La disciplina del sovraindebitamento: c.d. legge salva casa o legge anti suicidio

La disciplina del sovraindebitamento: c.d. legge salva casa o legge anti suicidio

Sommario: 1. Premessa – 2. Ambito di applicazione – 3. Le procedure previste dalla Legge e il ruolo degli O.C.C. – 3.1 L’accordo del debitore – 3.2 Il piano del consumatore – 3.3 La liquidazione del patrimonio – 4. Casi emblematici e criticità: spunti di riflessione

1. Premessa

E’ stata ribattezzata, giornalisticamente, “legge salva casa” o “legge anti suicidi”. Introdotta dal Legislatore italiano, sulla scia di altri modelli similari presenti in Europa, per porre un argine al devastante fenomeno sociale che ha riguardato un po’ tutti i paesi industrializzati colpiti dalla crisi economica: il fallimento del consumatore.

Il “benestare” pre-crisi, invero, ha indotto tante famiglie italiane a spendere e ad acquistare ratealmente. Per poi ritrovarsi senza lavoro e con una montagna di debiti. E con il rischio concreto di vedersi pignorare la propria casa familiare e vedere sfumare tutto ciò per cui ci si è sacrificati una vita intera.

Per gli operatori del diritto, è nota come la Legge n. 3/2012 che, a seguito di importanti modifiche normative – D.L. n. 179/2012, convertito nella L. n. 221/2012 –, ha creato una disciplina a tutela del cittadino soffocato dai debiti, il quale può ottenere l’esdebitazione.

2. Ambito di applicazione

La Legge 27.01.2012, n.3 rappresenta una novità assoluta per l’ordinamento italiano in quanto, recuperando il vuoto normativo generato dalla riforma delle procedure concorsuali del 2005, riconosce ai soggetti non fallibili la possibilità dell’esdebitazione.

Per potere accedere ad una delle procedure “anti crisi da sovraindebitamento” devono sussistere requisiti di natura soggettiva ed oggettiva.

Sul piano soggettivo, i soggetti non fallibili sono, per esclusione, A) le persone fisiche che non svolgono attività professionale o imprenditoriale o che, pur svolgendo tali attività, hanno assunto debiti per scopi estranei ad essa; B) enti e imprese esclusi dalle previsioni della Legge Fallimentare.

Sul piano oggettivo, i sensi dell’art. 6 della L. n.3/2012, per sovraindebitamento deve intendersi “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente”.

Inoltre il soggetto non deve aver fatto ricorso, nei precedenti tre anni, alla procedura di composizione della crisi.

In definitiva potrà accedere ad una delle tre procedure il consumatore, ma anche il piccolo imprenditore/artigiano, l’associazione o la fondazione.

3. Le procedure previste dalla Legge e il ruolo degli O.C.C.

Il soggetto che intende esdebitarsi può avvalersi di tre distinte procedure: 1) l’accordo del debitore; 2) il piano del consumatore; 3) la liquidazione dei beni.

Mentre le prime due procedure – molto simili tra loro (eccetto il fatto che nel piano del consumatore si prescinde dal consenso dei creditori quando sussiste la c.d. “causa di meritevolezza”) – sono affini al concordato, la terza è più vicina alla procedura fallimentare.

3.1 L’accordo del debitore.

Dunque, con l’indispensabile ausilio degli Organismi di Composizione della Crisi (c.d. OCC), il soggetto formula una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che contempli scadenze e modalità di pagamento dei creditori “attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei redditi futuri”. Questa proposta dovrà indicare con esattezza ed analiticità, l’elenco di tutti i creditori, i beni del debitore, l’ammontare delle somme dovute, le spese correnti necessarie al sostentamento suo e del suo nucleo familiare.

Il debitore dovrà dunque fornire all’ esperto che relazionerà tutti i documenti necessari, di fatto, a ricostruire l’intera situazione patrimoniale, reddituale e debitoria del soggetto istante. Se il debitore è un imprenditore (non assoggettabile alle procedura concorsuali), deve depositare anche le scritture contabili degli ultimi tre anni.

Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo.

La proposta relazionata dall’OCC o da un professionista nominato dovrà ottenere l’avallo del Giudice circa la fattibilità del piano e l’assenza di atti in frode ai creditori. In caso di vaglio positivo, il Giudice omologherà il piano se quest’ultimo avrà ottenuto il consenso di tanti creditori che rappresentino almeno il 60 % del credito complessivo. E’ bene precisare che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione. Non hanno diritto di esprimersi sulla proposta e non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

Di particolare rilievo è la seguente disposizione normativa: “E’ possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”. Tale norma è importante perché spesso la principale obbligazione che affligge il debitore è rappresentata dal mutuo ipotecario stipulato con la Banca: La banca potrà a stretto giro procedere al pignoramento della casa prestata a garanzia del mutuo e venderla per soddisfare il suo credito da quanto ricavato dalla vendita. Per spiegare con un esempio l’operatività dell’anzidetta norma, proviamo ad immaginare una proposta di accordo dove il debito con la banca ammonta a 100.000,00 Euro ma si accerta che la Banca, in caso di vendita giudiziaria a seguito di pignoramento, non ricaverebbe più di 70.000 Euro atteso il reale valore dell’immobile ipotecato: il debito potrà essere falcidiato per un importo di Euro 30.000.

Per quanto riguarda i debiti non muniti di privilegio, pegno o ipoteca, il debitore potrà ottenere importanti falcidie del debito, a volte ammontanti ad oltre il 50 % del debito originario.

Giova chiarire che la precipua finalità della legge di composizione della crisi da sovraindbitamento è quella di consentire al debitore onesto ed in difficoltà di salvare i suoi beni (in primis la propria casa familiare) dai creditori ai quali viene garantito, tramite codesta procedura giudiziale, il pagamento in termini certi e, comunque, evitando costi, lungaggini e incertezze della procedura esecutiva ordinaria.

La domanda, corredata della relazione e della documentazione, dovrà essere depositata presso l’Autorità Giudiziaria ai fini di ottenere da quest’ultima l’omologa dell’accordo (è dunque auspicabile che il debitore agisca con l’assistenza ed il patrocinio di un avvocato). Tra il deposito della domanda e il “momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore” (art. 10). Ciò significa che il debitore onesto e che vuole davvero esdebitarsi, potrà mettere la propria casa e i propri beni al riparo da eventuali azioni esecutive dei propri creditori. L’omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta.

3.2 Il piano del consumatore

Quanto al piano del consumatore, tanto sotto il profilo contenutistico quanto sotto il profilo degli effetti, è soggetto ad una disciplina analoga a quella dell’accordo del debitore. Infatti, fermo il diritto di proporre ai creditori un accordo nei termini suddetti, il consumatore in stato di sovraindebitamento puo’ proporre, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi un piano contenente gli elementi già visti.

Con la differenza, però, che il piano del consumatore non richiede il consenso dei creditori per la sua omologazione giudiziale. Proprio per questo, il comma 3 bis dell’art. 9 impone, a garanzia di questi ultimi, che al piano venga allegata una “relazione particolareggiata” dell’OCC contenente, tra l’altro, le cause dell’indebitamento e le ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere alle sue obbligazioni, un giudizio sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata.

La relazione e la documentazione a corredo dovrà dimostrare al Giudice che il debitore ha assunto diligentemente i debiti (nel senso che, all’epoca in cui ha contratto i debiti, era nelle condizioni reddituali e patrimoniali per onorarli) e che non è più in grado di onorarli per cause non riconducibili ad una sua cattiva gestione degli “affari personali”: la perdita del lavoro, una grave malattia, etc..

Il giudice, se la proposta è soddisfacente e verificata l’assenza di atti in frode ai creditori, fissa immediatamente con decreto l’udienza, disponendo, a cura dell’organismo di composizione della crisi, la comunicazione, almeno trenta giorni prima, a tutti i creditori della proposta e del decreto. Tra il giorno del deposito della documentazione di cui all’articolo 9 e l’udienza non devono decorrere più di sessanta giorni. Anche qui quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo (mente nel caso di accordo la sospensione opera di diritto). Verificata la fattibilità del piano e l’ idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e risolta ogni altra contestazione anche in ordine all’effettivo ammontare dei crediti, il giudice, quando esclude che il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che ha colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali, omologa il piano, disponendo per il relativo provvedimento una forma idonea di pubblicità.

Dalla data dell’omologazione del piano i creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali. Ad iniziativa dei medesimi creditori non possono essere iniziate o proseguite azioni cautelari ne’ acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di piano. Il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità.

Quindi, se il piano o l’accordo vengono omologati i creditori saranno vincolati e non potranno più pignorare la casa o iscrivervi ipoteche, fintantoché il piano o l’accordo vengono rispettati.

Infatti il tribunale, su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, dichiara cessati gli effetti dell’omologazione del piano nelle seguenti ipotesi: a) quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti; b) se il proponente non adempie agli obblighi derivanti dal piano; c) se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione del piano diviene impossibile anche per ragioni non imputabili al debitore.

3.3 La liquidazione del patrimonio

In alternativa alla proposta per la composizione della crisi, il debitore, in stato di sovraindebitamento (e per il quale non ricorrono le condizioni di inammissibilità già dette), può chiedere la liquidazione di tutti i suoi beni. La domanda di liquidazione deve essere corredata dalla necessaria documentazione. Alla domanda sono altresì allegati l’inventario di tutti i beni del debitore, recante specifiche indicazioni sul possesso di ciascuno degli immobili e delle cose mobili, nonché una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi avente il medesimo oggetto visto con il piano del consumatore.

Accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e, comunque, non prima del decorso del termine di quattro anni dal deposito della domanda, il giudice dispone, con decreto, la chiusura della procedura.

Particolarmente importante è la possibilità, conseguente alla liquidazione, di chiedere, entro un anno dalla chiusura della procedura, l’esdebitazione. Si tratta della liberazione dei debiti residui che dovessero residuare nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti, in grado dunque di consentire al debitore il fresh start, ossia la sua nuova immissione nel mercato libero da debiti. La legge richiede, però, dei requisiti, tra cui si menzionano l’aver cooperato allo svolgimento della procedura, il non aver beneficiato di altra esdebitazione negli otto anni precedenti alla domanda e il non aver compiuto atti in frode ai creditori nei cinque anni precedenti l’apertura della liquidazione.

4. Casi emblematici e criticità: spunti di riflessione

Si vuole concludere con alcuni casi emblematici che hanno destato particolare attenzione mediatica. Come l’omologazione da parte del Tribunale di Busto Arsizio di un piano di composizione della crisi da 11 mila euro a fronte di un debito di quasi 90 mila euro nei confronti di Equitalia Nord. O, ancora, l’omologazione del Tribunale di Napoli di un piano proposto da un consumatore rimasto disoccupato, che ha dimezzato i debiti assunti per un mutuo ipotecario con una banca.

Quanto alle criticità riscontrate nella prassi della aule giudiziarie, non ci si può esimere dal sottolineare il ridotto ambito di applicazione soggettivo delle procedure. De iure condendo sarebbe auspicabile un allargamento dei soggetti ammessi all’ esdebitazione, prevedendo che anche le persone giuridiche possano beneficiarvi.

Inoltre la procedura, vuoi anche perché non ha avuto la diffusione che ci si aspettava, è ancora farraginosa e rischia, altresì, di non uniformarsi agli standard comunitari in materia di ristrutturazione dei debiti e c.d. fresh start (seconda possibilità) per gli imprenditori in crisi.

Altro punto critico è rappresentato dall’ impossibilità di falcidiare il credito i.v.a. dello Stato.
Sarebbe auspicabile che il Legislatore, prendendo spunto dalla migliore dottrina e dalle prassi delle aule di Giustizia, smussi questi elementi di criticità.

Chi scrive non può che auspicarsi una rapida diffusione di tale procedura, ancora troppo poco conosciuta (e forse un po’ troppo costosa) sebbene ormai operante da diversi anni. Ciò in quanto il consumatore/piccolo imprenditore onesto e diligente che per motivi di forza maggiore (malattie, perdita del lavoro, crisi del mercato in cui operava) si trova oggi soffocato dai debiti può, se adeguatamente informato ed assistito, esdebitarsi, salvando il frutto di una vita di sacrifici e ottenendo appunto, una seconda possibilità.


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