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui.
Affinché possa dirsi integrato il reato di cui si tratta occorre, dunque, che siano presenti tre elementi essenziali:
1) comunicazione con più persone. Innanzitutto, come specificato dal legislatore, il reo deve offendere l’altrui reputazione, comunicando con una pluralità di altri soggetti e con qualsiasi mezzo idoneo. Tale condizione è soddisfatta allorquando la diffamazione sia compiuta alla presenza di almeno due persone, le quali per altro, non devono necessariamente essere presenti contestualmente sul luogo dell’offesa. L’importante è che vi sia una continuità nel fatto (la diffamazione si realizza ad esempio, anche attraverso l’invio di una e-mail diffamatoria sul conto altrui, ad una molteplicità di destinatari).
2) assenza della persona offesa. È inoltre necessario che la persona cui s’indirizza l’offesa non sia presente al momento della stessa, in quanto diversamente si configurerebbe il diverso reato di ingiuria, il quale per altro è stato di recente depenalizzato.
3) offesa all’onore o al decoro. Il bene giuridico che si vuole tutelare con la norma in commento, è dato dall’onore, inteso come la stima di cui gode il singolo nel contesto sociale in cui vive ed opera, ragion per cui è necessario che l’offesa venga percepita e compresa come tale da parte di più persone.
Una delle maggiori problematiche che presenta il suddetto illecito è quella che richiede di volta in volta, a seconda del caso specifico, un bilanciamento di due interessi contrastanti tra di loro, ma entrambi riconosciuti e tutelati dal nostro ordinamento. Da un lato, bisogna, infatti, fare i conti con la necessità di tutelare l’onore del singolo cittadino; dall’altro, si tratta di garantire la libertà di espressione del pensiero (comprensiva dei diritto di cronaca, critica e di satira), prevista dall’art. 21 della nostra Costituzione.
È un contemperamento di esigenze diverse, non sempre facile da risolvere, ma che sicuramente, va affrontato caso per caso, individuando quei limiti precisi scanditi dalla giurisprudenza a proposito della libertà di espressione, onde verificare se gli stessi siano stati violati.
2. Circostanze aggravanti.
Il legislatore si è preoccupato di prevedere una serie di circostanze che se compiute in concreto comportano un inasprimento del trattamento sanzionatorio.
La prima di queste circostanze è rappresentata dall’attribuzione di un fatto determinato. In tal caso l’aggravamento della pena si giustifica, in quanto, riportare una circostanza diffamatoria, particolareggiata e specifica ad altre persone, ne comporta in ipotesi anche una maggiore credibilità, e di conseguenza una maggiore lesione per la reputazione della vittima designata.
Altra circostanza aggravante, descritta dal codice penale, è quella dell’offesa cagionata a mezzo stampa, pubblicità o atto pubblico.Qui l’ordinamento ha tenuto in considerazione, l’enorme capacità diffusiva che è in grado di realizzare lo strumento impiegato per diffondere l’offesa. È pacifico che una diffamazione arrecata servendosi di un giornale, sarà destinata a diffondersi presso un numero di gran lunga superiore di persone, rispetto ad una diffamazione cagionata attraverso un SMS indirizzato ad una cerchia ristretta di amici.
Infine, viene in rilievo l’ipotesi di offesa arrecata a corpo politico, amministrativo, giudiziario, sua rappresentanza, autorità costituita in collegio. Nell’ambito di questa circostanza viene in considerazione soprattutto il carattere collettivo dei soggetti offesi, nonché la loro importanza ed il prestigio che rivestono nel contesto sociale, tali da giustificare un aumento di pena.
3. La diffamazione a mezzo facebook
Risulta quanto mai attuale il tema relativo alla pubblicazione mediante facebook di commenti o post che potrebbero risultare diffamatori.
Nella società odierna, ormai da qualche anno, imperversa, infatti, l’uso massiccio di social network vari, attraverso i quali possono essere diffusi messaggi di diverso genere, condivise foto, video e scorci della quotidianità di ciascuno di noi, oltre alla possibilità di tenersi in contatto, anche contemporaneamente, con numerose persone.
Tutto questo ha però anche dei possibili risvolti negativi.
Spesso capita di postare sulla propria bacheca facebook, dei commenti poco carini, che rasentano il limite dell’offesa, indirizzati magari al proprio capo, ad un collega poco simpatico o a qualche conoscente. Molte volte, questi messaggi vengono scritti sull’onda emotiva del momento, con l’intento (potrebbe dirsi lecito) di sfogarsi.
Occorre però capire che, simili sfoghi potrebbero non passare inosservati e non restare privi di conseguenze penali.
Vi è infatti la seria possibilità che tali commenti, se di natura offensiva, vadano ad integrare il reato di diffamazione. Più nello specifico, se questi messaggi hanno un contenuto lesivo dell’altrui reputazione, il fatto che vengano diffusi e/o pubblicati a mezzo internet porta a configurare la diffamazione di cui all’art. 595, comma 3°c.p. . Sul punto risulta concorde la giurisprudenza più recente che in vari casi ha condannato l’imputato proprio per aver diffuso messaggi offensivi mediante facebook.
Del resto bisogna osservare, in relazione a quanto specificato sopra, riguardo alla struttura di tale illecito che, l’offesa si cagiona, anche in virtù della idoneità e capacità del mezzo utilizzato di raggiungere una pluralità di persone, il che crea un danno maggiore alla reputazione della vittima e giustifica l’applicazione dell’aggravante di cui al terzo comma della norma.
D’altronde per la consumazione della condotta diffamatoria è sufficiente che il soggetto leso sia individuabile facilmente , anche da un numero ridotto di persone. A ciò si aggiunga che il legislatore ritiene sufficiente per l’integrazione del reato un dolo generico, vale a dire la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone.
È una conseguenza logica, pertanto, affermare che la diffusione di un messaggio postato sulla propria bacheca facebook, realizza il reato di diffamazione, se lesivo dell’altrui reputazione, in quanto, in tal modo lo stesso può essere attinto da un numero indeterminato di utenti che impiegano facebook proprio per condividere le rispettive esperienze, allo scopo di una maggiore socializzazione, sia pure virtuale.
In conclusione, si può affermare che utilizzare facebook per pubblicare messaggi diffamatori comporta l’applicazione delle conseguenze penali indicate all’art. 595, comma 3° c.p.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Avv. Claudio Tarulli
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