La donazione indiretta e le conseguenze sui diritti successori dei legittimari alla morte del donante
Che cosa si intende per donazione indiretta
La donazione ai sensi dell’art. 769 c.c. è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo, a favore di quest’ultima, di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. Le donazioni indirette producono gli effetti economici propri della donazione tipica, pur non avendo i requisiti di forma. Per esempio, sono donazioni indirette il pagamento del debito altrui, il contratto a favore di terzo, l’accollo del debito altrui, nonché il trasferimento di denaro (il caso tipico è quello del padre che dona al figlio una determinata somma di denaro affinché possa poi acquistare un immobile). In tal modo si raggiunge il risultato di arricchire un soggetto senza stipulare un vero e proprio atto di donazione, senza ricorrere alla forma scritta ad substantiam, cioè la stipula per atto notarile.
La validità della donazione indiretta
E’ opportuno sottolineare che non tutti i trasferimenti di ricchezza attuati con animus donandi in forma libera possono essere considerati validi. Infatti, la donazione indiretta può considerarsi valida ed efficace solo se trattasi di “donazioni di modico valore”, poiché in mancanza, la donazione indiretta sarà da considerarsi nulla per assenza dell’atto pubblico.
Il regime formale della forma solenne è proprio della donazione tipica e risponde a finalità preventive a tutela del donante, per evitare che, in presenza di ingenti somme di denaro, ponga in essere scelte poco ponderate. Trattasi, dunque, di cautele riconosciute dall’ordinamento per meglio indirizzare la condotta di un soggetto che decida di spogliarsi, senza corrispettivo, dei suoi beni.
In materia di attribuzione a titolo gratuito di valori mobiliari (mediante assegni o bonifici bancari) è piuttosto rilevante allora comprendere se vi è stato un trasferimento di “notevole” o “modico” valore, e ciò in quanto ne potrebbe derivare la nullità della donazione indiretta in assenza dell’atto pubblico.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18725 del 27 luglio 2017, statuendo che “occorre domandarsi se la stabilità del trasferimento di ricchezza attuato donandi causa a mezzo banca sia subordinata all’adozione dello schema formale-causale della donazione; o se l’attribuzione liberale a favore del beneficiario rappresenti una conseguenza indiretta giustificata dal ricorso ad un ‘operazione trilaterale di movimenta-zione finanziaria con l’intermediazione dell’ente creditizio”.
Ad ogni modo, la valutazione sul concetto di modico valore, determinante ai fini di una valida donazione indiretta, non è mai automatica ma deve essere effettuata alla stregua del patrimonio del donante: è evidente, infatti, che più il patrimonio del donante è ingente, più i trasferimenti di denaro da parte del donante possono essere considerati modici.
Cosa accade alla morte del donante?
La donazione, sia essa diretta o indiretta, deve essere sempre considerata come un anticipo di successione: per tale ragione è possibile che all’apertura della successione legittima alla morte del donante, gli eredi legittimari si accorgano di essere stati lesi nella loro quota di riserva, e ciò in quanto la donazione in vita effettuata in favore di un terzo o di un coerede abbia ecceduto la quota disponibile.
L’azione di riduzione quale strumento di tutela dei legittimari lesi e la riunione fittizia
L’azione di riduzione (art. 533 c.c.) è lo strumento che hanno a disposizione i legittimari per poter reintegrare la propria quota di legittima quando le disposizioni testamentarie o le donazioni eccedano la quota disponibile del de cuius. In sostanza, l’operazione tipica dell’azione di riduzione è un mero calcolo matematico: occorre ricostruire il patrimonio complessivo del de cuius e conferire all’interno della massa, mediante la cd. riunione fittizia, il relictum ed il donatum. Poi, alla luce delle risultanze, determinare le singole quote di spettanza da riservare a ciascun coerede legittimario.
Per comprendere, dunque, se vi sia o meno lesione di legittima, bisogna procedere, in via preliminare, alla riunione fittizia, quale strumento che consente di individuare con esattezza la quota di cui il testatore poteva liberamente disporre, tenuto conto della qualità e del numero dei legittimari oltre che dell’ammontare complessivo dell’asse ereditario.
Al fine di calcolare la quota disponibile ai sensi dell’art. 556 c.c., sono sempre assoggettate a riunione fittizia tutte le donazioni, a chiunque fatte, indipendentemente dalla qualità di congiunto, erede o estraneo del donatario; dunque, la riunione fittizia, consente l’individuazione della base di calcolo su cui determinare l’entità delle quote ereditarie di riserva e disponibile. In proposito, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14193 del 5 maggio 2022, ha statuito che la riunione fittizia è intesa sia come operazione preliminare a stabilire se la quota legittima sia salva o se invece, per la sua integrazione, si debba procedere alla riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni, sia come operazione necessaria ogni qual volta sia rilevante stabilire quale sia la quota disponibile, anche quando non vi sia questione di riduzione delle disposizioni lesive.
Ad ogni modo, l’azione di riduzione colpisce prima le disposizioni testamentarie, come l’istituzione di erede o il legato; se non è sufficiente per integrare la legittima, si riducono poi le donazioni a partire dall’ultima e si risale alle anteriori. Se l’azione di riduzione è esercitata vittoriosamente, il beneficiario della disposizione testamentaria o il donatario deve restituire in tutto o in parte il bene.
E’ comunque importante sottolineare che se il patrimonio del de cuius è piuttosto rilevante ed in vita abbia posto in essere una donazione di modico valore, è poco probabile che tale donazione abbia leso la quota di riserva dei legittimari, per cui l’azione di riduzione sarebbe da considerare infondata.
La collazione come istituto per conferire quanto ricevuto per donazione
La collazione (art. 737 c.c.) riguarda il coniuge, i figli e i discendenti del de cuius, i quali, salvo dispensa, sono obbligati a conferire quanto ricevuto per donazione.
La collazione serve a mantenere, tra gli aventi diritto, la proporzione stabilita nel testamento o nella legge. Il testatore può, d’altra parte, esonerare il donatario dalla collazione mediante l’istituto della dispensa che, ai sensi dell’art. 737 c.c., non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile, cioè la quota ereditaria che il testatore può liberamente attribuire a terzi. Infatti, se la dispensa comporta lesione della quota di legittima, che spetta di diritto a determinati familiari legittimari, il donatario sarà tenuto a conferire quanto ricevuto in eccedenza rispetto alla disponibile.
Ciò significa che la dispensa dalla collazione non sottrae il donatario agli effetti di un’eventuale azione di riduzione che potrebbe essere esercitata da un legittimario: quest’ultimo la promuoverà per recuperare la quota a lui riservata e lesa in parte dai beni donati. In sostanza, il donatario dispensato può ritenere la donazione solo fino alla concorrenza della quota disponibile, se erede legittimario invece, nei limiti della sua quota di riserva.
In giurisprudenza si ritiene che la dispensa dalla collazione possa essere anche tacita, la cui clausola deve però necessariamente risultare sia pure implicitamente dal contesto della donazione o del testamento, non potendo essere desunta da elementi estranei al testo.
Dunque, la dispensa dalla collazione implica che la liberalità dispensata venga ignorata, potendo svolgersi la successione come se la donazione non vi fosse mai stata.
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