La disciplina del giudicato amministrativo nella normativa comunitaria
Il passaggio in giudicato di una sentenza comporta la cristallizzazione della decisione del giudice in merito alla situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio. Si distingue tra due accezioni di giudicato: il giudicato formale e il giudicato sostanziale. Si ha giudicato formale, ai sensi dell’art. 324 c.p.c., qualora la sentenza non sia più soggetta a regolamento di competenza, ad appello, a ricorso per cassazione ed a revocazione per i motivi numero 4 e 5 ex art. 395 c.p.c. Invero, in relazione al significato sostanziale, la sentenza passata in giudicato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., fa stato ad ogni effetto fra le parti, gli eredi e gli aventi causa.
L’accezione di giudicato così descritta è disciplinata dalla normativa civilistica. In diritto amministrativo, non essendo riscontrabili disposizioni di pari tenore e alla luce del rinvio operato dall’art. 34 c.p.a., il giudicato amministrativo mutua la sua disciplina dagli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. Da ciò ne consegue che è passata in giudicato la sentenza del giudice amministrativo che non è più suscettibile di appello dinnanzi al Consiglio di Stato, di revocazione ai sensi dell’art. 395 numeri 4 e 5 c.p.c. e di ricorso per Cassazione per i soli motivi di giurisdizione ed, in quanto tale ha efficacia nei confronti delle parti che vi hanno partecipato o che sono state messe nella condizione di partecipare.
Tuttavia, è bene precisare che non tutte le sentenze del giudice amministrativo sono soggette a giudicato: non sono suscettibili ad acquisire l’autorità di giudicato le sentenze interlocutorie finalizzate all’attività istruttoria e le decisioni di rito contenenti statuizioni processuali.
Il giudicato amministrativo sostanziale presenta limiti oggettivi (attinenti all’oggetto del giudizio) e soggettivi (riguardanti l’efficacia soggettiva della decisione).
In primo luogo, la caducazione del provvedimento impugnato non si estende agli altri provvedimenti afferenti al procedimento amministrativo salvo che si tratti di atti consequenziali al provvedimento annullato; inoltre, non sono coperti da giudicato i così detti motivi assorbiti in quanto si forma giudicato esclusivamente in merito ai vizi dell’atto dedotti in giudizio, per cui rimane esperibile dall’interessato un’ulteriore impugnativa in merito ai vizi non dedotti. Da ciò ne consegue che il giudicato così detto implicito è destinato a trovare applicazione per le sole questioni di rito in quanto, in punto di merito, il giudice amministrativo ha l’onere di pronunciarsi solo con riguardo ai motivi esplicitamente dedotti nel ricorso.
Inoltre, il principio secondo cui la statuizione del giudice ha carattere di giudicato solamente per coloro che hanno partecipato al processo o hanno avuto la facoltà di parteciparvi, soffre di una serie di eccezioni. La pronuncia avente ad oggetto atti inscindibili è destinata a produrre effetti nei confronti di più soggetti indistinti. Del pari la decisione attinente a regolamenti, in quanto gli stessi sono caratterizzati da un contenuto generale ed astratto, è passibile di efficacia erga omnes.
Il giudicato amministrativo è produttivo di effetti costitutivi, preclusivi e conformativi. In particolare, la definitività della pronuncia del giudice amministrativo può comportare: il ripristino della situazione giuridica preesistente all’attività amministrativa; l’improponibilità della questione in un successivo giudizio a fronte della vincolatività propria della sentenza del giudice competente; l’obbligatorietà in capo alla PA di conformare la propria azione alle prescrizioni contenute nella sentenza anche attraverso la riedizione del potere amministrativo. Qualora la PA non adempia all’obbligo di esecuzione della pronuncia, è azionabile il giudizio di ottemperanza, da introdursi con ricorso da parte dell’interessato all’esecuzione della pronuncia. In tale giudizio, il giudice amministrativo può sostituirsi alla PA o nominare un commissario ad acta al fine di eseguire i provvedimenti necessari alla attuazione del giudicato o della pronuncia esecutiva.
Nell’ordinamento giuridico italiano vige il generale principio di intangibilità del giudicato, secondo il quale, a garanzia della certezza del diritto, la statuizione non più soggetta alle impugnazioni ordinarie non è modificabile.
Tale principio ha subito delle progressive erosioni dettate in primo luogo dalla necessità di conformazione del diritto italiano ai principi comunitari. Il problema attiene all’eventuale incompatibilità tra una pronuncia amministrativa passata in giudicato ed i principi euro unitari.
In particolare, la dottrina si è interrogata circa gli effetti interni ed esterni del giudicato nazionale confliggente con il diritto europeo.
In merito agli effetti interni, una questione attiene alla possibilità di disapplicare o meno il giudicato contrastante.
A favore della tesi della disapplicazione, si è pronunciata la Corte di giustizia con il Caso Lucchini del 2005. In particolare, la Corte ha sostenuto che a fronte di un contrasto tra la sentenza nazionale passata in giudicato e la decisione della Commissione in tema di aiuti di Stato, debba essere disapplicata la sentenza in favore della decisione. Tale statuizione deve essere considerata alla luce della competenza esclusiva assegnata alla Commissione europea in materia di aiuti di Stato. Ciò, infatti, giustifica la disapplicazione della sentenza nazionale passata in giudicato contrastante con la pronuncia della Commissione.
La Corte di giustizia, nel caso Olimpiclub del 2009, ha rimodulato la tesi precedentemente espressa statuendo che non sia possibile la disapplicazione della sentenza passata in giudicato e contrastante con il diritto europeo salvo che la stessa sia in contrasto con le decisioni della Commissione in materia di aiuti di Stato rispetto alle quali vige la competenza esclusiva del diritto europeo.
Tale pronuncia è intervenuta anche in merito agli effetti esterni del giudicato affermando che, in ragione del contrasto con il diritto unionale, il giudicato nazionale non possa spiegare effetti esterni.
La CGUE è intervenuta con il Caso Pizzarotti del 2014 in merito all’eventuale contrasto tra il giudicato nazionale e la norma sopravvenuta europea.
La Suprema Corte ha ribadito la primazia del giudicato interno quale garante dei principi di buon andamento della PA e di certezza del diritto. Inoltre, ha statuito la generale autonomia procedurale propria degli Stati membri (sebbene limitata alla sussistenza di misure equivalente per le violazioni del diritto e all’esistenza di mezzi processuali che rendano effettivo e possibile l’esercizio dei diritti). Tuttavia, alla luce della primazia del diritto unionale, la Corte ha affermato che il giudice nazionale, qualora le norme procedurali interne glielo consentano, nell’ipotesi di una nuova normativa europea o di una sua successiva rimodulazione, deve o completare la statuizione su cui è sceso il giudicato o ritornare su tale decisione in maniera tale che la stessa non possa più dirsi contrastante con il diritto europeo.
L’Adunanza Plenaria nel 2016 è intervenuta nuovamente sulla questione sollevata dalla Corte giustizia e, alla luce del principio espresso nel Caso Pizzarotti, ha affermato che la pronuncia del giudice amministrativo contrastante con il diritto unionale e sulla quale è sceso il giudicato costituisce una violazione del limite esterno della giurisdizione ed in quale tale è suscettibile di cassazione.
Le soluzioni sino ad ora prospettate attengono alla disapplicazione del giudicato amministrativo contrastante, alla sua dichiarazione di inefficacia, al suo mero completamento o alla sua modifica.
Un’ulteriore questione giurisprudenziale attiene alla possibilità da parte del giudice nazionale di riesaminare in toto la questione passata in giudicato e contrastante con il diritto unionale.
La Corte di giustizia è intervenuta sulla questione nel 2004 enucleando le condizioni che devono sussistere affinché il giudice amministrativo proceda, nel rispetto del principio della leale collaborazione con il privato, al riesame della pronuncia su cui è sceso il giudicato: è necessario che il diritto processuale nazionale conferisca al giudice il potere di riesame del giudicato; che tale giudicato risulti fondato su un’interpretazione non corretta della normativa europea; che l’interessato alla riedizione del potere abbia sollecitato l’intervento dell’autorità giudiziaria competente.
Con una successiva pronuncia del 2008, la CGUE ha, tuttavia, precisato che il giudice nazionale non è obbligato al riesame della pronuncia contrastante con l’interpretazione normativa adottata dalla Corte europea, laddove non siano esauriti i rimedi giurisdizionali di diritto interno. Tale obbligo, invero, insorge in capo al giudice di ultima istanza che abbia emesso una sentenza contrastante con i principi interpretativi della CGUE e non abbia adito in via pregiudiziale la Corte di giustizia.
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Valentina Piralli
Nata nel 1994, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università del Piemonte Orientale con il massimo dei voti e la dignità di stampa.
E' Istruttore direttivo amministrativo presso un Ente locale dal 2020 ed è abilitata all'esercizio della professione di Avvocato dal 2021.